sabato 28 dicembre 2024

Rubrica: Storytelling Chronicles: Atto di coraggio di Anne Louoise Rachelle

Buon sabato amici lettori.
Come avete passato le feste? Spero sia stato un sereno Natale per tutti.
Torno sul blog per un nuovo appuntamento con la rubrica Storytelling Chronicles e offro il mio spazio a Anne Louise Rachelle.

                                  

Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica nuova invece è a cura di Federica
La tematica di questo mese prevedeva inserire Babbo Natale, il Grinch, la Befana e un regalo, il tutto con un limite di parole, vediamo Anne cosa ha tirato fuori dal cilindro, prima però vi lascio alle sue parole.

Questo racconto merita una piccola premessa. Forse, per la prima volta nella storia della rubrica, ho scritto un vero stand alone, le poche parole a disposizione (Grazie a Laretta nostra! xD) mi hanno costretta a frenare la fantasia (il che non è sempre un male!).
Detto questo, spero tanto che i riferimenti alla tematica siano chiari e che vi facciano emozionare tanto quanto hanno fatto con me. Buona lettura! 

ATTO DI CORAGGIO


Questa mattina, la fuga mi era parsa la scelta più saggia. Adesso, dodici ore dopo e parecchi gradi in meno, non ne ero più così sicuro. Non che mi fossi mai considerato davvero saggio, a quindici anni, avrei sfidato chiunque a esserlo.
Mi trovavo in un vicolo adiacente la strada principale, addobbata per le feste, a soffiare nelle mani chiuse a coppa: erano gelide benché ricoperte da un paio di guanti dalle dita tagliate. Non erano sufficienti a scaldarmi, proprio come il misero berretto che ero riuscito a recuperare e la giacchetta poco adatta alle temperature rigide del Nord. Ma non sarei comunque tornato indietro, non avrei sopportato una nuova famiglia, l’orrore che puntualmente si nascondeva dietro vuote promesse e falsi sorrisi.
Fine. Ero pronto a farmi bastare la casa-famiglia fino alla maggiore età, fino a quando non sarei stato abbastanza grande per badare a me stesso. In fondo, era ciò che facevo da quando avevo quattro anni e i miei genitori mi avevano abbandonato. La dose successiva era sempre stata più importante di me, e non gliene facevo una colpa. O forse sì, ma non ero disposto ad ammetterlo, perché, facendolo, avrei riconosciuto l’estremo bisogno di quell’affetto che mi avevano sempre negato… un buco nero proprio al centro del petto, incolmabile, a volte bruciante, altre – la maggior parte – semplicemente vuoto e insensibile.
Avevo smesso di sperare che qualcuno sarebbe arrivato per salvarmi già dal mio primo affidamento in quella che doveva essere una famiglia per bene, ma che si era rivelata un incubo sotto ogni aspetto. Quindi, perché insistere a illudersi?
Tanti bambini continuavano a farlo, nonostante la paura, la violenza, la consapevolezza di essere nulla più che un numero, un oggetto, o addirittura una nullità. Ma io, per fortuna, non ero stato mai tra quelli, forse ero tra i più fortunati, perché – a dispetto di molti di loro – non avevo mai avuto un vero termine di paragone. Non sapevo cosa fosse una famiglia amorevole, una casa accogliente, un abbraccio disinteressato.
Miss Dyanne, la direttrice dell’Istituto da cui entravo e uscivo, era la figura più stabile su cui avessi mai fatto affidamento, ma per quanto lei si impegnasse, non poteva fare da mamma a oltre cinquanta di noi… faceva semplicemente del suo meglio. E a me era sempre bastato, insieme a tutti i libri che mi prestava di nascosto, per non creare malumori o invidie. Per questa ragione non avrei accettato più affidi, me l’ero ripromesso mesi addietro, dopo l’ennesima selva di pugni, la mia conseguente fuga e il mio rientro alla casa-famiglia. Lo avevo detto chiaramente a Miss Dyanne, con il naso e il sopracciglio ancora sanguinanti. Lei non aveva alcun potere decisionale, mi aveva risposto con una voce rotta dal dispiacere mentre medicava le mie ferite. Certo, avrebbe presentato una segnalazione, ma quante ne aveva fatte negli anni? Ne portavo le cicatrici addosso. E comunque non era cambiato nulla.

Un motivetto natalizio arrivò fino a me, ricordandomi in che periodo dell’anno fossimo. Non che avessi mai avuto chissà quali aspettative per il Natale. Non mi ero mai bevuto le scemenze che vi avevano costruito intorno in nome del consumismo, neppure quando ero piccolo. Non avevo mai creduto che i desideri potessero essere realizzati, questa era la vera bugia, la più terribile.
Fissai un gatto randagio annusarmi gli anfibi, più interessato alla ricerca di cibo che a un po’ di compagnia. Mi avrebbe fatto comodo il suo calore, ma non osai sperare nemmeno in questo. Chi non si illude ha meno probabilità di ritrovarsi col cuore infranto…
Preso da questi torbidi pensieri, non mi accorsi subito di qualcuno che imboccava di corsa il vicolo, né quel qualcuno si rese conto che sulla sua strada c’ero proprio io… e così, lo scontro fu inevitabile.
Mi ritrovai gambe all’aria in meno di un istante. Quando aprii gli occhi, prima di percepire la schiena dolorante e il poco fiato che usciva a stento dai miei polmoni, scorsi due occhi enormi e chiari. Sbattei le palpebre parecchie volte per mettere a fuoco il viso a cui appartenevano: una ragazzina poco più giovane di me.
Un gemito di dolore mi uscì dalle labbra e questo sembrò rompere l’intreccio dei nostri sguardi. Lei si spostò velocemente, alzandosi con uno slancio, mi porse subito la mano per aiutarmi a fare altrettanto.
«Mi dispiace un sacco, non ti ho proprio visto! Stai bene?»
 Indossava cappellino e guanti rosso fuoco, in tinta con i risvolti di un cappottino elegante. I riccioli castani le ricadevano sulle spalle, un po’ scompigliati per via dello scontro, e le guance arrossate per il freddo – e forse anche per l’imbarazzo – spiccavano come fragole sulla carnagione pallida. 
«Ti ho fatto battere la testa? Hai dolore?» Solo quando si chinò verso di me, per sincerarsi che non avessi una ferita nascosta, mi resi conto che mi ero imbambolato a fissarla.


«Sto bene» dissi, scuotendo il capo e alzandomi senza accettare la sua mano tesa. «La prossima volta, però, guarda dove metti i piedi.» 
Un rimprovero ci stava davvero bene, benché sulla punta della lingua avessi un milione di domande.
«Lo so, sono imperdonabile! Solo che stavo cercando di nascondermi, avevo poco tempo e questo posto mi è sembrato perfetto…»
 Aveva gli occhi lucidi e la voce le tremò sulle ultime parole.
«Nasconderti da cosa… da chi?» Un senso di allarme mi si agitò dentro. Non mi impicciavo mai degli affari altrui, ma non riuscivo a restarmene immobile se qualcuno si trovava in pericolo. E anche di questo portavo le cicatrici addosso, a ricordarmi quanto fossi idiota.
«Non lo so. Cioè, non saprei dirtelo. Sono uscita da sola perché volevo comprare un regalo a mio padre, sai… una sorpresa. Ma mi sono sentita osservata, una sensazione davvero orribile. F-forse, ti sembrerà un’esagerazione, m-ma mi sono messa a correre con l’assurdo b-bisogno di nascondermi…»
«Ehi, calma. Respira.» Stava per avere un attacco di panico, era evidente dal suo respiro affannoso, dalle sillabe che sembravano non riuscire a venire fuori dalla gola senza inciampare. 
Mi avvicinai appena. «Dentro e fuori, dentro e fuori, così.» La aiutai a calmarsi, prima di proseguire. «Non è stato intelligente venire qui, però. Quando si ha paura, meglio stare tra le persone, non in un vicolo deserto…»
«Qui ho trovato te.» Mi rispose con un mezzo sorriso. «E mi stai aiutando senza prendermi in giro…»
«Sei stata semplicemente fortunata. Ora, dovresti tornare a casa. Se vivi qui vicino potrei…» 
Non feci in tempo a offrirmi per riaccompagnarla che una luce potente invase lo spazio in cui ci trovavamo. La voce che udii dopo mi raggelò il sangue nelle vene.
«Eccoti qui, teppistello. Sapevo che avrei dovuto controllare tutti i vicoli maleodoranti del quartiere per stanarti…» 
Il vicesceriffo Grumble. Uno degli uomini più crudeli e insensibili che avessi mai incontrato. E non si poteva dire che fossi un novellino in materia. 
«Che stai facendo qui? Signorina, la sta importunando?» Mi sarei quasi messo a ridere se non mi avesse afferrato per un braccio e me lo avesse torto dietro la schiena con violenza. Sbattermi contro il muro sudicio non era affatto necessario, ma lo sapevo che non si sarebbe fatto sfuggire l’occasione di punirmi. Ero stato una spina nel fianco per lui, negli ultimi tempi: detestava dover rispondere alle richieste di aiuto di Miss Dyanne ogni volta che scappavo. Lui era uno di quelli per cui noi orfani eravamo solo un peso per la società.
«Faccia piano! Lo lasci andare! Non mi ha fatto nulla!» La voce indignata della ragazzina mi giunse alle orecchie e mi parve meravigliosa, anche se avevo il lato del viso completamente schiacciato contro il cemento.

«Non dovrebbe famigliarizzare con questa feccia, signorina. Se è capitata qui per caso, le consiglio di tornare a casa. Vuole che l’accompagni?» La percepii quasi rabbrividire, anche se faticavo persino a vederla dalla mia scomoda posizione.
«No, abito qui vicino. Ma lei non dovrebbe comportarsi…»
«Non si intrometta, signorina, ho le mie ragioni. Adesso, può andare, e stia attenta.» Lo sdegno della ragazza quasi mi commosse, benché ero certo che non avrebbe potuto fare nulla per aiutarmi, nessuno avrebbe potuto.
«Grazie.» Si era rivolta a me e uno strano senso di tepore avvolse per un solo istante il buco al centro del petto. Strinsi i denti, un addio, e lasciai che il gelo tornasse a regnare.


***

«Vicesceriffo Grumble, le sembra il modo di trattare un ragazzo? Lo guardi, ha il volto tutto escoriato. Non può approfittare della sua posizione per fare quello che gli pare. Questa volta non gliela farò passare liscia; quando arriverà il nuovo sceriffo, stia certo che riferirò ogni cosa…» Le lamentele di Miss Dyanne mi arrivavano ovattate, confuse, provenienti da un luogo lontano da cui mi ero volutamente estraniato. Forse, era colpa del senso di sconfitta per la mia impresa fallita, oppure del gelo che mi era entrato nelle ossa e che non c’entrava nulla con l’inverno. Nemmeno la coperta di lana con cui Miss Dyanne mi aveva avvolto riusciva a riscaldarmi. E continuavo a tremare, cosa che feci con ancora più forza quando notai una piccola valigia dietro la scrivania del vicesceriffo. La mia piccola valigia.


Improvvisamente, un senso di claustrofobia mi prese la gola e non solo avrei voluto fuggire, ma anche morire mi parve un’opzione migliore che andare nella nuova famiglia scelta per me… Strinsi gli occhi forte e cercai di respirare. Dentro e fuori, dentro e fuori, proprio come avevo detto alla ragazza nel vicolo. Un elfo, ecco a cosa assomigliava, un vero elfo delle nevi, con quella sua pelle bianchissima, gli occhi cristallini e il nasino all’insù. Nel ripensare a quel volto a cuore, mi sentii un po’ meglio, anche se ero lontanissimo dallo stare bene.
Dopo qualche istante, però, fui costretto a tornare alla realtà e a seguire la conversazione che si stava svolgendo nel piccolo ufficio del vicesceriffo. Un omone alto quasi due metri aveva fatto il suo ingresso, rendendo lo spazio ancora più angusto. Portava una corta e folta barba bianca, benché non sembrasse superare i quarant’anni; il cinturone delineava un fisico possente e nerboruto; gli occhi erano azzurro cielo, circondati da piccole rughe d’espressione. E mi fissava solerte, quasi a voler attirare la mia attenzione a ogni costo.
«Sceriffo Nicholls, non è come pensa, il ragazzo è un vero demone. Mi ha aggredito e ha cercato di fuggire, oltre al fatto che aveva incastrato una ragazzina in un vicolo e sono arrivato appena in tempo, sennò chissà cosa le sarebbe accaduto…»
Che falso, pezzo di merda!
«Non può credergli, sceriffo! Lei non può saperlo, perché è nuovo, ma quest’uomo ha sempre preso di mira Trevis. È vero, è un soggetto difficile, ma non è mai stato violento! Evidentemente, se ha reagito, è perché si è sentito minacciato…»
D’improvviso, gli occhi mi diventarono umidi nell’udire le parole della direttrice, era sempre stata l’unica dalla mia parte.
«Reagire contro un pubblico ufficiale è un reato, Miss Dyanne, non lo dimentichi!»
Il vicesceriffo aveva quasi gli occhi di fuori per la collera.
In tutto questo, colui che doveva essere il nuovo capo non aveva fatto altro che fissarmi, mentre si toccava ritmicamente la barba. Sembrava che mille pensieri lo tormentassero e lui li stesse scacciando via con quel gesto.
«Adesso basta. Mi avete detto le vostre ragioni.» 

                               
Lo sceriffo parlò con voce profonda e autoritaria. Infatti, tutti i presenti si zittirono all’istante. 
«Aeris, vieni.» E allora, il mondo sembrò crollarmi sotto i piedi, oppure stavo semplicemente volando? «Vicesceriffo, è questa la ragazza di cui mi parlava?» Uno sbuffo sorpreso e poi imbarazzato venne fuori dalle labbra di Grumble, mentre io non riuscivo in alcun modo a staccare gli occhi dalla nuova venuta. Aeris, il piccolo uragano che mi aveva travolto – in tutti i sensi – solo poche ore prima. 
«Si dà il caso che sia mia figlia e che mi abbia raccontato esattamente cosa è accaduto… Perciò, si consideri sollevato dal suo incarico e attenda la chiamata da una commissione disciplinare. Le consiglio di chiamare il sindacato per farsi rappresentare, tutte le segnalazioni della Direttrice a suo carico saranno attentamente vagliate. Adesso, la prego di lasciare distintivo e pistola e andare via.» 
Era chiaro che il diretto interessato avrebbe voluto ribattere, ma il tono definitivo dello sceriffo Nicholls non gli aveva dato spazio per replicare. Invece, Miss Dyanne quasi saltellò per la gioia, battendo le mani.
Nemmeno dopo quella scena pazzesca, che mi aveva lasciato allibito, riuscii a distogliere lo sguardo da Aeris. Il suo sorriso smagliante pareva fatto di luce e non di labbra e denti. Era assurdo, ma in tutto quel trambusto, non avevo proferito neppure una parola… e la prima che dissi fu: 
«Ciao…» Brillante!
«Ciao!» Lei mi salutò e poi si girò verso il padre, esortandolo con un buffo cenno del capo a dire qualcosa… che doveva essere importante, vista la sua insistenza.
«Oh, certo! Miss Dyanne, è tutto pronto?» A quel punto, fui costretto a voltarmi verso la Direttrice, non avevo potuto ignorare il rumore delle sue scarpette col tacco mentre aggirava la scrivania dell’ex vicesceriffo e afferrava la mia valigia. La vidi annuire verso l’uomo e poi mi si piantò di fronte.
«Trevis, lo so che te l’ho ripetuto troppo spesso, ma ora più che mai devi fidarti di me. Questa volta sarà l’ultima, te lo prometto.» Mi prese il viso tra le mani: era la sola persona a cui le permettevo di toccarmi ed era l’unica che mi aveva riservato un qualche gesto di tenerezza. Cercai di mettere a fuoco le sue parole, ma ogni pensiero sembrava incastrato tra il terrore e la speranza. 
«Consideralo il mio regalo di Natale. Meriti un po’ di felicità, bambino mio.» Poi, mi abbracciò, stringendomi talmente forte che mi fece mancare il respiro, oppure era il panico a volermi abbattere a ogni costo?
«Benvenuto in famiglia!» La voce dello sceriffo arrivò benevola, come se mi conoscesse da sempre e non mi considerasse un teppista orfano senza passato.
«Benvenuto, Trevis!» Aeris rincarò, scavando in profondità, in un cantuccio di quel buco nero che pensavo sarebbe rimasto per sempre vuoto e desolato.

Famiglia. Che suono strano aveva quella parola.
Fissai tutti i presenti, incredulo, uno per volta. Miss Dyanne con il suo sguardo dolce e incoraggiante, lo sceriffo Nicholls con il suo aspetto bonario e rassicurante, Aeris con il suo magico sorriso.
E se fosse stata un’illusione fomentata da quella insistente atmosfera natalizia? Forse avevo sempre vissuto con la Befana, il Grinch era stato uno dei miei aguzzini, avrei abitato sotto lo stesso tetto di Babbo Natale, dopo essere stato prima travolto e poi salvato da un piccolo elfo… Sarebbe stato davvero orribile scoprire di essermi addormentato in quel vicolo buio o di esservi morto congelato. Un sogno, una visione, non so cosa sarebbe stato peggio.
Oppure, avrei solo dovuto fidarmi. Di Miss Dyanne e di Chiunque avesse architettato tutto questo. Mi veniva chiesto un ultimo atto di coraggio: credere, solo per una volta, a una promessa di felicità.
E io presi la mia decisione: non mi sarei tirato indietro.

                                  

E siamo giunti alla fine, cosa ne pensate?
Vi aspetto nei commenti

                                             

Copyright @ 2024 Anne Louise Rachelle

Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.

2 commenti:

  1. Oh Anne Louise 😍 mi è piaciuto davvero tanto!
    Oltre a non aver usato una classica sfumatura per i tre personaggi obbligatori che dovevano usare, hai creato un contesto davvero sorprendente con un protagonista che non si fa voler bene sin dall'inizio, ma per il quale spingi a fare il tifo fino alla fine
    Mi è piaciuto molto anche il ruolo di questa piccola "elfo" e sinceramente vorrei poter leggere altro su di loro! Brava davvero.

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  2. E' davvero una favoletta perfetta per questo periodo, sei stata davvero brava a inserire gli elementi creando un filone narrativo commovente e dal lieto fine poi bisogna anche dire brava per lo stand alone decisamente questa tematica ti ha ispirata molto

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