sabato 26 ottobre 2024

Rubrica: Storytelling Chronicles: Il ritorno dal Valhalla di Anne Louise Rachelle

Buon sabato amici lettori.
Con grande, grandissimo piacere oggi torna non solo la rubrica Storytelling Chronicles, ma anche la penna di Anne Luoise Rachelle che ospito sempre con grande piacere.

                                  

Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica nuova invece è a cura di Federica
Sono sempre contenta di leggere i racconti della mia cara amica e questo non fa eccezione, ma lascio a lei la parola.


Ciao a tutte, belle ragazze.
Quanto sono felice per la riapertura della rubrica Storytelling Chronicles, e non potevo certo mancare al primo appuntamento (e spero nemmeno al secondo e al terzo!).
La nostra cara Lara, per iniziare soft, ci ha chiesto di approfittare di questa occasione per scrivere/continuare un racconto che avevamo lasciato in sospeso e sinceramente a me è parso una specie di segno divino, perché avevo giusto un’idea appena accennata su un file word che meritava di vedere la luce.
Si tratta del secondo capitolo di un altro racconto scritto per la rubrica anni fa. Vi ricordate di Astryr e Einar? La coppia vichinga de “La via per il Valhalla”? Beh, il finale aveva lasciato un po’ l’amaro in bocca, quindi ho pensato di dargli finalmente un prosieguo. Spero tanto di farvi felici e vi attendo con ansia per i commenti! Siate spietate, è da tanto che non scrivo e sono un bel po’ arrugginita.
Buona lettura!

p.s. Questo racconto può anche essere letto da solo, ma se per completezza volete recuperare quello precedente lo trovate QUI

IL RITORNO DEL VALHALLA 



Astryr

Cammino avanti e indietro, frenetica, rabbiosa, impotente. La mia piccola casa sembra ancora più minuscola invasa dalla mia furia. Sbatto a terra sedie, faccio volare oggetti, strappo il tessuto della mia casacca, perché no, non posso stare ferma, non posso accettare l’inevitabile, meglio la morte.
Il cuore mi batte così forte nel petto che temo possa spaccare la cassa toracica, so bene dove vorrebbe essere, so bene chi vorrebbe vegliare, ma sono qui, rinchiusa in queste quattro mura per mia scelta.
Lo scopo era calmarmi, ritornare padrona del mio corpo e della mia mente, ma ciò che mi è successo è l’esatto opposto. Non appena mi sono trovata lontana dagli sguardi prima sorpresi e poi accusatori degli altri guerrieri, sono stata attraversata da un uragano di emozioni, impossibile da contenere: credono che Einar sia rimasto ferito per colpa della mia inettitudine! E chi sono io per contraddirli? Non è così, alla fine?
«Astryr, calmati!» Una voce autoritaria, ma venata di una dolcezza che non ho mai udito, blocca la mia collera. Mi volto piano verso la padrona di quella voce e la fisso per un lungo momento. I suoi occhi chiari identici ai miei, i capelli neri lunghi raccolti in una treccia sulla spalla, le mani strette in pugni ai lati del corpo slanciato: mi sembra di guardarmi a un dannato specchio! Solo le rughe intorno agli occhi e qualche filo argentato tra le ciocche legate ci differenziano, almeno fisicamente.
Velaska, mia madre, mi si avvicina a passo deciso. Io sto tremando, ma me ne rendo conto solo quando anziché uno schiaffo ricevo una carezza e un abbraccio. Mi prende e mi stringe con una forza che non le avrei mai attribuito. Ma è proprio quel gesto inatteso a farmi definitivamente crollare.
Non avevo mai pianto contro la sua spalla, non avevo mai accettato le sue attenzioni e le sue carezze, non da quando ci eravamo incaponite su sponde diverse della nostra vita. E ora, ora mi sembra che sia l’unico porto sicuro in cui avrei mai potuto gettare l’àncora.
E allora piango, piango, piango. Crollo tra le sue braccia, mentre finiamo entrambe sulla terra gelida e lei mi tiene stretta come se temesse di vedermi rompere in mille frammenti. E forse è ciò che sta accadendo.
«Andrà tutto bene, bambina mia, andrà tutto bene» mi dice tra le lacrime, ed eccola l’ennesima follia di quella orribile giornata: neppure mia madre ha mai pianto di fronte a me. Deve essere un momento epico, da ricordare negli annali, peccato che l’origine di tutto quel dolore è un guanto spinato che stritola il cuore.
Einar, il mio migliore amico, l’uomo che mi ha cresciuta e addestrata, colui che si è sempre fidato di me, dandomi lo stesso rispetto che destinava ai suoi guerrieri, sta lottando tra la vita e la morte. 



Forse, però, è meglio fare un passo indietro.
Il nostro villaggio è stato attaccato da un clan rivale e io ho combattuto la mia prima battaglia. Fin da piccola, ho provato ammirazione per i guerrieri del mio popolo, impavidi e coraggiosi, pronti a sacrificare la propria vita pur di proteggerci. E fin da piccola ho sempre desiderato fare lo stesso. Purtroppo, però, essere nata donna mi ha creato diversi problemi riguardo a questo mio proposito. Il capo clan e Velaska hanno fatto di tutto per dissuadermi, ricordandomi quali sono i miei reali doveri: essere una buona figlia, diventare una moglie devota e una brava madre. Ma io ho sempre detestato attendere il ritorno dei combattenti, le lacrime versate per i feriti o, a volte, per i caduti. Io non volevo piangerli, volevo aiutarli, sentirmi utile, guadagnarmi l’onore delle armi e combattere al loro fianco.
Solo Einar mi ha compresa. Figlio del migliore amico di mio padre, entrambi morti in battaglia a distanza di qualche anno, si è preso cura di me come un fratello maggiore quando ero poco più che una birbante di dieci anni, ma soprattutto come amico quando l’età mi ha consentito di parlargli alla pari. Mi ha addestrata, andando oltre le convenzioni, e mi ha permesso di combattere anche se ho letto chiaramente nei suoi occhi il terrore di vedermi ferita.
Già, il dolore alla coscia mi riporta alla realtà.

                              

«Per Odino, stai un po’ ferma!» Stringo forte i denti per nascondere un gemito. Mia madre sta cercando di pulire il taglio ancora aperto che campeggia sulla mia coscia. Lo avevo completamente dimenticato a causa dell’adrenalina per la battaglia e della paura provata quando ho visto la casacca sotto l’armatura di Einar impregnarsi del suo sangue. Ce n’era fin troppo quando i suoi occhi si sono chiusi per la stanchezza, nonostante gli avessi ordinato di restare sveglio.
Tutto inutile, era stato tutto inutile. IO sono inutile!
«Devo andare da lui…» mormoro a Velaska, le lacrime si sono asciugate da tempo e il nostro solito contegno è tornato. E mi va bene così, sentirmi vulnerabile e vederla nelle stesse condizioni mi ha scioccata.
«Sicuramente c’è il Guaritore con lui… e comunque non ti farebbero entrare.» Mi fascia la ferita ben stretta, dopo averla cosparsa di un decotto a base di erbe portentoso, che ci tramandiamo di generazione in generazione.
«Forse potrei portare al Guaritore un po’ di questo intruglio, di sicuro potrà aiutare Einar.» Mi ostino, come se non l’avessi udita.
«Dimenticati di poter uscire da qua dentro. Ti metterai sdraiata e darai il tempo alla tua ferita di sanare. È un momento cruciale per non far sviluppare infezioni!» Mi rendo conto di non avere la forza di contraddirla. Annuisco piano e Velaska sembra sorpresa, forse più preoccupata per la mia fin troppo rapida resa.
Lascio che mi aiuti a mettermi sul mio giaciglio, le permetto di coprirmi con la coperta di pelliccia anche se non sento affatto freddo, le accarezzo fugacemente una mano nella speranza che non se ne accorga…
«Einar è stato un incosciente a permetterti di combattere. Quando si risveglia, mi sentirà!» Apro la bocca per protestare, ma lei mi zittisce con un gesto perentorio della mano, non ha ancora terminato. «Prima di venire qui, ho parlato con il Guaritore. Mi ha detto che non sa come andrà a finire, ma se si salverà sarà stato per merito tuo. Hai tamponato la ferita aperta, hai gestito benissimo la situazione fino al suo arrivo, nonostante fossi a tua volta sanguinante.» Non poteva essere, non era orgoglio quello strano tono che percepivo tra le sue parole. Einar non mi aveva solo insegnato a usare le armi, ma anche come trattare i feriti sul campo di battaglia. Come fasciare, come tamponare, come permettere al corpo di resistere fino a cure più approfondite. Anche se non avrei mai voluto applicare queste conoscenze su di lui.
«Ho fatto ciò che andava fatto, madre» rispondo un po’ in imbarazzo.
Lei mi prende una mano, la stessa con cui l’ho accarezzata di nascosto, e me la stringe forte.
«Hai l’animo di una guerriera, Astryr, sono terrorizzata da questo, ma sarei una bugiarda se non ti dicessi quanto mi faccia sentire orgogliosa.»
Rischio di perdere tutta la compostezza conquistata fino a quel momento, quando mi dà un bacio sulla fronte e si allontana in fretta, quasi voglia impedirsi di ritrattare la confessione pazzesca che mi ha appena fatto.
Quando rimango sola rifletto meglio sulle sue parole. Il Guaritore è quindi ottimista? Einar ha la pellaccia dura… riuscirà a cavarsela anche questa volta, lo fa sempre… Altrimenti, beh, dovrà vedersela con me…
Riposo solo un paio d’ore, poi vado da lui. Se non vorranno farmi entrare, lo farò di nascosto. Sono brava a infrangere le regole ed Einar riderà con me per questo… Già, andrà proprio così… Ed è con quei pensieri in testa che scivolo in un sonno senza sogni.




Einar


Sono morto? Non dovrei vedere un sentiero dorato? Una qualche luce a indicarmi il cammino verso il Valhalla? Perché intorno a me c’è solo oscurità?
Il dolore è un’eco lontana, ogni sensazione è ovattata proprio come se non fossi più nel mio corpo e vagassi in una qualche dimensione ultraterrena. Ma non c’è luce qui, non c’è pace, solo un abisso nero pece.
Il pensiero di non essere stato abbastanza valoroso da meritare il Valhalla mi sfiora. In un primo momento con una certa dose di incredulità, poi, prende forma e diventa sempre più consistente, fino a trasformarsi in un terrore cieco.
Ho combattuto tutta la mia vita, senza paura, sfidando i nemici più feroci, con un’unica certezza incrollabile: se fossi morto in battaglia, avrei varcato la soglia del Valhalla a testa alta, da valoroso guerriero.
E allora? Cosa diamine è tutto questo nulla?
Inizio a correre, ma non è una vera corsa, non percepisco le mie membra muoversi, è un fluttuare che mi spaventa ancora di più. Ovunque posi il mio sguardo c’è solo oscurità, spessa e soffocante oscurità.
È proprio quando sto per cedere alla disperazione che qualcosa attira la mia attenzione. Non è nulla di tangibile, piuttosto una sensazione, un richiamo? No, una voce! Mi è famigliare, ma devo fare uno sforzo immane per capire a chi appartiene. I pensieri vanno e vengono, così come i ricordi, non riesco ad afferrarli e trattenerli. Mi sfuggono nello stesso istante in cui provo a metterli a fuoco.
Chi sei? Ti conosco, lo so.
La voce è accompagnata da un paio di occhi. Iridi color del mare d’inverno. Ma è il suo cipiglio a tratti severo, a tratti sarcastico o divertito a fare breccia.
Astryr, sei tu. Parlami ancora. Riportami indietro.
Se non c’è ad aspettarmi il Valhalla ho ancora molto da fare, non è giunto il mio tempo, non posso rimanere qui a vagare, smarrito e inutile.
Voglio tornare a combattere, voglio tornare in battaglia, voglio tornare da te.
Non riesco a mettere a fuoco quell’ultimo pensiero, rimane ai margini della coscienza sempre più concentrata sulla voce di Astryr, sui suoi occhi espressivi, sulle sue labbra imbronciate.
Ti ho delusa? Sei arrabbiata con me?
Perché questa possibilità mi distrugge talmente da farmi tornare a percepire dolore? Astryr è la mia migliore amica, ecco il motivo. È certamente questo.
Una nuova fitta mi costringe a piegarmi in due, mi stringo il fianco e boccheggio, come se l’aria fosse fatta di spilli e non di ossigeno. Posso quindi respirare?
Astryr non c’è più. Non la sento, non la vedo, non la percepisco. Sono rimasto solo in questo limbo senza uscita? Eppure, adesso ho contezza del mio corpo, dello squarcio che pulsa come se fosse aperto e sanguinante, del mio torace che si alza e si abbassa al ritmo di un respiro affannoso.
«Torna da me!» Parole che scavano nella mia coscienza al pari della lama che ha affondato nella carne. Una richiesta che buca l’oscurità viscosa che mi circonda, mi afferra e mi trascina fuori con forza inaudita.

                            

Spalanco gli occhi di colpo, ma resto immobile, terrorizzato da ciò che a breve avrei messo a fuoco. La mia stanza o quel maledetto limbo?
Sbatto piano le palpebre e sospiro di sollievo quando riconosco la mia casa, il mio giaciglio, i miei effetti personali. Ma non posso fare a meno di sussultare nell’accorgermi di un altro particolare importante: Astryr è qui, rannicchiata contro il mio fianco, quello non ferito.
Il mio involontario movimento la desta immediatamente.
«Non me ne vado, sono venuta per restare!» Si difende ancora prima che si renda conto di cosa sia accaduto. Osservo i capelli neri scompigliati, le palpebre appesantite dalla stanchezza, ma il corpo teso e pronto a reagire a qualsiasi tentativo di allontanarla da qui, da me.
«Ehi.» La richiamo con voce appena sussurrata e mi godo la sua reazione sorpresa mentre si volta: la bocca carnosa si atteggia in un “oh” dolcissimo, le iridi chiare diventano liquide per l’emozione e le mani strette a pugno si rilassano fino a raggiungermi. Mi accarezza il viso, disegnandone ogni dettaglio, la fronte, gli zigomi, la barba sulle guance e sul mento. La sua espressione è qualcosa che non dimenticherò facilmente, un misto di genuino stupore e forte commozione. «Non mi dire che mi avevi già dato per spacciato.» Provo ad allentare la tensione e spezzare l’impasse.
«Non ci sperava più nessuno…» mormora piano, senza perdere quell’aura di meraviglia che le fa risplendere tutto il volto.
«Tranne te.» Inizia a farsi tutto molto più chiaro.
«Iniziavo a dubitarne anche io, Einar. Sono passati cinque giorni. Cinque.» Senza mangiare, senza bere, solo esistendo. Come facevo a spiegargli dove ero stato?
«Adesso sono qui.» La vedo annuire, sfiorarmi le labbra secche con due dita, mentre una lacrima le riga una guancia cerea. «Grazie a te.» Voglio che lo sappia, voglio che sappia che è stata lei a riportarmi indietro, ovunque mi trovassi.
Astryr mi fissa stranita, poi un pizzico imbarazzata, infine si decide a rispondermi.
«Mi hai sentita?» Lo dice esitante all’inizio, poi quando io la fisso serio e annuisco… 
«Mi hai sentita!» urla e quasi mi getta le braccia al collo. Si trattiene giusto all’ultimo per timore di farmi del male, ma sono io che rompo ogni indugio e con un braccio la avvolgo per la vita e la abbraccio. Faccio in modo di stringerla a me come non sono mai riuscito a fare in tutta la mia vita e non è solo gratitudine ciò che provo.
Il suo profumo mi inebria, mentre affonda il viso nell’incavo del mio collo e con il suo respiro mi accarezza la pelle nuda. L’incastro è perfetto, forse unico. Per questa ragione realizzo che è questo il suo posto, tra le mie braccia, ora e… per sempre?


Astryr

Due mesi dopo


«Stai tenendo indietro la gamba, Astryr! Così destabilizzi il baricentro…»
«Ma non è vero, il mio baricentro è perfetto!»
«Non essere ostinata, non te ne accorgi nemmeno.»
«Io ostinata? Ma se sono la donna più paziente del mondo!»
«Quando dormi, forse. Se mantieni questa posizione, basterà un soffio di vento a buttarti a gambe all’aria.»
«Uffa, sei insopportabile!»
Mi siedo a terra, a gambe e braccia incrociate, in segno di protesta. Ma, sotto sotto, sogghigno. È la mia piccola vendetta per il terrore che Einar mi ha fatto patire durante il suo lungo sonno. Da quando si è risvegliato mi sono trasformata in una sorta di incubo vivente per via delle attenzioni che gli ho rivolto. Ho messo da parte l’orgoglio, l’imbarazzo, i dubbi. Mi sono ripromessa che non avrei più rimuginato su come lui avrebbe reagito: se mi avesse rifiutata me ne sarei fatta una ragione ma non avrei avuto alcun rimpianto, se invece mi avesse accolta, tanto di guadagnato no?
E ora, a distanza di mesi dal suo risveglio, non sembra ancora stanco di me; mi asseconda quando tento di fargli perdere la pazienza solo per il gusto di sentirlo sbottare… o persino ridere; mi ha addirittura presa in braccio quando gli ho riferito la novità, una sorta di miracolo, tenendo conto che Velaska non si era opposta!
«Devi dimenticare di aver subìto una ferita a quella coscia, non cercare di proteggerla.» Einar mi si è avvicinato, si siede proprio accanto a me, anche lui a gambe incrociate, e mi sento un fuscello al cospetto di un albero secolare. «Il Guaritore ha deciso che puoi seguirlo per imparare come essergli utile, che le tue doti potrebbero essere fondamentali per i guerrieri in battaglia, ma ciò non toglie che dovrai continuare l’addestramento fisico. Ti dovrai occupare dei feriti, ma potresti dover combattere per salvarti la vita. Devo saperti al sicuro, per quanto possibile.»
Le sue parole quasi mi ipnotizzano. No, credo sia la sua voce, è profonda, ben cadenzata, un tamburo di guerra mi dà meno brividi. È un discorso che mi ha fatto spesso da quando il Guaritore si è consultato con lui per questa decisione. Non so perché abbia deciso di chiedere prima a Einar che a mia madre. Forse perché sapeva che Velaska non si sarebbe opposta a una decisione definitiva di uno dei nostri guerrieri più valorosi? Oppure la tranquillizzava il fatto di sapermi al suo fianco? Non ne ho idea, ma il risultato è lo stesso: potrò finalmente rendermi utile, certo non nel modo esatto in cui ho sempre desiderato, ma sono pronta a questo tipo di compromesso per il benessere del mio popolo e… del mio.
«Sarò pronta.» Appoggio la tempia sulla sua spalla. Un movimento semplice che mi tranquillizza all’istante e capisco che accade lo stesso a Einar. «Grazie.» Per avermi dato una possibilità, per aver confidato in me, per avermi rispettata come nessun altro.
Non so più quante volte gliel’ho ripetuto, ma non smetterò mai di farlo.
«Spero di non pentirmene, Astryr. Mi fido di te, mi fido delle tue capacità, ma non so se mi fido di me stesso…» Non mi aspetto una confessione simile, ammetto di non comprenderla fino in fondo. Alzo il viso verso di lui, infilo un braccio sotto il suo e lo stringo per esortarlo a spiegarsi meglio.
Einar non mi guarda, continua a fissare l’orizzonte, la distesa agitata del mare che si riflette nei suoi occhi verdi. Butta fuori un profondo respiro e posso sentirlo vibrare tra le mie costole. «Einar, cos’è che ti preoccupa così tanto?»
«Quando ho visto il pugnale entrare nella tua carne e il sangue macchiarti i pantaloni sono quasi impazzito. Non ricordo nulla di come ho atterrato quel bastardo, né di essere stato ferito. Quando sono ritornato in me, avevo la tua mano sulla spalla e il nemico ridotto in poltiglia al mio fianco. Ecco cosa mi preoccupa.»

                           

Non posso dire di non averci riflettuto su, l’immagine di quella scena furiosa è impressa a fuoco nella mia mente da allora e mi ricorda quanto Einar sa essere letale… Ma il pensiero successivo non ho avuto il coraggio di formularlo, nemmeno dopo il suo risveglio, nemmeno dopo aver deciso di mettere da parte ogni esitazione. Questo è davvero troppo da accettare senza mille dubbi ad affollarmi il cuore. Perciò, l’ho semplicemente accantonato.
«Tieni a me, Einar. Anche io tengo a te.» Mi ritrovo a dire, devo rompere il silenzio meditabondo che è calato tra noi. Ma non so come continuare, so che dovrei, ma non trovo le parole. Le sto ancora cercando, sempre più preda di un’ansia primordiale, quando la mano di lui avvolge la mia nuca e mi sospinge in alto… verso il suo volto, incontro la sua bocca.
Sgrano gli occhi per la sorpresa, quando le nostre labbra si toccano. Smetto anche di respirare, di pensare, di esistere. Einar mi sta baciando. Einar. Mi. Sta. Baciando! No, non può essere una fantasia, una visione, un sogno, perché percepisco il suo sapore, la sua barba mi fa il solletico, e sto ricambiando con uno slancio di cui non mi credevo capace.
Mi metto a cavalcioni su di lui, senza pensare che potrebbe arrivare qualcuno, mentre infilo le mie dita tra i suoi capelli intrecciati. I nostri respiri si accavallano, si ribaltano, si fondono, in una danza che cancella dubbi e paure.
Ci stacchiamo giusto un po’, ma restiamo fronte contro fronte, occhi negli occhi, a parlare sono solo i battiti furiosi dei nostri cuori.
«Vuoi farmi morire prima del tempo, dici la verità…» mormoro, con il petto ansante e incapace di allontanarmi oltre.
«Lo sai, non sono bravo con le parole.» Einar ha appena fatto una battuta, deve essere il giorno dei miracoli, davvero. E io rido, rido di gola, di cuore, con ogni parte di me.
«Confermo, sei molto più bravo con altro…»
«Sembra che non ti dispiaccia.» Affonda ancora, pare che anche il suo cuore sia più leggero, come se un macigno enorme fosse semplicemente evaporato.
«Affatto, anche se la prossima volta dovresti avvisarmi, sai… sono di costituzione delicata, potrei rimanerci…» Lui sa che è una cosa impossibile, e infatti ride, ride di me e con me. Poi, il suo sguardo si adombra, il timore di cui mi parlava prima è pur sempre lì. «Non perderai il controllo perché io starò attenta, non mi metterò in pericolo. E semmai dovesse accadere l’impensabile, tu saprai che è da me che devi tornare… come hai già fatto. Perciò, andrà tutto bene.» Pronuncio ogni parola con calma, accompagnandole con gesti lenti, carezze delicate sul suo viso, tra i suoi capelli, fino a intrecciare le dita sulla sua nuca. Lo tengo stretto, fino a quando le sue iridi tornano limpide, la tempesta che le ha attraversate si è ritirata, almeno per il momento.
«Sei la mia Valchiria, ti seguirei attraverso i nove regni e nell'eternità» mi dice fissandomi dritta negli occhi, mentre io annuisco, in balìa di commozione e fierezza.
«E io ti seguirei fino al Valhalla e ritorno» rispondo con voce solenne.
La nostra, è una inviolabile promessa.



E siamo giunti alla fine, cosa ne pensate?
Vi aspetto nei commenti

                                        

Copyright @ 2024 Anne Louise Rachelle

Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.

2 commenti:

  1. Anne Louise, che dire, se questo è essere arrugginiti, voglio essere sempre arrugginita come te! Che bel regalo che ci hai fatto a ritornare in questo mondo, avevo amato il primo racconto e ritrovare atmosfere e personaggi in questo mi ha scaldato il cuore, così come il lieto fine che hai deciso di scrivere. Brava brava brava, davvero! Stephi

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  2. Oltre alle atmosfere suggestive hai creato una storia bellissima, una di quelle che (come tuo solito) viene voglia di saperne di più. E' sempre un piacere leggerti ed è sempre un piacere vedere che non hai perso il tuo tocco magico

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