sabato 11 dicembre 2021

Rubrica: Storytelling Chronicles: La carezza di un angelo di Giusy Marrone

Buon sabato amici lettori.
Anche da voi fa così freddo? Qui non ci sono abituata e quindi per questo lo sto patendo un po' quest'anno, ma se penso che siamo nel periodo più bello dell'anno allora va meglio. Succede anche a voi?
Non sono qui però per parlare di freddo, ma per la rubrica Storytelling Chronicles e questa settimana la parola va alla mia amica Giusy Marrone.



Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog  La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica è invece a cura di Tania del blog My Crea Bookish Kingdom
Questo mese l'argomento scelto era una one shot, vediamo insieme come ci sorprenderà Giusy.

LA CAREZZA DI UN ANGELO

Non piangete, sarò l’angelo invisibile della famiglia. Dio non saprà negarmi niente quando io pregherò per voi.
S. Agostino

NAPOLI, 1931 

Il suono della campanella fu accolto con maggiore entusiasmo del solito dai bambini e ragazzi del Collegio San Giovanni.
Quella era l’ultima lezione dell’anno, finalmente sarebbero iniziate le tanto sospirate vacanze natalizie. Per molti di loro era una delle poche occasioni per tornare a casa, la distanza e più spesso la mancanza di soldi per il viaggio, faceva sì che la maggior parte dei ragazzi raggiungesse la famiglia solo d’estate e per Natale, soprattutto chi viveva lontano da Napoli.


Il collegio era gestito dalle suore e si finanziava grazie alle donazioni di persone di buon cuore ma, anche di quelle di coloro che cercavano di sgravarsi la coscienza con uno sborso di denaro per un’opera pia.
Molti dei bambini venivano da situazioni difficili, da famiglie che non erano in grado di provvedere a loro e li affidavano alle suore che ne curavano l’educazione e soprattutto mettevano cibo in tavola tutti i giorni. Questi piccoli erano anche fortunati, molti genitori preferivano mandarli a lavorare per avere qualche soldo in più in casa piuttosto che farli studiare, per cosa poi?
Il loro futuro era già scritto nella miseria da cui provenivano. Ma, non erano tutti poveri gli alunni del collegio, c’erano anche figli di bottegai e operai che preferivano lasciare l’incombenza dell’educazione dei bambini ad altri. Michele era tra questi.
Il suo papà era un calzolaio che aveva deciso di mandarlo in collegio, non per liberarsi di lui, ma perché pensava che le suore avrebbero dato al figlio un’istruzione migliore di quella che avrebbe ricevuto a casa.

                          



La moglie, sempre debole e troppo malata per tirare su un figlio, passava da tempo quasi tutte le giornate a letto. Lucia era stata una donna piena di vita, lavoratrice e affettuosa, ma la malattia l’aveva privata di tutto, anche di quel dolce sorriso con cui accoglieva il marito Antonio la sera, o con cui cullava l’adorato figlio.
Le cure erano costose, quel male terribile stava portando via risparmi, sogni e futuro della famiglia, con una crudele, e devastante velocità. Antonio faceva il possibile per far tornare il sorriso sulle labbra della moglie, ma i dottori gli avevano negato ogni speranza, a questo punto solo un miracolo poteva salvare Lucia.
Quello sarebbe stato un triste Natale per loro. Con la moglie che non riusciva più ad alzarsi dal letto, Antonio aveva deciso di non andare a prendere il figlio, non voleva che vedesse la madre in quelle condizioni, preferiva che serbasse il ricordo dell’ultimo Natale passato insieme, sembrava trascorsa una vita. L’anno precedentemente, Lucia aveva avuto una tregua da quel male che la divorava e aveva fatto trovare a Michele dolci e biscotti, un alberello decorato e insieme avevano realizzato un bellissimo presepe, erano stati giorni felici, forse gli ultimi che avrebbero trascorso insieme.
Michele era triste. Mentre i suoi compagni preparavano le valigie con i pochi averi che possedevano, lui era l’unico che sarebbe rimasto in collegio. Cercava di ricacciare indietro le lacrime, ferme tra le ciglia. Non avrebbe mostrato a nessuno quel dolore che gli squarciava il petto rischiando di esplodere.
Si sentiva tradito dall’unica persona che ammirava. Suo padre, nell’ultima lettera, gli aveva assicurato che sarebbe venuto a prenderlo e, invece, il giorno prima suor Maria gli aveva comunicato che avrebbe passato il Natale tra quelle mura. Aveva contato i giorni che lo separavano dal ritorno a casa, sognando di riabbracciare i genitori, di riappropriarsi dei suoi spazi, praticamente inesistenti in un posto con duecento ospiti, stretti in un dormitorio con camerate fredde ed enormi.
Desiderava tornare al suo lettino, alla sua stanza piccola ma tutta sua, dove poteva leggere fino a tardi al lume della lanterna, sognare con gli eroi delle storie che amava, mangiare l’ultima mela senza contenderla a nessuno e soprattutto correre tra le braccia di sua madre che, anche se debole, lo teneva stretto stretto, e poi aiutare suo padre in bottega, imparando un mestiere che già vedeva suo. Invece tutto questo gli veniva negato, senza spiegazioni.
Ricacciata indietro l'ultima lacrima, era fuggito in cortile per evitare la vista dell’allegria dei suoi compagni e prese a correre tra gli alberi di aranci e limoni che con i loro frutti dorati impreziosivano quell’angolo, altrimenti spoglio e desolato.
Tirava calci alle pietre, Michele, preso da una rabbia ostile, che aveva preso il posto della tristezza.

                             

Non gli volevano più bene mamma e papà? Perché non desideravano che tornasse a casa?
La rabbia durò poco in quel cuore gentile, subito spodestata da una nuova ondata di nostalgia e delusione.
Giovanni, il suo amico del cuore, gli aveva proposto di andare a casa sua, ma Michele sapeva che l’amico aveva tre fratelli, e una bocca in più da sfamare non sarebbe stata ben accolta.
Il padre era muratore, faceva fatica a mantenere la famiglia, non se la sentiva di imporre la sua presenza. Fu comunque felice di quella offerta, sapere di avere un amico così affezionato era di grande conforto. Tornò al collegio che era ora di cena, non aveva molta fame ma suor Maria lo convinse a prendere pane e latte. Il bambino andò a dormire subito e, solo allora si permise di far scendere tutte le lacrime che da due giorni erano in attesa di frangersi tra i suoi bei occhi verdi.
Il mattino terso e gelido lo accolse con la sua tiepida luce.
Era la vigilia di Natale e mai giorno si era prospettato più triste per lui.
Faceva troppo freddo per andare in cortile, così si recò nella sala dove alcuni bambini, con l’aiuto delle suore, avevano allestito un bellissimo presepe.
Come ogni volta che lo vedeva, Michele si perse nella contemplazione di quelle statuine così espressive. Si aspettava quasi che qualcuna si mettesse a parlare, tanto erano realistiche e perfette. La sua attenzione era tutta rivolta alla capanna, con San Giuseppe e Maria in attesa del Miracolo della Natività.
Maria aveva un volto così dolce e a lui ricordava tanto la sua mamma. Forse anche lei, quel giorno, era in attesa del suo bambino, che però non sarebbe arrivato a illuminarle il Natale.
Ricacciò indietro le lacrime, aveva ancora gli occhi rossi per tutte quelle versate la sera prima e non era riuscito a ingannare suor Maria con la scusa del raffreddore. La suora lo aveva abbracciato e cercato di consolarlo, ma lui si era scostato, quasi infastidito. Perché non erano quelle le braccia che voleva a rassicurarlo.
Dopo si era pentito, in fondo suor Maria gli voleva bene ed era sempre affettuosa con lui, ma non poteva farci niente se era a sua mamma che pensava e voleva vicino. Le sue carezze sul capo riuscivano sempre a rasserenarlo, sembrava che ogni dolore o tristezza scappasse via non appena lei cominciava a lisciargli i capelli con tutta la sua dolcezza.
Scacciò via quei pensieri che lo stavano solo tormentando e dopo un'ultima occhiata alla capanna, indossò guanti e berretto e corse fuori.

                               

Nonostante il freddo, il paesaggio era bello, il giardino era un piccolo angolo di paradiso e, averlo a disposizione tutto per sé gli avrebbe permesso di esplorare indisturbato ogni cantuccio.
Raccolse un’arancia dal vecchio albero che colorava di meraviglia quel piccolo e spoglio anfratto dietro il refettorio. Il succo fresco e dolce del frutto gli regalò un sorriso e, con un ramo che gli faceva da bastone, cominciò la sua esplorazione, come un provetto Robinson Crusoe. Magari avrebbe trovato un tesoro sepolto, uno scrigno colmo di gioielli da portare al papà, così che non avrebbe dovuto lavorare più così tanto e sarebbero stati finalmente felici.
Una parte di quelle ricchezze le avrebbe lasciate alle suore che avrebbero comprato tante cose buone per gli altri bambini e qualche coperta in più per riscaldarsi dal gelo implacabile dell’inverno. Naturalmente, Michele sapeva che era impossibile trovare un tesoro in quel posto, ma sognare non costava niente ed era anche l’unica cosa che gli era rimasta.
A fargli compagnia arrivò, poco dopo, un vivace pettirosso che cominciò a seguirlo passo passo, con quel saltellare allegro. Non si faceva avvicinare più di tanto ma rimaneva a breve distanza da lui. Michele lo guardava incuriosito da quell'insolito comportamento. I pettirossi erano guardinghi, non amavano dare confidenza agli uomini.
Quando l’uccellino si fermò sotto la grande quercia che tutti i bambini del collegio, prima o poi, avevano scalato come prova di coraggio, Michele, silenziosamente, gli si fece più vicino ma, il pettirosso con un balzo veloce volò su di un ramo basso e il bambino rimase a guardarlo. 
Dopo abbassò lo sguardo verso il punto in cui, pochi istanti prima, era fermo l’uccellino e, tra l’erba alta scorse un oggetto. 
Incuriosito si avvicinò per vedere di cosa si trattasse e, coperta di polvere e terriccio, trovò una statuina. Con le mani la liberò dallo sporco e, incredulo, ammirò uno splendido Angelo dal volto soave e dolcissimo. 
Era di magnifica fattura, curato nei minimi dettagli e Michele non capiva come fosse finito lì, era una statuina di pregio ma, quello che lo colpì maggiormente, era lo sguardo dell’Angelo che sembrava guardarlo con una dolcezza infinita e, ancora una volta, il suo pensiero volò alla sua mamma. 

                        

Felice di quell'inaspettato ritrovamento, corse al collegio per ripulire meglio la statuina che poi posizionò sul comodino accanto al suo letto. 
A pranzo fu silenzioso, era ancora perso nelle congetture sulla recente scoperta. Avrebbe voluto mostrare l’Angelo a suor Maria ma, per il momento, preferiva tenerlo solo per sé. 
Era la prima volta che possedeva qualcosa di così meraviglioso e, almeno per Natale, voleva che fosse il suo segreto. 
Il pranzo fu frugale, in attesa del cenone della vigilia. Non si aspettava un vero banchetto, ma suor Maria gli aveva promesso che ci sarebbero state tante cose buone. 
Dopo, Michele salì nella stanza che divideva con altri dieci bambini ma che, in quei giorni, era tutta per lui, e prese il libro che gli aveva regalato suo padre per il compleanno, Oliver Twist. 
Lo aveva già letto molte volte,ma ogni volta scopriva nuove emozioni, si ritrovava a ridere e piangere insieme al protagonista. 
Ogni tanto il suo sguardo sfuggiva le pagine per posarsi sul suo Angelo, che sembrava vegliare benevolo su di lui e Michele sentiva una pace dolcissima pervadere il suo cuore che, in quei tristi giorni, aveva sentito fremere di dolore e tristezza. 
Da quando aveva trovato la statuina aveva l’impressione che quelle brutte sensazioni fossero state spazzate via dal batter d’ali di quella serafica presenza. Era una cosa sciocca da pensare, Michele lo sapeva, ma a volte, credere in qualcosa, era l’unico modo per non farsi scoraggiare troppo dalle avversità della vita. 
Nonostante la sua tenera età aveva avuto la sua parte di dolore. La malattia della mamma, la lontananza da casa, la solitudine, avevano scavato solchi profondi nel suo animo innocente. Sapeva, però, che lassù c’era chi vegliava su di loro e che qualcosa di bello era in serbo per lui e la sua famiglia. 
Pregava ogni sera affinché quel qualcosa arrivasse presto a frangere la barriera di dolore che stava soffocando tutti loro. 

                               
Il sole era calato presto, qualche nuvola solcava l’orizzonte e il fuoco del tramonto era appannato da quella foschia. Michele mise a posto il libro e, dopo un'ultima occhiata al suo Angelo, corse giù. 
Suor Maria gli aveva chiesto di scendere prima per dare una mano ad apparecchiare nel refettorio e lui non disobbediva mai. 
Nonostante il suo spirito avventuroso e vivace era sempre stato obbediente e non aveva mai ricevuto un rimprovero o una punizione come accadeva a molti suoi compagni. Alcuni lo prendevano in giro per quella ferrea disciplina e docilità, ma a lui non importava. 
Quando era partito la prima volta per il collegio il papà lo aveva ammonito a non disubbidire mai alle suore e a comportarsi sempre correttamente, altrimenti avrebbero pensato che lui e sua madre non l’avevano educato come si deve. Michele non voleva che qualcuno criticasse i suoi amati genitori e così faceva sempre il possibile per essere gentile e corretto in ogni occasione, anche quando alcuni compagni facevano di tutto per provocarlo. 
La cena era stata abbondante, non mancava mai il cibo in tavola al collegio ma, quel convivio fu una vera gioia per gli occhi e la gola del piccolo che mangiò tutto di gusto, alleggerito nel cuore e nell’animo dal peso che lo aveva schiacciato negli ultimi giorni. Non che mancasse la nostalgia per la cena di Natale a casa sua. Aveva pochi ricordi, solo degli anni più recenti, ma erano un caleidoscopico di felicità e amore, calore e tenerezza così vividi da fargli scoppiare il cuore. 
C’erano gli occhi dolci di sua madre, le scarpe nuove fatte per lui dal papà, le frittelle fragranti da rubare sul tavolo sotto lo sguardo divertito di colei che le preparava apposta per lui. Quell’Angelo, trovato per caso o per provvidenza, era riuscito a sollevare il panno nero che aveva sugli occhi permettendogli di mettere via, almeno per un po’, lacrime e tristezza, vivendo nei ricordi il conforto del calore familiare. 
Quando andò a letto, dopo aver rivolto un'ultima preghiera al cielo per i suoi genitori con una fede più profonda e pura di quella che aveva sentito finora, un sentimento di pace e speranza scese su di lui. Chiuse gli occhi su una stanza buia e solitaria e dopo pochi istanti si ritrovò nella sua casa, splendente di luci e candele, con l’alberello addobbato e il piccolo presepe sul mobile che lo spingeva ad avvicinarsi. Lì, tra i pastori, le pecorelle, la capanna con Maria e Giuseppe, vide il suo Angelo che vigilava su tutti con quel dolcissimo sguardo che aveva imparato ad amare. Michele si voltò al suono di una voce che agognava di sentire, quasi con disperazione, da tanto tempo. 
La sua mamma era lì, bellissima, col sorriso sul volto e le mani tese verso di lui. Il piccolo, al colmo della felicità, corse a rifugiarsi tra le sue braccia, con la letizia e l’amore che colmavano il suo cuore. 
Il profumo, così familiare, gli fece scendere lacrime di commozione che lei si premurò di asciugare con un lembo del grembiule che indossava.
 - Perché' piangi piccolo mio? È Natale e non c’è spazio per la tristezza in questo Santo giorno  - . 

                  

Gli sorrise con affetto e lui fece lo stesso, finalmente felice. Ad un tratto, però, fu sopraffatto dalla consapevolezza di trovarsi in un sogno e la felicità fu spazzata via da un dolore profondo e da un senso di mancanza feroce. Serrò gli occhi, non voleva più vedere ciò che non era reale, era ancora più straziante che non avere affatto i suoi cari vicini. Il sonno, poco dopo, tornò a farsi spazio, stavolta immoto e senza sogni a turbarlo. 
Il sole del mattino fece capolino sui suoi occhi ancora assonnati, impastati di lacrime e mestizia. Il suono delle campane a festa annunciava il Natale, gli uccellini gli diedero il buongiorno dal davanzale e un profumo di cose buone gli solleticò le narici. 
Seguendolo, Michele si ritrovò nella cucina di casa sua, dove la mamma canticchiava allegramente e il papà beveva il caffè. Incredulo, sconvolto, il piccolo pensò che stava ancora sognando, ma stavolta, si disse che voleva viverlo quel sogno, fino in fondo. 
Era a casa, tra le braccia tanto anelate, stretto tra sorrisi e amore. Voltò lo sguardo al presepe e vide ancora il bell'Angelo che sembrava guardare proprio lui, infondendogli nel cuore la certezza che era tutto vero, quello che stava vivendo era reale. Il suo Angelo aveva fatto un miracolo. 
La sua mamma stava finalmente bene e lui era a casa per il Natale più bello della sua vita. 
Era questo il tesoro che aveva trovato in quel giardino, più prezioso di qualsiasi scrigno colmo d’oro, era tutto quello che desiderava il suo cuore. Michele non si era mai sentito così felice e quando i genitori lo presero per mano per andare in chiesa ad adorare Gesù, appena venuto al mondo, sentì di essere il più fortunato e amato dei bambini. Gli occhi colmi d’amore con cui era stato accolto quel mattino erano il più bel regalo di Natale che avrebbe potuto ricevere. 


“Non sete, non molli tappeti, ma, come nei libri hanno detto da quattro mill'anni i Profeti, un poco di paglia ha per letto. È nato! È nato il Signore ! Risplende d’un astro divino La notte che già fu si buia. È nato il Sovrano Bambino. È nato! Alleluia! Alleluia! 
“La notte Santa” Guido Gozzano

                       

E siamo giunti alla fine, allora cosa ne pensate?
Vi aspetto nei commenti!

                                                                              

Copyright @ 2021 Giusy Marrone
Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.

7 commenti:

  1. stupendo un racconto che emoziona, ciao

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  2. Dolce e delicato come sanno solo essere i tuoi racconti.
    Mi è piaciuto molto per la tenerezza che hai saputo trasmettere in questo racconto. Molto natalizio con un personaggio che ho adorato

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  3. Ciao Giusy! Mi è piaciuta molto la svolta onirica di questo racconto: all'inizio sembra un sogno, poi, grazie al miracoloso intervento dell'Angelo, diventa realtà. Devo dire che stavolta questo racconto mi tocca un po', perché anche io, nel mio piccolo, mi sono svegliata la mattina di Natale un po'giù per la situazione che tutti noi stiamo vivendo con la pandemia ... E poi questa magica giornata mi ha completamente cambiato l'umore. Bisogna sempre credere almeno un po'nello spirito natalizio... Anche quando tanti altri fattori gli remano contro. Brava, hai scritto una storia davvero speciale!

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    1. Grazie davvero, non sai quanto mi facciano piacere le tue parole. È un racconto a cui tengo tantissimo per una serie di ragioni e mi fa felice che tu abbia percepito le emozioni che ci ho riversato

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  4. Ciao Giusi!
    È stato davvero un racconto molto carino da leggere ed emozionante, in pieno spirito natalizio e soprattutto con una chiusura ben definita proprio come prevedeva il tema.
    Ho trovato la storia di Michele davvero molto tenera e mi piaciuto proprio tanto, perciò ti faccio i miei complimenti!
    Federica

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  5. Un racconto davvero commuovente, che colpisce nel profondo. Fa capire l'importanza della fede, soprattutto nei momenti più bui.

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