Ciao a tutti amici lettori e buon sabato.
Come annunciato in precedenza, ho deciso di dedicare questa giornata qui sul blog per parlare di scrittura o di rubriche particolare. Non sarà un appuntamento fisso, ma il sabato sarà per questo e oggi tocca alla splendida Rubrica Storytelling Chronicles che vede il ritorno di Anne Luoise Rachelle.
Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica è invece a cura di Tania del blog My Crea Bookish KingdomL'argomento di questo mese era legato alla musica ma lascio subito la parola a Anne Louise.
Ciao ragazze belle!
P.s. In calce vi lascio il link con il video lyrics della canzone!
TALENTO
NATURALE
(ispirata
alla canzone “Natural” degli Imagine Dragons)
Guardo l’orizzonte, è sfumato da migliaia di luci e umanità.
Vorrei raggiungerlo, spegnere ognuna di quelle luci moleste e far evaporare l’umanità circostante.
Sarebbe molto più affascinante. Ma non è possibile.
Spengo la sigaretta che ho appena finito di fumare. Anche se non ne sento il sapore, inspirare ed espirare il fumo voluttuoso mi calma. Perché dovrei essere agitato, non ne ho idea, ma è così.
L’affaccio dove mi sono appostato è piuttosto in alto, in un giardino rigoglioso, dove alberi e cespugli fioriti la fanno da padrone. Dovrebbe esserci un buon odore nell’aria, non lo percepisco, ma l’umidità sì, quella sì. Non è troppa e questo è un bene, credo.
Cerco di capire da quanto tempo sono qui, immobile, a fissare il cielo e le sue stelle quasi invisibili, quando dovrei essere altrove, in un luogo ben preciso, a fare il mio lavoro. Tergiverso. E non è da me tergiversare. Sono seduto sulla spalliera di una panchina di ferro battuto, allungo la gamba per poter sfilare dalla tasca dei jeans il mio pacchetto di sigarette. Dovrei fumarne un’altra?
«Lo sai che il fumo fa male, vero?» Mi volto appena verso la voce che mi ha apostrofato. Stringo le palpebre, e non per mettere a fuoco la figura che a piccoli passi avanza e si siede sulla “mia” stessa panchina, ma per il fastidio di essere stato interrotto.
«La tua mamma non ti ha detto che non è saggio parlare con gli sconosciuti?» rispondo glaciale, guardando contrariato la bambinetta di appena sette, otto anni che dondola i piedi nel vuoto. È minuta e stringe tra le braccia un unicorno di peluche. Rosa.
La vedo prendersi il mento tra le dita sottili, quasi come se stesse ragionando su un assunto di fondamentale importanza. Decido di ignorarla quando mi risponde con voce ponderata, fin troppo.
«La mamma mi ha detto anche che quando vedo qualcuno triste devo regalargli un sorriso…» Ed è lì che sorride davvero. A me. Sarei io quel qualcuno triste?
Mi abbandono a una risata sarcastica, tagliente, beffeggiante.
«Credi davvero che sia triste?» chiedo, fissandola, accorgendomi solo ora che porta un pigiamino pesante sotto un piumino e delle pantofole pelose. Tutto rigorosamente rosa.
Lei annuisce convinta. «Hai gli occhi persi – sono blu come il cielo in estate, ma sembrano di vetro – fumi a più non posso, non è che mediti di fare brutte cose? Da qui è un bel salto…» conclude e indica l’affaccio, sotto il quale c’è un dirupo in grado di spaventare chiunque soffra di vertigini… ma non è il mio caso.
Rido ancora, sprezzante. Questa marmocchia sa come usare le parole, ma è un bel po’ distante dalla realtà.
«Guardo il panorama, fumo per rilassarmi e non ho nessuna intenzione di suicidarmi. Non sono qui per porre fine alla mia vita…» rispondo allora, accendendo un’altra sigaretta, a mo’ di sfida. Devo essere messo piuttosto male se mi lascio distrarre da una inezia simile, forse lo sto facendo di proposito? Senza il forse, mi sa. Lei mi fissa indispettita, agitando una mano per far svanire le volute di fumo che l’hanno raggiunta. Per poco non le cade l’unicorno dalle braccia.
«So cosa cerchi di fare, ma io non me ne vado. Sono stanca di stare rinchiusa là dentro…» dichiara con voce fin troppo adulta. Forse mi sono sbagliato a darle otto anni… Conosco la sua prigione, è quello il luogo dove sarei dovuto essere per svolgere il mio compito. E invece, sono qui, accanto a una mocciosa che parla come se fosse già vecchia.
«Però dovresti cercarti una compagnia migliore, come dicevo, stavo tentando di rilassarmi…» la ammonisco, nella speranza che mi lasci in pace e rivolga le sue attenzioni a qualcuno di veramente infelice. La bambina non mi ascolta, mi sta guardando, mentre accarezza l’unicorno rosa. È inquietante. E detto da me fa testo, credetemi.
«Perché sei qui da solo?» Alza la posta la piccola ficcanaso.
«Perché è ciò che desidero, ovvio.» Non so nemmeno perché le rispondo, dovrei semplicemente intimarle di andarsene, ma qualcosa mi blocca dal farlo. E non è certo il suo visetto smunto, né lo sbuffo che mi rifila, subito seguito da un altro sorriso. Devo ammettere che la tenacia non le manca.
«Sei bravo a dire le bugie, ma io sono brava a riconoscerle: un talento naturale! Sei fregato, ragazzo triste.»
Non nego, capisco che sarebbe inutile. Torno a fissare l’orizzonte, lì sono al sicuro, ma mi rendo conto che lei si è avvicinata. Ha freddo, lo sento sulla mia pelle. E un altro fremito mi colpisce a tradimento.
Rido ancora, sprezzante. Questa marmocchia sa come usare le parole, ma è un bel po’ distante dalla realtà.
«Guardo il panorama, fumo per rilassarmi e non ho nessuna intenzione di suicidarmi. Non sono qui per porre fine alla mia vita…» rispondo allora, accendendo un’altra sigaretta, a mo’ di sfida. Devo essere messo piuttosto male se mi lascio distrarre da una inezia simile, forse lo sto facendo di proposito? Senza il forse, mi sa. Lei mi fissa indispettita, agitando una mano per far svanire le volute di fumo che l’hanno raggiunta. Per poco non le cade l’unicorno dalle braccia.
«So cosa cerchi di fare, ma io non me ne vado. Sono stanca di stare rinchiusa là dentro…» dichiara con voce fin troppo adulta. Forse mi sono sbagliato a darle otto anni… Conosco la sua prigione, è quello il luogo dove sarei dovuto essere per svolgere il mio compito. E invece, sono qui, accanto a una mocciosa che parla come se fosse già vecchia.
«Però dovresti cercarti una compagnia migliore, come dicevo, stavo tentando di rilassarmi…» la ammonisco, nella speranza che mi lasci in pace e rivolga le sue attenzioni a qualcuno di veramente infelice. La bambina non mi ascolta, mi sta guardando, mentre accarezza l’unicorno rosa. È inquietante. E detto da me fa testo, credetemi.
«Perché sei qui da solo?» Alza la posta la piccola ficcanaso.
«Perché è ciò che desidero, ovvio.» Non so nemmeno perché le rispondo, dovrei semplicemente intimarle di andarsene, ma qualcosa mi blocca dal farlo. E non è certo il suo visetto smunto, né lo sbuffo che mi rifila, subito seguito da un altro sorriso. Devo ammettere che la tenacia non le manca.
«Sei bravo a dire le bugie, ma io sono brava a riconoscerle: un talento naturale! Sei fregato, ragazzo triste.»
Non nego, capisco che sarebbe inutile. Torno a fissare l’orizzonte, lì sono al sicuro, ma mi rendo conto che lei si è avvicinata. Ha freddo, lo sento sulla mia pelle. E un altro fremito mi colpisce a tradimento.
Sono venuto qui per lei? Non lo so mai prima, capisco “chi è” quando riconosco il legame. Allora, inizio a percepire gli odori, i sapori, le emozioni. La guardo con più attenzione adesso – gli occhi grandi, le guance pallide, i capelli chiari –, prima di togliermi la giacca nera di pelle e mettergliela sulle spalle. La copre per intero, compreso il peluche che stringe ancora come se fosse la sua àncora. «Quanti anni hai, talento naturale?» le chiedo, stranamente curioso. Non lo sono mai.
«Quasi undici… tu quanti ne hai, ragazzo triste?» Ecco spiegata la sua parlantina: è più grande di quel che dimostra. «Molti più di te.» Fa una smorfia, come a sottolineare l’ovvio. «Perché sei qui?» Con un cenno indico l’edificio enorme dietro di noi. Noi ci siamo rifugiati in una porzione di giardino di quello stesso edificio.
«Nessuno vuole dirmi il vero motivo, ma io so che non è nulla di buono. Dicono che sono troppo piccola per capire… ma io non sono d’accordo…» Parla con voce bassa, una nota di rabbia la pervade, ma poi subentra la delusione. Posso sentire ogni vibrazione del suo cuore, ogni variazione del suo respiro, ogni tremito della sua pelle. È debole nel corpo, ma non nell’anima. «Non puoi ignorare qualcosa che è dentro di te, giusto?» continua.
Scuoto la testa, dandole ragione. Ma non aggiungo altro. Ho male al petto, è una sensazione strana, mai provata. Cosa c’è di diverso? Ho indurito i tratti del viso, serrato la mascella, stretto i pugni in grembo. Lei se ne accorge… ma va?
«Credi di avere un cuore di pietra, ma non è così, lo sento battere.» Mi volto di scatto verso di lei, colpito dalle sue parole. In altre occasioni avrei continuato a deriderla, ma ho la gola secca. Cosa diavolo c’è che non va per il verso giusto? Questo è il mio lavoro, la mia routine, la mia normalità. Eppure, fin dall’inizio di questa missione, qualcosa non ha vibrato nel modo giusto.
Si avvicina ancora e poggia la testa sul mio ginocchio, alla sua altezza. Mi basterebbe adagiare una mano sui suoi capelli per porre fine a tutto… ma non lo faccio. Non ancora.
«Essere di pietra è il mio talento naturale…» Mi dà un buffetto contrariato sulla gamba, ma non cambia posizione, come se la mia risposta non l’abbia affatto scalfita.
«Ti ho detto che non ti conviene mentire, ho un radar super potente per le bugie…» sussurra piano. Sembra stanca. È già arrivato il momento? Cerco di capirlo, ma nel frattempo resto immobile. «Sei qui per me, vero?» Silenzio. Cosa dovrei risponderle? «Ero sotto le coperte e a un certo punto ho sentito il bisogno di uscire, venire qui, sai… questo è il nostro posto, dove io e mamma respiriamo aria pulita e mangiamo di nascosto gli hamburger. Il cuore batteva forte, ma appena ti ho visto si è calmato, non è strano?» Di nuovo silenzio. L’inquietudine serpeggia più subdola di prima e mi fa esitare… ancora. «Come ti chiami?» Non si sarebbe arresa con facilità.
«Ho molti nomi, ma nessuno mi è mai piaciuto. Puoi continuare a chiamarmi “ragazzo triste” oppure darmene tu uno diverso.» Dovevo essere impazzito, decisamente andato fuori di testa. Posso quasi vedere i suoi ingranaggi cerebrali muoversi frenetici, in cerca dell’idea perfetta, considerando addirittura “normale” la mia replica.
«Una volta avevo un gatto che si chiamava Tigre, ti calza a pennello – solitario e aggressivo come sei – ma forse non è il nome più adatto…»
La fisso di sbieco, approfittando del fatto che ha alzato lo sguardo per burlarsi di me. Di ME.
«Vorrei ben vedere…» Il mio tono vuole essere minaccioso ma non sembra importarle granché. Ci rinuncio e infilo le mani nelle tasche posteriori dei jeans, non voglio toccarla. Non ancora.
«Che ne dici di Black?» Non dà spiegazioni del perché ha scelto questo termine e io non gliele chiedo.
«Mi piace…» dico solo e sembra sufficiente a farla sorridere ancora. Poi la vedo posizionare l’unicorno al suo fianco, lasciare un biglietto quadrato tra le zampe del peluche e strofinare tra loro le piccole dita intirizzite.
«Sono pronta, tu?» No, non lo sono, e non capisco il perché. Di solito è un attimo, nessuna frase di circostanza, una sola carezza e tutto si compie. Lei capta la mia titubanza. Incredibile. «Ho lasciato una lettera per mia mamma e l’unicorno le dirà che non ho avuto paura…» Sta cercando di rassicurare ME?
È assurdo. Tanto quanto è assurda la domanda che pongo subito dopo.
«Perché l’unicorno porterà quel messaggio?» Sembra rifletterci su ma in realtà sta cercando di afferrare dei ricordi, mentre la lucidità comincia a venire meno. Lo sento, sono io a cullarla verso l’incoscienza. Ho deciso che dovrà essere il più dolce possibile. Non me n’è mai importato, ma oggi sì, me ne importa eccome.
«Me lo porto dietro da quando ho sei anni. Grazie a questo peluche ho superato dei momenti davvero brutti, è un regalo della mia mamma e lei sa che non lo avrei lasciato qui se avessi avuto paura… è lui il vero messaggio. La lettera, invece… sono solo parole… voglio che le resti qualcosa…»
Rimango in silenzio, non c’è molto altro da dire. Lei è serena, come può esserlo solo una bambina cresciuta troppo in fretta a causa del dolore. Dovrei esserlo anche io, ma non è così.
Ciò nonostante, non c’è nulla che io possa fare per rimandare l’inevitabile.
«Farà male, Black?» chiede all’improvviso e lì riconosco la bimba che c’è in lei, la sua anima troppo giovane. Inizio ad accarezzarle i capelli, sono sciolti e morbidi. Un effluvio floreale mi stordisce. È il profumo della fine. Della SUA fine. Non ci sono rimpianti, se non quello di un futuro sfumato.
La sento sospirare, mentre viaggia sempre più lontano. Un’altra carezza e il suo respiro diventa parte dei miei ricordi. Un’altra carezza e traccio il percorso da seguire. Un’altra carezza e ci mettiamo in marcia. Non dimenticherò mai il suo sorriso, né le sue parole, né il suo cuore pulsante.
«No, non farà male.» “Non a te…” aggiungo coi pensieri e la porto via, verso il suo nuovo orizzonte.
Siamo giunti alla fine.
Aspetto i vostri commenti, cosa ne pensate?Copyright @ 2020 Anne Louise Rachelle
Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
Può un racconto mettere i brividi? Assolutamente sì! Delicata come i petali di una rosa, ma tagliente come le sue spine! Bravissima!
RispondiEliminaGrazie Criss bella! Per esserci sempre con la tua dolcezza <3
EliminaUn Racconto intenso, struggente e malinconico, capace di commuoverti fino alle lacrime in una manciata di righe. Personaggi delicati e che ti piacciono immediatamente, anche se il loro ruolo è tutt'altro che positivo. Un piccolo gioiello che con le immagini evocate e i dialoghi emozionanti mi resterà a lungo nel cuore!
RispondiEliminaGrazie Lauretta! Ti adoro... sono commossa <3
EliminaDecisamente diverso dai soliti a cui ci hai abituata eppure questo racconto nasconde una vena così profonda che mi ha colpita molto, brava. bravissima Anne Louise e continua così <3
RispondiEliminaSusyyyyy sì, questo mese sentivo il bisogno di scrivere qualcosa di diverso! Sono felice di non averti delusa :)
EliminaCiao Anne Louise.
RispondiEliminaQuesto tuo racconto mi ha molto stupito, perché il titolo, sulle prime, mi aveva suggerito tutt'altro...magari una storia di adolescenza e di riconoscimento della "propria strada". Mi sono invece trovata di fronte ad un delicato dialogo tra una bambina ed un personaggio misterioso, con una suspence che conduce il lettore ad un'amara sorpresa e ad un brivido inaspettato. Ti faccio i miei complimenti perché fino ad un certo punto non ho capito dove la storia sarebbe "andata a parare"...e quando l'ho compreso mi sono quasi commossa. Anche la forma è ottima, ma questa è una costante dei tuoi racconti, quindi è una conferma, direi :-)
La caratteristica forse migliore di questa storia è proprio il continuo botta e risposta, serrato ma anche profondo. Qui è il personaggio più "maturo" ad imparare un'importante lezione da chi porterà via con sé... :-(
Ancora complimenti, la tua storia mi è piaciuta molto!
Silvia, il tuo commento mi ha molto emozionata! Sono felice che tu abbia trovato tanti lati positivi in un racconto che per me rappresentava una sfida. E' il mio primo vero racconto e temevo di non uscire a trasmettere ciò che desideravo in poche pagine! Quindi grazie mille per le tue splendide parole!
EliminaChe pugno. Dritto allo stomaco. Mi hai lasciata senza parole, tanto che ho dovuto aspettare un attimo prima di commentare. Ci provo: wow. In ogni riga ho risentito la canzone, che amo tra l'altro, quindi: bravissima. A ogni parola ho percepito un'emozione, in un crescendo talmente vorticoso che al punto finale mi sono resa conto che stavo trattenendo il respiro: doppiamente brava! Per quanto dolorosa sia stata la lettura, perché ha scavato dentro ed è arrivata proprio in mezzo al petto, e da lì pare non voler scendere... regalacene, se puoi, ancora. Perché voglio sinceramente scoprirne di più, di questi due. Di lui, della bimba, anche solo dell'edificio o dell'unicorno di peluche che la piccola porta con sé. Ti faccio i miei più sinceri complimenti: un altro racconto memorabile. Bravissima!!!
RispondiEliminaCarissima Stephi, attendevo con ansia la tua reazione! E niente, adesso ho bisogno di una scatola di fazzoletti perché mi hai davvero commossa... hai descritto, passo passo, le sensazioni che volevo arrivassero al lettore. Quindi, che dire? Missione compiuta? Il legame con la canzone non è molto forte, ma ascoltandola in loop, mi ha ispirata l'intero racconto... quindi il legame emozionale c'è di sicuro! Grazie grazie grazie per il tuo commento memorabile!
EliminaCiao. Conosco la canzone ed è nella mia playlist ispirazione. Sono rimasta piacevolmente sorpresa di cosa hai scritto ispirandoti a quella canzone. So per esperienza che a volte certe melodie scaturiscono in noi qualcosa e non possiamo fare altro che dare libero sfogo all'immaginazione.
RispondiEliminaTornando al racconto, che dire, stupendo.
Mi sono immaginata i personaggi, il paesaggio e l'atmosfera attorno, e sono stata con il fiato sospeso fino alla fine per capire cosa sarebbe successo.
I miei complimenti.
Ciao! Devo essere sincera, quando ho ascoltato - per la centesima volta! - questa canzone degli Imagine, che amo alla follia, non avevo previsto il lampo di ispirazione che sarebbe arrivato. E' vero, la musica sa ispirare cose diverse anche se con la medesima melodia! E' una magia! Grazie per il tuo commento <3
EliminaCara Anne, non vedevo l'ora di vedere cosa avevi creato e, visto il mio amore per gli Imagine Dragons, non potevo che apprezzare ancora di più il tuo racconto. Mi hai sorpreso, questo è sicuro, e hai saputo tenermi sulle spine fino alla fine. Anche stavolta hai fatto un ottimo lavoro ❤️
RispondiEliminaEcco, mi hai fatto piangere.
RispondiEliminaUna storia delicata e struggente. Deliziosa l'immagine dell'unicorno, mi ha dato i brividi, ma l'ho adorata.
Davvero un bellissimo racconto, perché è triste però non è mai disperato.
Qualora mi si ponesse la domanda: "Cosa ti aspettavi dal racconto settembrino di Anne Louise?", non saprei rispondere veramente, se non con un bell'enigmatico "Tutto, fuorché questo". Perché è così che mi sono sentita a fine storia, spiazzata, completamente spiazzata. Non ti preoccupare, però; dopotutto, è stata una sorpresa a dir poco positiva!
RispondiEliminaAnche se non hai scelto una delle canzoni da me proposte -signorinella, l'hai scampata per un pelo, sappilo :P ahah-, sei riuscita comunque a regalarci qualcosa di inaspettatamente bello e in linea con "Natural" degli Imagine Dragons <3
Quando ho iniziato a intuire qualcosa, a leggere il nomignolo che la bambina ha affibbiato alla tua voce narrante, "Black", mi sono subito ricordata di "Vi presento Joe Black" che forse non c'entra nulla con il tuo scritto -abbi pazienza, la mia memoria fa cilecca ahah-, ma qualche punto in comune di base l'ho notato :3 Magari sbaglio, eh, sempre per la questione testa matta... :( Proprio per questo, però, giusto per fugare ogni dubbio, che ne dici di un prequel, un sequel e una saga di 3000 libri su questo personaggio misterioso? 8) Noi tutte te ne saremmo gratissime ahah
Che dire poi della bambina? Lei è stata un colpo al cuore, in tutto e per tutto, dall'inizio alla fine. Non credo esistano abbastanza parole per descrivere questa piccola e le emozioni da lei suscitate in me... No words, di nome e di fatto <3 Complimenti :k
Adoro questa canzone. Mamma mia, mi hai stesa con questo racconto. Tra i tuoi racconti questo è di sicuro il più originale e diverso dagli altri. Scrivi divinamente e mi hai fatto venire la pelle d'oca. Fantastica. Silvia tra le righe.
RispondiEliminaCiao Federica! Non riesco a esprimere a parole l'emozione che mi ha donato mentre leggevo il tuo commento. L'avrò riletto un centinaio di volte prima di decidermi a risponderti. Tutto sembrerebbe banale a questo punto, perciò ti dico solo GRAZIE DI CUORE!
RispondiElimina