Torna l'appuntamento mensile con la rubrica Storytelling Chronicles e stavolta ospito una new entry: Roby Calaudi.
Sono contenta che anche lei abbia deciso di saltare a bordo di questa bella avventura e sarò felice di ospitarla anche nei prossimi appuntamenti.
Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica nuova invece è a cura di FedericaIl tema di questo mese prevedeva utilizzare delle parole chiavi e crare un racconto basandosi su certe specifiche ben precise:
Citare il colore rosa, inserire una moto o una macchina di quelle fighe e veloci, deve esserci un elemento fantasy/sovrannaturale, inserire un animale domestico, aggiungere un riferimento alla Corea del Sud, un personaggio deve essere minorenne, qualcuno deve avere gli occhi azzurri, uno dei giorni nell'arco dei quali si dipana la storia, deve prevedere la pioggia, in qualche modo (che sia detto esplicitamente da qualcuno, che sia specificato in una locandina vista per strada, che sia indicato da un libro sul comodino o in qualsivoglia modalità a vostra scelta) deve esserci un riferimento al passato, inteso come periodo storico o come background di uno dei personaggi, inserireuna foresta o un bosco, deve essere citato il dolce preferito del/della protagonista, bisogna scrivere un massimo di 5000 parole.
Tante cose tutte insieme e adesso vediamo cosa è riuscita a creare Roby.
Salem, 1° Giugno 1692
Mercy
Dovevo fare in fretta, non avevo tempo da perdere!
Mi affrettai a posizionare il decotto, ormai terminato, in un piccolo tovagliolo di lino bianco. Nella mia borsa di pelle avevo sistemato il resto dell’occorrente: candele, incensi e cristalli.
Avevo passato tutto il pomeriggio a rivedere i passaggi del rituale. Non potevo lasciare che quella bambina morisse…
Negli ultimi giorni avevano arrestato e torturato decine di ragazze, presunte streghe, e chi si era rifiutata di confessare o di consegnare altre “complici del diavolo”, non aveva fatto una bella fine. Non che le traditrici se la passassero meglio. Alla fine, prima o dopo, finivano tutte con un cappio al collo! Avrei potuto benissimo diventare una di loro molto presto. Non avevo tante amiche e la lealtà, di quei tempi, era merce rara.
Nonostante il pericolo crescente, attesi che il crepuscolo diventasse sera, mi avvolsi in un mantello leggero con cappuccio: era estate, ma la notte ancora le temperature si abbassavano parecchio.
Chiusi a chiave la porta di casa e un pensiero inquieto andò a Declan, il mio dolce Declan.
Proprio il giorno prima avevamo discusso. Lui sapeva chi ero e cosa facevo quando armeggiavo con erbe e cristalli. Quando lo avevo reso partecipe delle mie intenzioni, era uscito fuori di testa: mi aveva proibito di andare, mi aveva supplicato di lasciare perdere, mi aveva abbracciata così forte da togliermi il respiro e nell’orecchio mi aveva sussurrato quanto mi amasse, quanto gli risultasse impossibile sapermi in pericolo. Io ero rimasta pietrificata, non avevo proferito parola e lui conosceva il valore del mio silenzio. Se avessi parlato per tranquillizzarlo, avrei mentito e io non mentivo mai, soprattutto a lui. Declan sapeva della mia missione e con quanta passione mi ci dedicassi. Non sarebbe riuscito a convincermi a cambiare idea, quindi mi ero limitata ad abbracciarlo a mia volta, gli avevo dato un bacio appassionato e ci eravamo coricati l’uno accanto all’altro. Il ritmo dei nostri respiri affannati si era placato e il sonno ci aveva colti stremati dalle circostanze e dalla preoccupazione.
Sul tavolinetto, accanto al camino, gli avevo lasciato una lettera, in cui gli spiegavo le mie ragioni, dicendogli, in maniera criptica, di non preoccuparsi, che avrei fatto ciò che dovevo e poi sarei tornata da lui.
Giunsi silenziosa alla casa di Meriem, mi aprì prima che bussassi. Era allarmata e impaziente. Sapeva che era una follia quella che stavamo per fare, con le guardie in giro per Salem e tutti quei processi esemplari in corso, ma neppure lei aveva voluto rinunciare.
«Portami dalla bambina, non abbiamo molto tempo!»
Un fagottino caldo caldo mi guardava con sguardo assente. La febbre era altissima e non aveva molte chance di sopravvivere. Ordinai a Meriem di allontanarsi e di liberarmi il tavolo della cucina. Dovevo predisporre tutto il materiale per il rito. Non se lo fece ripetere due volte.
Accarezzai la pelle bollente della piccola Sophia, mentre le sussurravo parole dolci. Non sarebbe stata la sua ultima notte, non finché io sarei stata viva.
Organizzai il tavolo con un cerchio di candele e cristalli di protezione, predisposi un incenso propiziatorio e disposi la bimba proprio al centro. Le liberai il busto dal vestitino e iniziai a cospargerle il decotto dietro le orecchie, sul collo, sul petto, sul pancino e poi sulla fronte. Era colloso, aderiva bene alla pelle morbida.
Sentimmo bussare con ritmo cadenzato.
Meriem mi guardò atterrita in un angolo della stanza, le feci segno con un indice di tacere e poi, con un cenno della testa, le dissi di andare ad aprire. Conoscevo quei rintocchi.
Declan apparve al di là della soglia. Aveva il fiatone, i suoi occhi erano oceano in tempesta, il blu era virato al grigio piombo. Osservò intorno e vide cosa stavo per fare.
«È pericoloso, Mercy. Dobbiamo andare… le guardie sono dappertutto. Stanno rastrellando le case. Qualcun’altra ha parlato, sono entrati anche in casa nostra. Sei un bersaglio!» La sua voce era affannosa, la preoccupazione arrochiva la sua voce, già bassa e intensa.
«Devo iniziare il rituale, Declan. È tutto pronto! Non posso lasciare che questa bambina muoia. Abbiamo perso il nostro piccolino, non sono stata in grado di salvare David, però, adesso, posso provare a fare qualcosa. Mi capisci?» Il mio tono supplichevole lo spinse ad arretrare di un passo. Sbuffò furioso e si mise le mani sui fianchi. Il ricordo del nostro bimbo morto straziava le nostre menti e i nostri cuori. Non era un lutto che si poteva dimenticare o superare. Ti restava addosso, appiccicato come una sostanza pesante e vischiosa.
Meriem singhiozzava, Sofia la imitò, ma la madre era terrorizzata ad avvicinarsi. La piccola aveva freddo, stava male, stava per morire…
«Declan, ti prego…»
Lui mi afferrò per le spalle e mi guardò dritta in volto: «E va bene! Fai questa cosa e poi ce ne andiamo lontano da qui, spero che non sia tu la loro vittima predestinata. Non lascerò che ti prendano. Non permetterò che ti portino via!»
Lo baciai senza toccarlo, le mani erano ancora umide per il decotto. Lui si allontanò e si avvicinò alla finestra per tenere d’occhio l’esterno. Osservai per un ultimo istante la sua schiena forte, le sue spalle ampie, i suoi lunghi capelli rosso rame. Poi, raggiunsi di nuovo la piccola, mi asciugai i palmi con uno straccio, accesi le candele e l’incenso.
Sollevai le braccia verso il soffitto e chiesi a Madre Natura di aiutarmi a salvare quella minuscola anima innocente. Iniziai a pronunciare una formula in latino a bassa voce, dopo aver appoggiato una mano sul petto e l’altra sulla fronte di Sophia. Entrai in uno stato di trance. I palmi erano bollenti come se fossero fatti di fuoco. A malapena mi resi conto di ciò che mi circondava. I suoni e i rumori erano attutiti come se mi trovassi dentro una bolla. Avevo la sensazione che fuori da quella bolla stesse accadendo qualcosa di terribile, ma non potevo distrarmi, ero quasi giunta alla fine del rito. I polpastrelli quasi si fusero con la carne della bambina, una luce bianca illuminò il corpicino afflitto e un flusso di energia calda e costante si riversò dentro di lei. Stava tornando, stava riprendendo la via di casa e lo stava facendo per restare.
Nell’esatto istante in cui terminai il rituale, un pugno mi colpì in pieno viso e mi fece tornare bruscamente alla realtà. Avevo sbattuto la testa contro la parete, ma ero ancora cosciente. Due mani forti e callose mi afferrarono per le braccia e mi trascinarono con violenza.
Meriem, con un labbro sanguinante, si alzò da terra e corse verso la bimba. La prese in braccio e la coprì con una copertina. Il colorito era tornato roseo e, nonostante la baraonda, non piangeva. Era serena... le feci un cenno con il capo per dirle che era tutto apposto. Dovevano fuggire via, adesso! Altrimenti anche loro sarebbero rimaste vittima di questa malvagia follia. E allora, il nostro sacrificio sarebbe stato vano.
Mi voltai per cercare mio marito nella stanza e inorridii: Declan era placcato al suolo da due guardie. Il suo viso era una maschera di sangue e le sue urla raschiavano la mia anima.
«Non toccatela, lasciatela andare!» gridava disperato, mentre mi legavano i polsi con una corda e mi tiravano per i capelli. Lo guardai con amore. Avrei voluto dirgli che sarebbe andato tutto bene, che era tutto un enorme incubo e che presto ci saremmo svegliati nel nostro letto, abbracciati e sfiniti per lo spavento; invece, quel dannato incubo era fatto di carne abrasa, di lacrime amare ed era proprio davanti a noi.
«Mercy Sheldon, ti dichiaro in arresto per stregoneria!» E il mondo mi cadde addosso. Era finita.
Le due guardie che trattenevano Declan si erano distratte per un attimo e lui riuscì a divincolarsi dalla loro presa. Con una spalla colpì in pieno petto il mio assalitore e ruzzolammo tutti a terra.
«Scappa Mercy, vai via! Io li trattengo!» mi urlò concitato.
«Andiamo insieme…» dissi con un singhiozzo bloccato in gola. Un solo attimo di esitazione e l’epilogo si svolse al rallentatore davanti ai miei occhi.
Le guardie tentarono di riacciuffare Declan, mentre io strisciavo verso la parete opposta per provare a sollevarmi. Lui aveva afferrato il pugnale del mio aguzzino, per poi infilzare uno dei due. L’altro lo colpì alla nuca e lo fece stramazzare al suolo, lo afferrò per i capelli e, sollevandogli la testa, gli tagliò la gola davanti ai miei occhi attoniti. Di nuovo, l’ambiente intorno a me perse i colori e i suoni, stavolta però non era effetto della trance, bensì dell’acuto dolore che mi stava attraversando. Vidi il flusso vitale scorrere via dal corpo di Declan, i suoi occhi persero la luce e il corpo si abbandonò alla morte. L’ultimo suo gesto fu quello di allungare una mano verso di me…
Le guardie ancora vive indugiarono per un solo istante e poi tornarono a prendermi.
«Allora strega, non farai niente per salvare il tuo caro maritino?» Il loro tono di scherno mi scivolò addosso come acqua sull’olio. Infierivano perché erano terrorizzati, perché erano dei vigliacchi. Credevano che “noi streghe” fossimo possedute, che avessimo dei poteri soprannaturali che ci consentivano di dare la vita o la morte, ma non era così semplice. Madre Natura richiedeva sempre un prezzo per ristabilire l’equilibrio. Ciò che toglieva e donava doveva rimanere in un cerchio ben bilanciato. Eravamo solo dei tramiti per poter aiutare la gente. Mi lasciai afferrare e trascinare via, mi sentivo come una bambola di pezza, senza più la forza di camminare, di urlare, di piangere. Stavano trasportando l’involucro di un cuore che aveva appena smesso di battere insieme a quello di Declan.
Mi avrebbero torturata e poi uccisa, avrei fatto la fine di tutte le mie compagne, ma una cosa era certa: non mi sarei arresa alla morte. Promisi a me stessa che sarei ritornata. Madre Natura mi avrebbe concesso un’altra opportunità per ritrovare il mio Declan, per potergli chiedere perdono, per consentirgli di vivere una vita lunga e serena. Era quello che si meritava… ed io avrei fatto di tutto per riuscirci.
«Ti troverò, amore… e ti aiuterò ad essere felice!»
Salem, 31 ottobre 2024
Declan
Solo il sudore e la fatica mi aiutavano a tenere libera la mente dai miei demoni, dai ricordi, dal terrore di non riuscire più a uscire da questo abisso. Ma forse, non erano le uniche cose…
Un ciocco dopo l’altro, preparavo la legna per i prossimi giorni. Anche se eravamo ancora a fine ottobre, l’aria autunnale era frizzante e, in mezzo al bosco, l’umidità rendeva più fresca la temperatura.
La foresta intorno a Salem era diventata Parco Nazionale e trovare impiego come custode era stata la mia salvezza. Non che volessi essere salvato, ma avevo bisogno di allontanarmi dalla mia vecchia esistenza, in cui ero stato un padre e un marito assente, troppo impegnato a salvare la vita degli altri, invece che preoccuparmi dei miei cari. Fare il vigile del fuoco era stato il mio sogno da quando ero bambino ed ero riuscito a coronarlo. Non avrei mai pensato che quello stesso sogno mi avrebbe portato via la famiglia e tutto ciò che avevo. Erano passati ormai cinque anni e dopo troppo tempo trascorso a distruggermi per il senso di colpa, solo negli ultimi mesi avevo iniziato a vedere la luce in fondo al tunnel.
Questo bagliore aveva le sembianze di una giovane donna. Capelli lunghi e corvini, che cadevano in onde perfette, occhi azzurri come il cielo d’estate, delle labbra rosse come le rose. Lei mi aveva trovato e non mi aveva più lasciato.
Una notte di pochi mesi prima, dopo che avevo chiuso l’accesso del Salem Woods Highland Park ai visitatori, me ne stavo tornando a casa. Mi aspettava il mio adorato alcol, che mi ricordava a ogni piè sospinto quanto avessi fallito e quanto avessi perduto. Vivevo come un automa, un giorno dopo l’altro, svolgendo meccanicamente le mie mansioni fino a che Mercy non era entrata nella mia vita. L’avevo vista fare capolino da dietro il tronco di un albero, proprio davanti alla baita. Non sembrava si nascondesse e, per qualche strana ragione, non credeva di essere vista. Mi ero avvicinato a lei per dirle che il Parco era chiuso. Non poteva certo andarsene a zonzo a quell’ora della sera. Allora, in quel momento era successo qualcosa di straordinario: l’avevo raggiunta e avevo provato ad afferrarla per un braccio, proprio mentre fuggiva. Mi era scivolata tra le dita come nebbia al sole e poi… era scomparsa.
Avevo creduto di essere completamente impazzito. Ero un alcolizzato, ero certo che il cervello mi si fosse fuso, facendomi dei brutti scherzi. Ero rientrato alla baita, incredulo e attonito.
Pochi giorni dopo, però, era tornata. L’avevo trovata seduta sull’isola della cucina, con i palmi sotto al mento mentre sorrideva. Mi era preso un colpo e prima che potessi fare qualsiasi cosa, mi aveva detto candidamente: «Tu puoi vedermi!» e non era una domanda.
Se solo ci pensavo, ancora non potevo crederci, ma era la sacrosanta verità. Mercy era uno spirito e io riuscivo a vederla! Lei mi aveva spiegato che questa particolare capacità poteva essere dovuta all’esperienza vicino alla morte che avevo vissuto quando la mia famiglia mi aveva lasciato. Ero quasi morto anche io in quell’incendio!
Da quel momento, avevamo iniziato una specie di strana routine. Io mi alzavo, svolgevo i miei incarichi di manutenzione e custode del Parco; poi, la sera, tornavo a casa e la trovavo ad attendermi nei posti più bizzarri. Seduta sul comodino accanto al letto, appoggiata al piano cottura, seduta dentro al camino. Ogni volta mi strappava un sorriso e io mi ricordavo di essere ancora vivo.
Quella sera non sarebbe stato diverso. Avevo finito con la legna e ne raccolsi un po’ per portarla dentro. Mi fermai solo un istante a osservare la mia Harley Davidson parcheggiata nel vialetto, l’ultima vestigia della mia vecchia vita. L’avevo portata con me e la usavo di tanto in tanto quando andavo in centro. Non era comoda per fare scorte, ma non mi potevo lamentare dei due comodi bauletti montati sui lati. Lasciai la legna davanti all’ingresso e tornai indietro per coprire la moto con la sua custodia. Dovevo proteggerla dalla pioggia in arrivo, i nuvoloni neri non promettevano nulla di buono.
Una volta dentro casa, fui accolto da un intenso profumo di dolci. Quella mattina avevo preparato la torta alla zucca: era la preferita di Mercy. Una volta, mi aveva raccontato che la cucinava sempre il 31 di ottobre. Certo, magari non avrebbe potuto assaggiarla, ma le avrebbe fatto piacere sapere che avevo mantenuto la sua tradizione.
Accesi il camino per riscaldare l’ambiente. Era gelido… Salem, la mia gattina, si avvicinò e si strofinò contro le gambe, facendo delle fusa sonore. Mi stava ringraziando per aver accesso il fuoco. La accarezzai sulla testolina morbida e poi si acciambellò di fronte al camino per godere del calore.
Mi guardai intorno, ma Mercy non c’era ancora. Lo trovai strano, ma non mi ci soffermai troppo. Avrei fatto una doccia ed ero sicuro, che quando sarei uscito dal bagno, l’avrei trovata lì a sorridermi. Doveva essere così! Non volevo nemmeno prendere in considerazione la possibilità che se ne fosse andata.
Mercy
Dovevo fare un regalo a Declan. Era assurdo come anche in questa vita avesse mantenuto lo stesso nome, oltre che lo stesso aspetto. Quando lo avevo scoperto, ero rimasta senza fiato!
Quel pomeriggio, mi ero dedicata a una passeggiata in centro. Salem era cambiata molto nei secoli ed ero stata testimone di ogni singola evoluzione. Le costruzioni, i negozi, la tecnologia. Sembrava tutto inconcepibile e irreale, ma quando vivevi da spettro sullo sfondo di una cittadina con radici antiche, era inevitabile assistere al suo inesorabile cambiamento. Camminavo per la via dei negozi, con le mani dietro la schiena, osservando curiosa le vetrine. Raramente mi avvicinavo alla zona abitata, era troppo chiassosa e affollata, ma quella era un’occasione speciale. Samhain si avvicinava e il velo tra le dimensioni si assottigliava sempre di più. Mi ero resa conto, nel tempo trascorso, che durante quel giorno ero in grado di fare cose che non avrei potuto mai fare nel resto dell’anno. Se riuscivo a concentrarmi, potevo toccare le cose, alcune persone potevano sentire la mia voce e chi era più sensibile, poteva addirittura vedermi. Erano solo attimi fugaci e sfuggenti, ma volevo approfittarne per fare una sorpresa a Declan.
Mi fermai davanti a una vetrina. Una tv rivolta verso l’esterno, per attirare i clienti, mandava della musica. Un gruppo di ragazze orientali cantava e ballava in perfetta sincronia. Rimasi colpita dal loro abbigliamento: era tutto rosa con pallini brillanti attaccati sui bustini. Lessi un nome incomprensibile in basso a destra sullo schermo e poi “Kpop group”. Ecco, se i ricordi su ciò che avevo imparato non mi ingannavano, doveva trattarsi di un gruppo coreano. Andavano molto di moda in quel periodo.
Scrollai le spalle e continuai per la mia strada. Non avevo ancora un’idea di cosa prendere e, ancora più importante, di come lo avrei preso. Era tutto un esperimento e sperai ardentemente di farcela.
Giunta alla fine della strada, rimasi a bocca aperta quando mi trovai davanti a un negozietto di artigianato in disuso. Era chiuso e sbarrato con delle assi, ma dalla vetrina opaca, riuscii a scorgere degli oggetti di ogni foggia fatti a mano. Attraversai il vetro e mi avvicinai a degli scatoloni contenenti dei manufatti in legno. Declan amava intagliare il legno. Non lo faceva da tanto e speravo che con una piccola spinta, lo potessi riportare a farlo. Vi erano raffigurate varie tematiche, dagli animali alle strutture, fino ad arrivare alla parte che più adoravo e odiavo allo stesso tempo. Delle streghe erano intagliate in varie forme e atteggiamenti: su una scopa, davanti a un calderone, con le mani alzate verso il cielo. Quella faccenda si era evoluta in maniera inaspettata. Al giorno d’oggi, eravamo una leggenda per la maggior parte della popolazione, ma dovevo ammettere che sempre più persone stavano iniziando a dimostrarsi più aperte e sensibili verso l’argomento. Erano molto legate a Madre Natura e non si stupivano di scoprire una connessione sempre più intensa con Lei. Ma chi glielo diceva che non avevamo mai indossato dei cappelli a punta e non volavamo sulle delle scope?
Dovevo fare un regalo a Declan. Era assurdo come anche in questa vita avesse mantenuto lo stesso nome, oltre che lo stesso aspetto. Quando lo avevo scoperto, ero rimasta senza fiato!
Quel pomeriggio, mi ero dedicata a una passeggiata in centro. Salem era cambiata molto nei secoli ed ero stata testimone di ogni singola evoluzione. Le costruzioni, i negozi, la tecnologia. Sembrava tutto inconcepibile e irreale, ma quando vivevi da spettro sullo sfondo di una cittadina con radici antiche, era inevitabile assistere al suo inesorabile cambiamento. Camminavo per la via dei negozi, con le mani dietro la schiena, osservando curiosa le vetrine. Raramente mi avvicinavo alla zona abitata, era troppo chiassosa e affollata, ma quella era un’occasione speciale. Samhain si avvicinava e il velo tra le dimensioni si assottigliava sempre di più. Mi ero resa conto, nel tempo trascorso, che durante quel giorno ero in grado di fare cose che non avrei potuto mai fare nel resto dell’anno. Se riuscivo a concentrarmi, potevo toccare le cose, alcune persone potevano sentire la mia voce e chi era più sensibile, poteva addirittura vedermi. Erano solo attimi fugaci e sfuggenti, ma volevo approfittarne per fare una sorpresa a Declan.
Mi fermai davanti a una vetrina. Una tv rivolta verso l’esterno, per attirare i clienti, mandava della musica. Un gruppo di ragazze orientali cantava e ballava in perfetta sincronia. Rimasi colpita dal loro abbigliamento: era tutto rosa con pallini brillanti attaccati sui bustini. Lessi un nome incomprensibile in basso a destra sullo schermo e poi “Kpop group”. Ecco, se i ricordi su ciò che avevo imparato non mi ingannavano, doveva trattarsi di un gruppo coreano. Andavano molto di moda in quel periodo.
Scrollai le spalle e continuai per la mia strada. Non avevo ancora un’idea di cosa prendere e, ancora più importante, di come lo avrei preso. Era tutto un esperimento e sperai ardentemente di farcela.
Giunta alla fine della strada, rimasi a bocca aperta quando mi trovai davanti a un negozietto di artigianato in disuso. Era chiuso e sbarrato con delle assi, ma dalla vetrina opaca, riuscii a scorgere degli oggetti di ogni foggia fatti a mano. Attraversai il vetro e mi avvicinai a degli scatoloni contenenti dei manufatti in legno. Declan amava intagliare il legno. Non lo faceva da tanto e speravo che con una piccola spinta, lo potessi riportare a farlo. Vi erano raffigurate varie tematiche, dagli animali alle strutture, fino ad arrivare alla parte che più adoravo e odiavo allo stesso tempo. Delle streghe erano intagliate in varie forme e atteggiamenti: su una scopa, davanti a un calderone, con le mani alzate verso il cielo. Quella faccenda si era evoluta in maniera inaspettata. Al giorno d’oggi, eravamo una leggenda per la maggior parte della popolazione, ma dovevo ammettere che sempre più persone stavano iniziando a dimostrarsi più aperte e sensibili verso l’argomento. Erano molto legate a Madre Natura e non si stupivano di scoprire una connessione sempre più intensa con Lei. Ma chi glielo diceva che non avevamo mai indossato dei cappelli a punta e non volavamo sulle delle scope?
Una silhouette attirò la mia attenzione. Era anche dipinta, non era molto grande, ma i dettagli erano straordinariamente nitidi. Avevo fatto la mia scelta.
Con un movimento fluido e preciso, concentrai tutta la mia energia nella mano e afferrai la statuetta. In automatico diventò invisibile come me. Sorrisi entusiasta e presa dall’adrenalina di quanto avevo appena fatto, corsi via, ridendo felice.
Declan
L’acqua bollente mi aveva rigenerato. Spensi il rubinetto e aprii il box doccia. Per poco non caddi all’indietro scivolando sulle piastrelle bagnate. Mercy era proprio lì, davanti alla porta chiusa, con le braccia nascoste dietro la schiena e un sorriso a trentadue denti. Allungai una mano verso l’asciugamano e mi coprii all’altezza dei fianchi.
«Hey, ciao! Che ci fai qui?!» dissi d’istinto. «Cioè, sono contento che tu sia venuta, ma perché proprio qui?» indicai la stanza da bagno con fare imbarazzato. Lei non pareva minimamente scalfita da quella situazione, come se fosse la cosa più naturale del mondo, vedermi uscire dalla doccia.
«Volevo scusarmi per il ritardo. È che ho dovuto fare una cosa e poi… dai dai è una sorpresa. Sbrigati a scendere!» disse al settimo cielo. Alla fine sorrisi anche io, il suo entusiasmo era contagioso.
«Va bene, dammi un minuto per vestirmi e sarò da te in men che non si dica» la accontentai, ma non pareva volersi muovere da lì, poi parve rendersi conto di qualcosa.
«Ah, certo, certo! Ti aspetto in salotto» concluse e sparì. Non credevo che mi sarei mai abituato al suo apparire e scomparire all’improvviso.
Pochi minuti dopo, la raggiunsi e la trovai seduta accanto a Salem, mentre le parlava con dolcezza a bassa voce. Era bellissima come sempre. Sebbene l’avessi vista indossare sempre lo stesso abito, pensai che sarebbe stata bene con qualsiasi cosa avesse voluto indossare.
«Allora? Di quale sorpresa volevi parlarmi?» le dissi canzonatorio. Mi sedetti sul divano e le feci segno di raggiungermi. Lei aveva qualcosa tra le mani, ma non ero riuscito a capire cosa fosse.
Tutt’a un tratto, la vidi esitare. Era strano, lei non esitava mai. Era sempre spontanea e diretta.
«Cosa ti preoccupa?» la incalzai. Non mi piacevano i silenzi in generale e i suoi ancora meno. Avevo passato troppo tempo a non ascoltare, a non chiedere, e avevo intenzione di non ripetere gli stessi errori.
«Sai che giorno è oggi?» mi domandò, quasi timorosa.
«Certo, è il 31. Samhain… si chiama così, giusto?» Durante quei mesi trascorsi a parlare, mi aveva raccontato la sua storia, così come le avevo raccontato la mia. Mi aveva detto di essere stata una vittima ai tempi dei processi alle streghe del 1692 e che era stata uccisa perché soccorreva le persone con l’aiuto di Madre Natura. Le sue parole mi avevano lasciato perplesso e stranito. Ogni volta che ne parlava, una sensazione di oppressione mi catturava il petto e faticavo a starla ad ascoltare. Non era entrata nei dettagli, e io non avevo chiesto, perché sapevo che era stato terribile. Lo percepivo sotto pelle.
«Esatto! La chiamano la Notte delle Streghe, no?» disse con un sorriso tirato. Un picchiettio costante sulle finestre iniziò a fare da sottofondo. Ci voltammo all’unisono: aveva iniziato a piovere, forse un temporale era in arrivo. Adoravo la pioggia, pensai che potesse creare l’atmosfera perfetta per accompagnare quella serata di rivelazioni e di prove. «Durante questa notte, il mio mondo e il tuo mondo si avvicinano. È come se il sottile velo che ci divide possa in qualche modo sfumare via, annullarsi. Comprendi, vero?» Era preoccupata, ma non avevo ancora capito per cosa.
Con un movimento fluido e preciso, concentrai tutta la mia energia nella mano e afferrai la statuetta. In automatico diventò invisibile come me. Sorrisi entusiasta e presa dall’adrenalina di quanto avevo appena fatto, corsi via, ridendo felice.
Declan
L’acqua bollente mi aveva rigenerato. Spensi il rubinetto e aprii il box doccia. Per poco non caddi all’indietro scivolando sulle piastrelle bagnate. Mercy era proprio lì, davanti alla porta chiusa, con le braccia nascoste dietro la schiena e un sorriso a trentadue denti. Allungai una mano verso l’asciugamano e mi coprii all’altezza dei fianchi.
«Hey, ciao! Che ci fai qui?!» dissi d’istinto. «Cioè, sono contento che tu sia venuta, ma perché proprio qui?» indicai la stanza da bagno con fare imbarazzato. Lei non pareva minimamente scalfita da quella situazione, come se fosse la cosa più naturale del mondo, vedermi uscire dalla doccia.
«Volevo scusarmi per il ritardo. È che ho dovuto fare una cosa e poi… dai dai è una sorpresa. Sbrigati a scendere!» disse al settimo cielo. Alla fine sorrisi anche io, il suo entusiasmo era contagioso.
«Va bene, dammi un minuto per vestirmi e sarò da te in men che non si dica» la accontentai, ma non pareva volersi muovere da lì, poi parve rendersi conto di qualcosa.
«Ah, certo, certo! Ti aspetto in salotto» concluse e sparì. Non credevo che mi sarei mai abituato al suo apparire e scomparire all’improvviso.
Pochi minuti dopo, la raggiunsi e la trovai seduta accanto a Salem, mentre le parlava con dolcezza a bassa voce. Era bellissima come sempre. Sebbene l’avessi vista indossare sempre lo stesso abito, pensai che sarebbe stata bene con qualsiasi cosa avesse voluto indossare.
«Allora? Di quale sorpresa volevi parlarmi?» le dissi canzonatorio. Mi sedetti sul divano e le feci segno di raggiungermi. Lei aveva qualcosa tra le mani, ma non ero riuscito a capire cosa fosse.
Tutt’a un tratto, la vidi esitare. Era strano, lei non esitava mai. Era sempre spontanea e diretta.
«Cosa ti preoccupa?» la incalzai. Non mi piacevano i silenzi in generale e i suoi ancora meno. Avevo passato troppo tempo a non ascoltare, a non chiedere, e avevo intenzione di non ripetere gli stessi errori.
«Sai che giorno è oggi?» mi domandò, quasi timorosa.
«Certo, è il 31. Samhain… si chiama così, giusto?» Durante quei mesi trascorsi a parlare, mi aveva raccontato la sua storia, così come le avevo raccontato la mia. Mi aveva detto di essere stata una vittima ai tempi dei processi alle streghe del 1692 e che era stata uccisa perché soccorreva le persone con l’aiuto di Madre Natura. Le sue parole mi avevano lasciato perplesso e stranito. Ogni volta che ne parlava, una sensazione di oppressione mi catturava il petto e faticavo a starla ad ascoltare. Non era entrata nei dettagli, e io non avevo chiesto, perché sapevo che era stato terribile. Lo percepivo sotto pelle.
«Esatto! La chiamano la Notte delle Streghe, no?» disse con un sorriso tirato. Un picchiettio costante sulle finestre iniziò a fare da sottofondo. Ci voltammo all’unisono: aveva iniziato a piovere, forse un temporale era in arrivo. Adoravo la pioggia, pensai che potesse creare l’atmosfera perfetta per accompagnare quella serata di rivelazioni e di prove. «Durante questa notte, il mio mondo e il tuo mondo si avvicinano. È come se il sottile velo che ci divide possa in qualche modo sfumare via, annullarsi. Comprendi, vero?» Era preoccupata, ma non avevo ancora capito per cosa.
«Comprendo perfettamente, ma cosa ti tormenta? Sei arrivata felice e spensierata, adesso sei diversa!»
Lei mi guardò dritto negli occhi, mordendosi un labbro.
«Stasera voglio tentare di fare una cosa. È molto importante, ma non so che effetti ci saranno su di te. L’ho fatto sempre per pochissimo tempo e non so cosa accadrà dopo…»
«Fallo! Non ho paura… qualsiasi cosa sia, facciamola insieme.» Non mi sarei mai tirato indietro, mi fidavo ciecamente di lei. Non mi avrebbe fatto del male.
«Io… ti ho portato un regalo…» disse all’improvviso, sollevò entrambe le mani che teneva in grembo e mi porse un oggetto.
Quando lo guardai rimasi di sasso: una figura femminile con capelli fluenti e neri, indossava un abito bianco lungo fino ai piedi, teneva in braccio un gatto anch’esso nero con dei piccoli occhi gialli pieni di curiosità. Erano lei e Salem. Non c’erano dubbi.
Lo presi con cura. «Grazie! È bellissima…» Ero a corto di parole e davvero colpito da quel gesto. «Ma come hai fatto a prenderla, a tenerla, a darmela?» Ero sbalordito. Avevo provato così tante volte a sfiorarla che ormai avevo perso le speranze di poter saggiare la morbidezza della sua pelle. Era come foschia nel vento.
«Ecco, adesso arriva la seconda parte della sorpresa. La cosa che volevo fare era provare a toccarti. Ricordi quello che ti ho detto prima? Il velo tra le dimensioni si assottiglia e quindi io e te siamo più vicini che mai» disse con voce tremante, mentre alzava una mano verso di me. «Posso?» chiese ansiosa.
«Va bene!» risposi senza fiato. Non sapevo cosa aspettarmi. Cosa avrei provato?
Non appena le sue dita mi sfiorarono una guancia, una scossa elettrica si propagò per tutto il mio corpo, la vista mi si oscurò e lei si allontanò di colpo.
«Come stai? Tutto ok?» Adesso era terrorizzata.
«Va bene… voglio riprovarci!» Non potevo mollare.
Mi sfiorò di nuovo la guancia, poi scese lungo la mascella. Afferrai la sua mano e feci aderire il suo palmo sul mio viso. Era morbida, ma un po’ fredda. Una sensazione strana mi avvolse: di nuovo brividi elettrici, la mia mente si trasformò in un caleidoscopio di immagini. Scene sconnesse di una vita passata. C’era Mercy, ma c’ero anche io. Una bambina piccola, candele, un forte odore di incenso. Poi, urla, sangue, dolore, tormento e infine pura oscurità.
Tornai al presente con un rantolo potentissimo. Sembrava di essere stato sott’acqua per mille anni e adesso, finalmente ero riuscito a prendere un po’ d’aria. Mi ero staccato da lei, osservandola con il cuore pieno di sentimenti contrastanti. Avevo vissuto la mia morte…
Mercy
Il panico stava per prendere il sopravvento. Il mio tocco aveva fatto scattare qualcosa in lui, ero certa che fosse entrato in una sorta di trance. Nell’arco di pochi istanti avevamo rivissuto l’ultimo suo giorno di vita. Era stato assurdo e violento, non sapevo come avrebbe reagito. Non avevo idea che toccarlo avrebbe portato a questo. Non avevo potuto dirgli che lo amavo da sempre, che aveva lo stesso volto, lo stesso nome di mio marito. Che era lui il mio Declan. Però, era evidente non ce ne fosse più bisogno. Lui adesso sapeva. Mi avrebbe odiata, avevo causato la sua uccisione, la sua sofferenza.
«Declan… scusami! È stata tutta colpa mia. Perdonami, ti prego!» scoppiai in lacrime. Lo abbracciai di slancio, mi gettai su di lui, affondando le mani tra i suoi lunghi capelli, ancora umidi e legati in una crocchia scomposta. Il contatto era vivido e caldo. Il suo profumo di sandalo e patchouli era così intenso da stordirmi. Piansi tutte le lacrime che avevo nella speranza che mi perdonasse.
Non aveva mosso un muscolo, non aveva proferito parola, ma non volevo staccarmi da lui. Temevo di guardarlo in volto e vedere nei suoi occhi disprezzo e riprovazione. Avrebbe avuto tutto il diritto di odiarmi, ma non lo avrei sopportato.
Dopo un tempo che mi parve infinito, si riscosse e mi staccò da lui. Fu delicato, ma io tremai lo stesso, terrorizzata. Mi teneva le mani sulle spalle e respirava con affanno, infine mi guardò. I suoi occhi erano ghiaccio liquido, erano mare in tempesta.
«Mercy… sei proprio tu?» disse con tono spezzato. Non attese la risposta, mi prese il viso tra le mani e mi baciò con forza. Si staccò per guardarmi di nuovo. «Sei vera, sei viva! Sei qui con me.» Sembravano frasi senza senso, però io ne conoscevo il vero significato. Era il mio Declan ed era felice di vedermi.
«Sono io… sto bene! Ti ho ritrovato finalmente. Ti ho cercato per così tanto tempo. Mi dispiace per quello che è successo. Scu…» Non mi lasciò finire che mi baciò di nuovo, questa volta con più passione.
Iniziò ad esplorare il mio corpo come se non mi vedesse da secoli, mi spogliò e mi ammirò come si faceva con qualcosa di prezioso. Io feci lo stesso con lui e mi beai del suo calore sulla pelle. La sua morbida barba rossiccia mi solleticò dietro l’orecchio, poi proseguì sui seni e sull’addome. I suoi muscoli disegnati si posarono su di me in un incastro perfetto di carne e anime. Le fiamme nel camino, insieme all’assopita Salem, erano testimoni di un fuoco più intenso, che aspettava da troppo tempo che fosse sprigionato e vissuto. In quel momento, eravamo solo Mercy e Declan, che finalmente avevano avuto il loro riscatto contro la follia e la malvagità degli esseri umani.
«Mi sei mancata da morire. Non lo sapevo neppure io, ma mi sei mancata! Ora capisco perché sei riuscita a cambiarmi, a farmi tuo in così poco tempo, dopo tutto quello che ho passato» disse con voce strozzata, mentre eravamo ancora abbracciati, distesi sul tappeto di fronte al camino, avvolti da una soffice coperta.
«Meriti di più Declan, so che hai sofferto molto anche in questa vita… ti prometto, che da oggi in avanti farò di tutto per renderti felice. So che non sarà facile, che potrò essere reale e tangibile forse solo una notte all’anno, ma adesso che ti ho ritrovato, non ti lascerò più andare. Scusami se sarò egoista!» Non avevo nessuna intenzione di lasciarlo andare. Alzai una mano, intrecciando le dita alle sue. Mi sarebbe mancato il contatto con la sua pelle, ma avrei resistito in attesa della prossima volta.
«Adesso siamo qui, godiamoci il momento. Non sappiamo cosa succederà domani, ma questa notte è solo nostra e ce la meritiamo entrambi!» mi disse con tono dolce.
«Vestiamoci e usciamo!» dissi d’impeto, con un sorriso sincero.
«Ma sta piovendo a dirotto. Fa freddo!» rispose preoccupato.
«Non dovevamo goderci il momento? Andiamo!» risi di gusto, mentre mi alzavo e aiutavo anche lui a farlo. Ci vestimmo e uscimmo sotto il temporale.
«Vieni qui…» Gli misi le braccia al collo, mentre assaporavo le sue labbra umide di pioggia insieme alla strana sensazione delle gocce d’acqua sul viso e sul corpo.
«Sei contenta adesso?» mi chiese ironico, ridendo a sua volta.
«Sì, sono soddisfatta, ma infreddolita.» Rabbrividii, era strano sentire freddo… e caldo… «Portami dentro per farmi assaggiare la tua magnifica torta! Ho sentito un profumino delizioso!»
All’improvviso, mi prese in braccio e reagii con un gridolino sorpreso.
«Sei una girandola di emozioni e di richieste, ma stasera soddisferò ogni tuo desiderio. Te lo prometto!» Mi riportò in casa, carico di dolci e ardenti aspettative.
Umani, spiriti, streghe, cacciatori di streghe, secoli di attesa; nulla contava più in quel momento, perché la magia di Samhain mi aveva permesso di riavere indietro l’amore della mia vita e non avrei sprecato più nemmeno un istante.
«Ti amo!»
«Ti amo!»
Copyright @ 2024 Roby Y. Calaudi
Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
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