venerdì 29 maggio 2020

Rubrica: Storytelling Chronicles La casa dei ricordi di Anne Louise Rachelle

Ciao a tutti amici lettori e buon venerdì.
Maggio è quasi finito e mi sembra sia volato, anche per voi è così?
Per concludere in bellezza il mese ecco di nuovo la Rubrica Storytelling Chronicles dove non sarò io ospite bensì una collega, Anne Loise Rachelle e che oggi ci regala il suo racconto.



Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog  La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica è invece a cura di Tania del blog My Crea Bookish Kingdom
L'argomento di questo mese era tema libero e Anne Louise ha deciso di omaggiarci con il seguito della storia di Connor e Morrigan di cui ha già parlato QUI.
Pronti quindi?
Allora cominciamo.

La casa dei ricordi

Morrigan

Ecco, ecco, che la Natura mi castigava! L'avevo sfidata impunemente, alzando il mento verso le nubi nere cariche di pioggia e minimizzando la loro pericolosità. Non del tutto soddisfatta della follia appena architettata, ne avevo affiancata una seconda: la decisione di prendere la bicicletta. In realtà avevo fatto tutti i miei calcoli, non credete, l'idea era semplice: pedalare come se non ci fosse un domani fino alla mia destinazione finale, anticipando il terribile, ennesimo, temporale che di sicuro si sarebbe abbattuto sulla cittadina.
 I tuoni in lontananza mi avevano avvisata in ogni modo, persino qualche fulmine era spuntato a illuminare un cielo tanto buio da imitare quello notturno, anche se in realtà erano solo le quattro del pomeriggio. Ma nulla, non c'era stato niente da fare, io DOVEVO andare da lui per dirglielo, lo so che non era poi chissà quale notizia – di sicuro mi avrebbe guardata come se fossi una pazza scatenata, e questa certezza aumentava in maniera direttamente proporzionale all’acqua assorbita dalle mie ossa – ma non riuscivo ad aspettare. Erano tre giorni che fremevo, mi dibattevo, mi contorcevo nell'attesa che il tempo migliorasse e mi permettesse di raggiungerlo. La notte appena trascorsa avevo fatto un sogno ed io non ero in grado di ignorarli i miei sogni, soprattutto quando sapevo che nascondevano un messaggio; in questo caso, nemmeno troppo velato. Sapevo dove viveva, o meglio, lo presumevo. Se la mia deduzione era esatta – e la sua presenza alla casa sull'albero mi dava ottime probabilità – allora lo avrei trovato nel luogo in cui la mia infanzia si era trasformata in giovinezza e il mio dolore si era sopito tra le pieghe di un amore incondizionato. Come avevo fatto a non riconoscerlo prima? Come avevo fatto a non collegare tutto proprio quella sera? È vero, dopo il nostro rocambolesco incontro, Connor aveva deciso di andare via, troppo in fretta per quanto mi riguardava. E poi, perché non ammettere anche questo? Il mio cervello era andato in completo corto circuito. Ah, che idiota patentata ero stata. L'avevo aiutato ad alzarsi, avevo persino udito le sue ossa scricchiolare nello sforzo e il mio sguardo era stato calamitato dalla sua mascella contratta per la sofferenza. Non avevo osato aprir bocca, chiedere, indagare, anche se la curiosità mi scavava dentro lo stomaco come un dannato roditore. Cosa gli era successo per ridursi in quel modo? Era forse malato? A fatica aveva disceso la scaletta a ritroso e solo dopo qualche parola di circostanza che comprendeva un “ci vediamo in giro” e un laconico “buonanotte” si era dileguato. Il suo passo, benché claudicante, era stato tanto silenzioso da farmi pensare che il crepuscolo se lo fosse semplicemente inghiottito. Che storia allucinante! 

Una sbandata improvvisa rischiò di farmi finire a gambe all'aria, solo la mia grande esperienza di ciclista mi aveva evitato fratture multiple o peggio! Concentrata, dovevo restare concentrata oppure la sfida contro la natura non l’avrei mica vinta.
Pedalai, pedalai, pedalai, prendendo un attimo di respiro solo nei pressi della casa sull'albero. La usai per ripararmi e rassettarmi un minimo la piccola tracolla e il caschetto che rischiava di scivolare di lato. Poi ripresi il viaggio e mi stupii di ricordare alla perfezione la strada anche se erano ormai un paio d’anni che non la percorrevo. Un lampo improvviso rischiarò a giorno il bosco e la fine del sentiero che sbucava direttamente in un piccolo giardino. L'acqua mi impediva di vedere bene, ma conoscevo ogni angolo come se fosse casa mia, perciò non ebbi difficoltà a superare il roseto, a scartare alcuni attrezzi abbandonati nell'erba, a scavalcare dei gradinetti di pietra che portavano al vecchio pozzo e a parcheggiare di fronte al portico illuminato. La lanterna in ferro battuto, a forma di gatto, mi accolse col suo oscillare festante, o almeno di questo volli convincermi perché lo sapevo bene che era il vento a renderla tanto gioiosa. Tuttavia, dovevo distrarmi dal magone che mi stringeva la gola, anche se i motivi erano così tanti che trovare la forza per farlo non era affatto facile.
Adesso che ero qui, il casco tra le mani tremanti, le gocce di pioggia ormai fuse alla mia pelle, i capelli – in origine stretti in una treccia marziale – che sbatacchiavano sul viso come frustini impertinenti, avevo paura. Un'altra punizione per la mia insolenza? Alzai il volto, lasciando che anche il cielo fustigasse gli zigomi, le palpebre chiuse, la fronte scoperta. Folle, folle, folle, ecco cos'ero. Ma non ebbi tempo di decidere cosa fare: provarci o andare via? Perché il trambusto del mio arrivo non poteva certo essere passato inosservato! Eppure avevo confidato nei tuoni rombanti e nella pioggia battente per avere il tempo di capire… o di fuggire? Tempo del tutto sprecato a farmi inondare come una barchetta con una falla sulla piccola fiancata.
L'immagine di Connor mi colpì come uno schiaffo in pieno viso e non chiedetemi il perché. La vista appannata dall’acqua avrebbe dovuto smorzare ogni contorno, ogni emozione, ogni paura e invece, pareva averli amplificati. Un paio di scalini mi separavano dall'entrata e da lui. Un paio di scalini sufficienti ad assimilare il profilo delle sue spalle larghe, dell'espressione sorpresa dipinta su un volto troppo pallido, del labbro inferiore artigliato da denti nervosi.
«Morrigan?» Era una domanda retorica, ovvio, ma la sua voce graffiata riuscì lo stesso a fendere la mia patina di sciocca immobilità. Chissà che idiota dovevo sembrargli
«Sì, sono io! Ciao… cioè, scusami se arrivo senza preavviso, in realtà non sapevo come contattarti… o meglio, volevo solo dirti una cosa… ma adesso che sono qui mi sembra così stupida da farmi desiderare una bella voragine in cui sprofondare!» L'ultima frase l'avevo appena sussurrata, ma in qualche modo lui l'aveva intuita perché mi rispose con un mezzo sorriso. No, non era canzonatorio, intendiamoci, o almeno lo speravo. 


«Perché non lasci giudicare me? E magari me la dici dentro, al caldo, dopo che ti sarai strizzata per bene, eh?» Con una mano mi fece segno di avvicinarmi ed io decisi di assecondarlo solo dopo un lungo istante in cui desiderai davvero scomparire nella foschia della tempesta.
Lo raggiunsi e lui mi fece subito entrare tirandomi per un gomito. Aveva capito che tentennavo per paura di inondargli la casa, ma come faceva a leggermi nel pensiero? D'istinto, mi abbracciai e rabbrividii. Dentro la temperatura era gradevole ma non caldissima, eppure, lo sbalzo termico mi fece tremare. Rimasi nell'androne per un tempo incalcolabile, osservando le fiamme scoppiettare nel camino, le cornici familiari sulla superficie di marmo levigato, i quadri a olio appesi alle pareti – gli stessi su cui avevo inventato decine e decine di storie! –, la poltrona imbottita ricoperta da una mantovana ricamata a mano. Tutto, tutto era come lo avevo conservato nei ricordi.
Sussultai quando udii il ciabattare strascinato di Connor, o meglio, che apparteneva a lui lo scoprii solo alzando lo sguardo e venendo via dalla morsa del passato. Puntai gli occhi sul grande asciugamano che mi porgeva per evitare di fissarlo, perché sì, ero certa che lo avrei fatto se mi fossi concessa di guardare un po' più su… Sfiorai le sue dita, erano fredde ma lui le ritirò subito dopo e via ecco che riprendeva a ciabattare, questa volta verso la cucina.

«Asciugati più che puoi e mettiti di fronte al fuoco, io intanto vedo se riesco a trovare un tè o qualcosa di simile che non sia vecchio di anni, ma non garantisco…» Era scomparso alla vista, ma la sua voce parve risuonare nella mia testa tanto era vibrante. Ancora non ero riuscita a inquadrare quel tono basso e graffiato, che osavo definire “antico”.
«Prova a vedere nel pensile sopra la vetrinetta, quello più distante dalla cucina. Tua nonna conservava lì le tisane alle erbe che preparava, in dei barattoli di vetro chiusi ermeticamente. Essiccava tutto, quindi non dovrebbero essere andate a male…»
Come c'era da aspettarsi non ricevetti alcuna risposta, udii alcuni passi e stimai l'apertura dello stipetto che avevo appena indicato. Ancora silenzio. Mi misi il telo sui capelli e mi celai del tutto al mondo, a Connor, alla sua reazione. Iniziai a frizionare le ciocche grondanti e cercai di estraniarmi. Idiota, idiota, idiota!
Una mano bloccò il mio movimento frenetico e mi costrinse a uscire allo scoperto. Cauta, presi a scandagliare la sua espressione. E non vidi nulla di ciò che mi aspettavo. Avrei dovuto trovarci sorpresa, sospetto, irritazione, ma in realtà vidi riflesso nelle sue iridi scure il mio stesso sguardo indagatore, oltre alle fiamme rosse del camino. Con un dito disegnò il profilo del mio naso, delle labbra, poi afferrò il mento e mi fece ondeggiare il viso da destra a sinistra.
«Non puoi essere tu, la “streghetta”. Non puoi… credevo fossi molto più giovane e non conoscevo il tuo nome fino a qualche giorno fa…» Il cuore mi batteva praticamente in gola, non più nel petto. Aveva parlato in un sussurro, come se mormorasse a se stesso delle verità nascoste, ma era stato il suo tocco gelido abbinato alle parole più strabilianti che avessi mai potuto udire a farmi andare in iperventilazione.
«Tua nonna mi chiamava così, anche se tua mamma la rimproverava sempre. Diceva che Morrigan era un bellissimo nome e che non doveva farmelo dimenticare. Lo so, non ho scelto il modo migliore per dirtelo…» mormorai a mia volta, incapace di staccarmi da quello strano tripudio di emozioni. Ma – fortunatamente e non – fu lui a rompere l’incanto, o quasi. Smise di toccarmi ma non di fissarmi. Non riuscivo a decifrare le sue di emozioni, mentre le mie dovevano essere ben evidenti sulle guance arrossate e le dita strette in una morsa spasmodica sull’asciugamano. 


«È per questo che hai affrontato un tempo da lupi? Per dirmi che avevi capito chi fossi e che conoscevi mia nonna e mia madre?» mi chiese piano, piegando un po' la testa di lato come a volermi cavare la risposta direttamente dai pensieri, ma in fondo conoscendola già. Altra domanda retorica, che meraviglia! Io annuii senza la forza di fare o dire altro. Lui, dal suo canto, raccolse il mio assenso e si voltò per dirigersi di nuovo in cucina.
Questa volta non potei fare a meno di osservarlo meglio. Benché tenesse la schiena dritta, era palese che gli costasse molta fatica; trascinava le gambe come se fossero fatte di legno; le braccia erano rigide lungo il corpo. Non riuscivo a capire cosa avesse che non andava. La maglia nera a maniche lunghe non permetteva di scorgere nulla, anche se fasciava alla perfezione un fisico snello e asciutto. Sicuramente allenato di routine, ma adesso in qualche modo emaciato… trascurato. Ero certa, non per sua volontà.
Quando scomparve ancora una volta oltre l’angolo, mi accorsi di essere in debito d'aria. L'avevo fissato senza vergogna trattenendo il respiro! Meno male che non si era girato all'improvviso. Mi passai con stizza l’asciugamano sul viso e corsi ad accoccolarmi sul tappeto di fronte al camino.
Cercai di ricordare quelle poche volte che nonna mi aveva parlato del suo nipotino. Non lo faceva spesso perché la sua assenza la faceva soffrire, infatti, i suoi occhi lucidi erano impressi a fuoco nella mia memoria. Ciò nonostante, rammentavo vagamente che lui si era arruolato e lavorava quasi sempre all'estero, per questa ragione non tornava a casa così di frequente. Anzi, passavano addirittura anni. Ciò era confermato dal fatto che io non l'avevo mai visto negli ultimi otto. La nonna scriveva montagne di lettere e ne riceveva in risposta, anche se non nella stessa quantità. Non potei fare a meno di riflettere sulla caterva di biscotti extra che avevo ricevuto in quelle giornate speciali. E sì, lo avevo ringraziato molte volte coi pensieri, dedicandogli persino qualche boccone pieno di zucchero.


Poi, avevo rimosso ogni cosa! Nonna aveva smesso di parlarne del tutto ed io ero cresciuta. Per questo non avevo collegato la casa sull'albero a lui, nada, tabula rasa, il nulla. Che sciocca ero stata, e invece, adesso, era tutto dannatamente chiaro. Connor aveva giocato in quel piccolo rifugio, ci aveva nascosto i suoi oggetti più preziosi, poi era partito, aveva vissuto la vita militare, la guerra e chissà cos'altro e non era più tornato se non i primissimi tempi, anteriori al mio arrivo in questa splendida casa. Con ogni probabilità la nonna gli aveva parlato di una vispa bambina, ospite dell'orfanotrofio dove – assieme alla figlia – facevano volontariato; i suoi capelli erano color del fuoco, il nasino ricoperto di lentiggini dispettose e gli occhi cerulei tanto tristi da far invidia a una bambola rotta. Eppure, quella bambina era tornata a sorridere, a giocare, a intrecciare fili d'erba. Aveva imparato a modellare il legno, ad amare il suo profumo inebriante e le callosità che le sue dita affusolate nascondevano. Era cresciuta con l'amore di una famiglia straordinaria, famiglia un po' particolare, certo, ma che le era stata strappata via troppo presto.
“Anche lui si ricorda di me…” mi ripetevo ancora e ancora. Quanto è paradossale il destino? Quante possibilità c'erano di incontrarsi dopo tutti questi anni senza esserci mai visti prima? Avevo la sensazione che ci fosse lo zampino della nonna in tutto questo, forse voleva che aiutassi Connor in qualche modo? O forse era tutta una mia fantasia? Eppure, nel mio sogno mi aveva mostrato il suo sorriso più bello, quello con cui mi incoraggiava a non mollare quando mi trovavo di fronte alle prove più difficili. 

Strofinai ancora i capelli con un gesto di esasperazione, solo quando riportai indietro la chioma – ormai degna del più complesso nido di rondine – mi accorsi della presenza di Connor, con una tazza fumante in mano e il profilo rischiarato dal bagliore del fuoco.
Sussultai – ancora! – per lo spavento, non avevo udito il suo ciabattare, oppure aveva silenziato il suo passo di proposito per studiarmi nelle mie elucubrazioni mentali. Posai con cura il telo accanto a me e imposi al cervello di darsi una benedetta calmata, poi lo imposi anche al cuore, ai polmoni e a tutto il resto del corpo. Andava tutto bene, sarebbe andato tutto bene. Respirai a fondo e…
«Ecco, bevi, sei intirizzita.» Afferrai la tazza bollente e la strinsi forte per bearmi del suo tepore, poi lo guardai sedersi sulla poltrona accanto a me. L’espressione ingabbiata in una parvenza di impassibilità, ma i suoi occhi erano velati: soffriva. Prima che una domanda inopportuna sfuggisse dalle mie labbra, continuò a parlare. «Stasera resterai qui, non so dove abiti, non è prudente mettersi alla guida e fuori sembra che si siano incontrati i temporali di tutto il continente. Proverò a cercare degli abiti di mia madre, dovrebbero essere tutti lì, al loro posto.» Guardava le fiamme, le dita intrecciate sul grembo, la calma sembrava fare parte di ogni sua cellula. Qualcosa dentro di me, però, mi urlava che era tutta una maschera. Ed io non volevo che la mia presenza lo costringesse ad essere ciò che non era.
«Resto, per non farti preoccupare. So di aver fatto una stupidaggine a venire qui, ma sono fatta male, appena mi frulla un’idea in testa non ho pace fino a quando non la realizzo. Se poi ci si mettono pure i sogni…» Il suo sguardo adesso era incatenato al mio. «Beh, questo sì che è imbarazzante, ma dopo la serie di figuracce a cui hai assistito non temo più nulla. La verità è che circa tre giorni fa ho collegato tutto, arrivando alla conclusione che eri quel nipote tanto amato. Poi, è venuto giù il cielo! Non smette di piovere da allora, così appena c’è stata una piccolissima tregua ho deciso di approfittarne… anche perché stanotte ho sognato tua nonna. Sorrideva. Non potevo rimandare ancora.» Davvero gli avevo raccontato ogni cosa? La pioggia doveva aver mandato in corto il mio cervello, di nuovo!
«La sogni spesso?» Tra tutte, quella era l’ultima domanda che mi sarei aspettata.
«Abbastanza. Tu no?» La mia però le superava tutte in stupidità.
«No. Non sogno mai la mia famiglia» mi rispose laconico, ma fu come ricevere una lama in pieno petto. «Ma è giusto così. In fondo perché dovrei? Non c’ero neppure quando se ne sono andate. Invece tu eri accanto a loro, vero?» 


Non riuscivo a parlare, un nodo stringeva la gola e un fiume di lacrime premeva agli angoli degli occhi. Capire cosa fosse a farmi stare più male non era semplice. Il suo tono quasi impersonale? I ricordi che parevano viaggiare come saette nella mia mente? Annuii. «Allora non erano sole…» concluse, tornando a fissare il niente di fronte a sé. Vidi danzare nelle sue iridi, molto simili all’onice, solo le sfumature aranciate delle fiamme, com’era possibile? Dove diamine erano il dolore della perdita, l’amarezza del ricordo, l’angoscia della solitudine?
«Perché non sei tornato? Dopo, intendo…» chiesi timidamente. Lo sapevo che non erano affari miei, anzi ero stata a dir poco impertinente, ma come al solito frenare la lingua era un’ardua impresa.
«Avrei dovuto farlo prima, più spesso, a quel punto che senso avrebbe avuto? Avevo visto già fin troppi cadaveri e non avevo alcuna intenzione di assommare anche i loro ai miei ricordi.» C’era tanto altro che non diceva, ma di sicuro quelle parole mi ricordarono molto un miracolo. «Come vedi non sono bravo nella conversazione, negli ultimi mesi non ho avuto modo di esercitarmi molto!» Il sarcasmo trasudava da ogni sillaba, doveva per forza aver notato il mio smarrimento dopo la sua ultima risposta
«Non è questo, è solo che avevo dimenticato la tua esistenza. Ora che ci penso, come me, nemmeno i tuoi parenti ti hanno mai nominato. Neanche in quella terribile occasione…»
«Normale amministrazione. Nessuno di loro aveva approvato la mia scelta. E devo dire che, adesso che sono tornato, la cosa non mi dispiace affatto. Senti che pace…» Un tuono improvviso fece tremare i vetri delle finestre e la luce delle lampade. «Beh, si fa per dire.» Sentirlo ridacchiare, anche se con ironia, era stato un altro di quei famosi miracoli. Non avrei dovuto giudicare o impicciarmi, ma non era così semplice restare in disparte.
«Servire il proprio Paese è un onore, non qualcosa su cui dissentire…» intervenni convinta.
«Entrare nei Corpi Speciali però è tutta un’altra cosa. Ha segnato il mio definitivo allontanamento dalla famiglia. Mio padre era già morto, avrei dovuto restare al loro fianco, invece sono stato egoista.»
«A quell’età non si può prevedere il futuro, col senno di poi è facile tirare le somme…» Perché lo difendevo quando anche lui riconosceva la sua colpevolezza? Avrei dovuto dargli ragione, accusarlo di non essere stato un buon figlio e buon nipote, ma in qualche modo non riuscivo a credere a questo ritratto tanto ingannevole.
Lo vidi scuotere il capo e tornare a guardarmi. Eccola, una spaccatura nella sua maschera di legno, ed io ero un’esperta nel settore. Avrei potuto infilarci la mia sgorbia e modellarci su un sorriso, uno di quelli veri, radiosi, che raggiungono gli occhi e l’anima. Che fosse questo il mio compito?
«Vado a prenderti i vestiti, anzi, seguimi così potrai darti una sistemata in tutta tranquillità. Ho paura che così ti prenderai lo stesso un accidente.» 


Non so perché lo feci, in realtà non mi resi neppure conto di aver messo da parte la tazza e di essermi messa in piedi con un balzo, poi avevo teso il braccio nella sua direzione. La mano era aperta, in un invito ad essere stretta. L’imbarazzo aumentò nel notare i suoi occhi sgranati e piantati nei miei. Volevo solo aiutarlo ad alzarsi, da quella posizione sarebbe stata un’impresa. Ma forse… forse era tutto sbagliato. Ero stata invadente, sfacciata, stupida. Feci vagare lo sguardo altrove e stavo per tirare via il braccio quando sentii le sue dita attorno alle mie. Aveva avvolto il mio palmo, fino a coprire parte del polso. Era enorme, la sua mano. E potevo sentire qualche callosità nella curva interna. Armi?
Puntellai i piedi e gli feci da sostegno, insieme al bracciolo della poltrona, per ritornare in posizione eretta. Aspettai che sciogliesse la stretta, ma non lo fece. Sfiorò col pollice i miei calli sulle dita, vezzeggiandoli come si fa con qualcosa di grazioso. Forse potevo intuire i pensieri che gli affollavano la testa in questo momento, perché io stavo riflettendo sulla stessa cosa. Ciò nonostante, fu lui a lasciarli vibrare nell’aria circostante con la sua voce “antica”.
«Abbiamo più cose in comune di quanto immaginassi…» Ed ero certa che non si riferisse solo alla pelle ispessita dal nostro mestiere. Certezza che avrei potuto confermare ulteriormente con una domanda, una sola sarebbe stata sufficiente. Ma rimasi in silenzio, il tumtum del mio cuore poteva bastare per ora.
Solo per ora. 

Il racconto è terminato, cosa ne pensate della storia di Anne Louise?
Vi aspetto nei commenti.


Copyright @ 2020 Anne Louise Rachelle

Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.



10 commenti:

  1. Rivedere due vecchie conoscenze è stato molto bello. Ero curiosa prima e lo sono adesso ancora di più. La sorpresa che già si conoscevano non me l'aspettavo, ma soprattutto mi è piaciuto lo stile. Pulito, coinvolgente, attento, bravissima ancora una volta e sappi che faccio il tifo per loro mi piacciono molto

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Susyyyyyyy, grazieeeeee!!!!!! Spero di avere altre occasioni per riprenderli in mano nel prosieguo di questa bellissima avventura!

      Elimina
  2. Ciao Anne Louise!
    Se nel primo capitolo della storia di Connor e Morrigan avevamo visto il loro primo incontro ed avevamo iniziato a conoscerli, qui la questione si fa ancora più interessante. Avevo intuito che ci fosse una sorta di legame tra i due, ma non immaginavo fosse di questo genere, quindi mi hai sorpresa. Certo non è ancora tutto chiaro al 100%, ma sei abile nello svelare qualche dettaglio ogni volta, portando alla luce, con ogni singolo racconto, ulteriori dettagli. Stavolta abbiamo appreso qualcosa sul passato dei protagonisti, e delle indicazioni in più sul carattere e sulle ferite di entrambi.

    Mi piace molto il modo in cui hai descritto ogni particolare della casa, dei gesti, delle reazioni dei due. La storia appare vivida di fronte agli occhi del lettore e questo non è da poco. Bella anche la metafora utilizzata: Connor e Morrigan, in qualche senso, condividono "una casa", quindi, fuor di metafora, una famiglia. Entrambi, però, hanno perso delle persone sulle quali aleggia ancora il mistero... beh, speriamo di scoprire qualcosa nei mesi prossimi! Ancora complimenti, la tua storia mi è davvero piaciuta!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Silvia! Sono felice che questo secondo racconto abbia incontrato il tuo gusto e i tuoi apprezzamenti mi rendono stra felice. Spero presto di continuare la loro storia (anche se non sarà nel mese di giugno!). Ancora mille grazie e alla prossima!

      Elimina
  3. Sono veramente affascinata dai tuoi scritti, Anna Louise! Hai uno stile che incanta, e lo dico sinceramente. Se il primo racconto mi aveva colpito, questo conferma la tua bravura e la tua capacità di coinvolgere il lettore. È un piacere ritrovare i personaggi che ci avevi presentato nel precedente scritto, e scoprire di più della loro storia; sicuramente, come detto anche dalle altre, il loro legame era inaspettato, e sei riuscita benissimo a svelarlo man mano nella storia. Mi piace davvero tantissimo il modo in cui riesci a descrivere quello che vivono e sentono i due protagonisti, è perfettamente realistico e permette di empatizzare con loro ancor più facilmente. Ho apprezzato anche il modo in cui coinvolgi il lettore nella storia con dei richiami diretti, come ad esempio all'inizio del racconto, quel "non credete" che ti fa dire "Ehi, ma parla proprio con me!". Brava, brava davvero! Ti faccio di cuore i miei più sinceri complimenti! E non vedo l'ora di rileggerti per giugno :) A presto, Stephi

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Steph, che emozione leggere il tuo commento, mi ha fatto venire il magone! Sono stra felice che il mio stile ti piaccia e che questi pazzi personaggi stiano cominciando a entrare nel tuo cuore!!! Grazie grazie grazie e spero di non deluderti nei prossimi racconti 😘😘😘

      Elimina
  4. "Solo per ora", speriamo sia davvero così perché sono terribilmente curiosa di continuare questo viaggio grazie a te <3

    Mi è piaciuto tantissimo ritrovare Connor e Morrigan in quanto, al primo capitolo della loro storia, già me li avevi fatti apprezzare e, in qualche modo, mi avevano assai incuriosita entrando nelle mie corde più nascoste! Tuttavia, in questo secondo appuntamento con i due ragazzi -come sempre, scrivi molto bene e, lasciatelo dire, si nota un enorme miglioramento dalla tua prima avventura letteraria ;) Complimenti <3 -, sono ancora più colpita perché, con una snervante calma, stai facendo emergere un iceberg non indifferente ;) Perciò, se il tuo scopo era accendere la miccia dell'interesse, cara la mia Anne Louise, ce l'hai fatta su ogni fronte XD Mi hai ora e mi avrai fino alla fine ahahah <3 Non ti libererai mai di me :D Ahahah

    RispondiElimina
  5. Ciao Anne Louise
    Non puoi finire così, io devo sapereeeeeeee. Sono una persona curiosa e quando leggo non posso aspettare, devo sapere tutto subito. Ovviamente anche per il tuo racconto è stato così. Mi sono ricordata dell’incontro tra i due personaggi e mi ero chiesta cosa fosse successo a tutti e due, cosa li avesse portati in quella casetta e soprattutto chi fossero davvero. Non sapevo cosa aspettarmi, si intuisce il passato difficile di lui e i suoi problemi fisici, forse qualche ferita che lo affligge ancora, si vede la spensieratezza di lei e quindi il contrasto tra i due.
    Questo racconto da alcuni indizi e spiegazioni su chi siano i personaggi e allo stesso tempo infittisce il mistero. Cosa significano i sogni per lei? Ci sono dei messaggi nascosti? Cosa gli deve dire? Lui come la vede? Voglio sapere tutto, a quando il prossimo?
    Complimenti per la storia,
    A presto,
    Liv

    RispondiElimina
  6. Scrivi benissimo. Praticamente è un racconto scritto alla perfezione, con tutti gli elementi inseriti nelle giuste dosi.I miei complimenti.È stato un piacere ritrovare i personaggi escoprire altri particolari su di loro. Torneranno in altri racconti, vero? Silvia di Silvia tra le righe

    RispondiElimina
  7. Cosa ne penso? Che voglio un romanzo intero di loro due 😍 li adoro! Scrivi benissimo e ormai mi sono davvero affezionata a questa coppia. Bravissima!

    RispondiElimina