venerdì 31 luglio 2020

Rubrica: Storytelling Chronicles: La casa e il sogno di Anne Louise Rachelle

Ciao a tutti amici lettori.
Oggi finalmente torna l'appuntamento con la Rubrica Storytelling Chronicles non per una ma ben due volte. Ebbene sì, appuntamento doppio per concludere in bellezza il mese in corso.
Leggiamo prima la storia di Anne Louise e più tardi vi terrò compagnia con la mia.



Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog  La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica è invece a cura di Tania del blog My Crea Bookish Kingdom
L'argomento di questo mese è stato scelto da una ragazza che partecipa alla rubrica e devo dire che la sua decisione è stata bellissima - grazie Stephanie - perchè ci ha permesso di metterci alla prova ancora di più visto che abbiamo lo stesso pezzo comune a cui fare riferimento.

"Afferro al volo il pezzo di carta stropicciata che il vento ha trascinato fino ai piedi della panchina; acciuffato, lo apro e ne leggo il contenuto. E nell’esatto istante in cui quella serie di lettere, messe una dopo l’altra precisamente in quell’ordine, attraversano i miei occhi e arrivano nella testa e da lì, in una corsa impetuosa, dritte al cuore, il tempo si ferma."

Lascio però la parola a Anne Louise che ci delizierà con personaggi che già tutte abbiamo cominciato a conoscere e amare.

Ciao a tutte! Anche questo mese mi tocca fare una premessa, sì, perché sono riuscita a scrivere il racconto con tempi strettissimi a causa del lavoro, ma nonostante questo, mi è sfuggito nuovamente di mano! Mi ero ripromessa di scrivere qualcosa di breve e di impatto, ma poi le dita sono volate sulla tastiera, del tutto indipendenti dalla mia volontà, e hanno tirato fuori un racconto davvero lungo (ogni mese sembro voler superar un record, ma prometto che con il prossimo sfaterò il mito!): tutta colpa di Morrigan e Connor, avevano davvero tanto da dirsi, e se poi ci mettiamo anche lo zampino della nonna Isabelle… Comunque, bando alla ciance, spero tanto che riuscirete a leggerlo fino alla fine senza maledirmi e vi aspetto nei commenti con tanta – tantissima! – ansia.
A presto!
Anne Louise
LA CASA E IL SOGNO 

Morrigan


Afferro al volo il pezzo di carta stropicciata che il vento ha trascinato fino ai piedi della panchina; acciuffato, lo apro e ne leggo il contenuto. E nell’esatto istante in cui quella serie di lettere, messe una dopo l’altra precisamente in quell’ordine, attraversano i miei occhi e arrivano nella testa e da lì, in una corsa impetuosa, dritte al cuore, il tempo si ferma.

Cerco di impedire al cuore di balzarmi in gola, ai polmoni di lasciarmi senz’aria, alle mani di tremare. Ma non è facile, no, non lo è, perché le parole che ho appena letto hanno urlato e graffiato per poi entrarmi dentro. Prendo respiro, mi guardo attorno mentre stringo il foglio in un palmo come se volessi fonderlo alla mia pelle. Aspetto di vederla, ma forse non è così che deve andare. In fondo, il suo messaggio è già arrivato a destinazione… e io? Sarò in grado di accontentarla? Ciò che mi chiede è davvero un miracolo, raccogliere i cocci di un’anima in frantumi non è così facile. Eppure, lei non ha esitato un solo attimo: mi ha affidato questa missione come se fosse la cosa più naturale del mondo, ma io ho paura, paura di non essere all’altezza, di deluderla, di causare altro dolore.
Stiro con le dita il foglio, appoggiandolo sulla gamba nervosa. In quell’attimo, vedo comparire nuove lettere, proprio sotto il mio sguardo attento… e un sorrisino ironico colora le mie labbra. Un post scriptum mi incita a provarci comunque, senza temere di fallire, qualsiasi mia azione sarebbe meglio del vuoto e del nulla. Beh, consolante! Ma lei sa essere molto convincente quando vuole… perciò, mi ritrovo ad annuire al vento, una risata cristallina scaturisce dalla mia gola, consapevole che il mio assenso sarebbe arrivato al mittente forte e chiaro.
Ho ancora paura? Certo! Ciò nonostante, non vedo altre alternative se non fare del mio meglio.
Come sempre, stringo forte gli occhi e… mi sveglio.
Ritrovarmi in una stanza diversa dalla mia mi fece sobbalzare, ma scoprire che la stanza in questione era quella della nonna mi fece venire le lacrime agli occhi. Il sogno non era abbastanza? Quante altre fantomatiche coincidenze dovevano accadere affinché mi rendessi conto che non avevo via d’uscita?
Il timore che mi stessi inventando ogni singola cosa mi sfiorò fugace, ma lo scacciai come si fa con gli insetti fastidiosi. Nonna Isabelle mi aveva insegnato che non dovevo soffocare le mie sensazioni, che farlo mi avrebbe fatto crescere nell’insoddisfazione, e io avevo sempre tentato di mettere in pratica il suo insegnamento anche se a volte – anzi, fin troppo spesso – mi ritrovavo a compiere delle vere e proprie follie. Sì, avete capito bene, il viaggio in bicicletta in mezzo a una tempesta non era la prima in cui mi cimentavo. In paese mi ero guadagnata il soprannome di “svitata”, ma nessuno lo pronunciava mai ad alta voce in mia presenza, in fondo ero la povera orfanella su cui era caduta l’ennesima sfortuna: dei geni non del tutto sani. Solo nonna Isabelle e mamma Moira avevano creduto in me, incoraggiandomi a non cancellare i miei sogni, le immagini che si rincorrevano nella mia mente, le sensazioni che mi avvertivano nelle più disparate situazioni. Pensate che una volta mi trovavo alla casa sull’albero, mi ero appisolata, come spesso accadeva nelle sere fresche d’estate, e avevo sognato me che rotolavo giù dalla scaletta in maniera rovinosa. Appena sveglia, ero corsa alla scala e avevo visto un mio attrezzo abbandonato proprio all’inizio della discesa, attrezzo che di sicuro avrebbe causato la mia caduta: ditemi un po’ se è poco? Come sarebbe sopravvissuto il paese senza la sua svitata, nel caso in mi fossi rotta l’osso del collo? Perciò, mi divertivo un mondo a non nascondere la mia “diversità” o quella che molti consideravano tale, ma che per me era la più semplice delle realtà. Raccontavo i miei sogni se come protagonisti c’erano persone da me conosciute, li avvisavo di questo o quell’altro accadimento e, sotto sotto, ero certa che qualcuno mi dava ascolto – si sa, solo per scaramanzia! – pff, che stupidaggine. Insomma, o ci credi o non ci credi! E io ci credevo, eccome. E anche nonna Isabelle e mamma Moira ci credevano… mentre Connor? Mmh, era così fatalista, quasi cinico... anzi, senza il “quasi”. Tuttavia, non mi andava di giudicarlo troppo in fretta, a conti fatti non lo conoscevo poi così bene.
“Ahhh… che tormento!” 
Stropicciai il viso sul cuscino profumato di erbe selvatiche. Era il tipico odore della nonna e non era un’essenza artificiale, al contrario, la sua pelle aveva ormai assorbito quello delle erbe aromatiche e officinali che trattava per gran parte della giornata. Com’era possibile che a distanza di due anni fosse ancora lì e con questa intensità? Altra coincidenza?
«Nonna, vuoi farmi impazzire, dimmi la verità! Connor è così chiuso, oserei dire sprangato, e io sono solo una ragazzina che crede nelle favole della buonanotte! Sì, sì, lo so, non dovrei dare retta alla signora Rosamund, ma alcune volte mi metti in certe situazioni…» mi lamentai senza ritegno, sussurrando queste e altre parole, col naso affondato tra le pieghe del cuscino.
Non ricordavo come fossi arrivata qui, mi ero forse addormentata di fronte al caminetto? L’unico ricordo lucido era di lui che guardava le fiamme scoppiettanti. Mi aveva dato un pigiama di Moira – mi cadeva addosso un po’ largo… e lungo! – ma sarebbe andato più che bene, aveva arrotolato le maniche attorno ai polsi e io avevo provveduto a fare altrettanto attorno alle caviglie; poi aveva fatto una battuta su quanto la madre fosse alta, ma io avevo ribattuto che non era lei a essere alta, ma io a essere nana, riuscendo a strappargli un mezzo sorriso. Infine, eravamo tornati io sul tappeto a finire il mio tè ormai tiepido e lui sulla sua poltrona… poi il nulla. Possibile che Connor mi avesse caricata in spalla e portata qui? Chissà che fatica! Mi sentii arrossire, gli avrò fatto sicuramente pena, ma come diamine avevo fatto a non svegliarmi? Ero distrutta, vero, ma dannazione! La voce della nonna che mi intimava di non imprecare mi risuonò forte nella testa e d’istinto mi misi una mano sulle labbra. 

Provai a capire che ore fossero, ma doveva essere ancora notte, era buio pesto, anche se il temporale continuava a imperversare illuminando di tanto in tanto l’interno della camera. Sospirai sconsolata, ritornando coi pensieri al sogno. Avevo divagato volutamente, ma nulla era cambiato e adesso… avevo una gran sete. E se lui fosse ancora sveglio? Non avevo il coraggio di affrontarlo. Lo so, non era mica il lupo cattivo, eppure il suo volto impassibile riusciva ad agitarmi molto più di due zanne affilate.
Solo qualche altro minuto dopo mi decisi a venire fuori dal letto: sarei andata in cucina a versarmi un bicchiere d’acqua! Non sarei morta di sete per le mie sciocche paure. Ovvio, stavo solo cercando di convincere me stessa, ma questo era solo un dettaglio.
In pochi passi fui nel corridoio, mi strinsi nella giacca del pigiama a causa di un brivido impertinente e non credevo c’entrasse il freddo. Il parquet era tiepido, il termocamino faceva bene il suo dovere, anche se il fuoco doveva essere ormai languito. A piedi scalzi cercai di proseguire senza importunare Connor con eventuali scricchiolii del legno, ma non stavo facendo un gran bel lavoro.
«Morrigan… sei sveglia?» La sua voce mi inchiodò al pavimento, anche se non aveva nulla di perentorio. Al contrario, era bassa e tremante; sembrava provenire dalla stanza in fondo al corridoio, quella che era sempre stata chiusa a chiave. Dedussi che doveva essere la camera del Connor bambino e lui, nonostante le altre fossero probabilmente più confortevoli, aveva scelto di tornare lì. Mi avviai titubante nella direzione della sua voce. 
«Morrigan…?» Non avevo nemmeno risposto, che idiota!
«S-sì, sono sveglia... tutto bene?» chiesi, continuando a sentirmi sempre più stupida, mentre camminavo piano.
«Più o meno. Avrei bisogno di… aiuto…» 
Perché aveva esitato sull’ultima parola? E perché adesso correvo come una matta per raggiungerlo, dimentica di brividi e timori? Spalancai la porta, prima socchiusa, e i miei occhi – ormai abituati all’oscurità, a tratti sferzata dai lampi – misero subito a fuoco la scena: Connor era a terra, poco distante da una francesina dalle lenzuola ancora intatte, vestito come lo ricordavo; si puntellava su un braccio ma sembrava averlo fatto in quel momento, in attesa del mio arrivo. Dopo un primo attimo di smarrimento, mi fiondai al suo fianco e potei notare la sua fronte imperlata di sudore, la mascella contratta, gli occhi lucidi. Il dolore sembrava fare parte di lui come una seconda pelle e questa constatazione mirava a rompere in mille pezzi il mio cuore. 

«Cos’hai? Cos’è successo? Da quanto sei qui?» 
Tutte domande ovviamente inutili, ma non ero riuscita a trattenerle, come avrei potuto con la tempesta che infuriava nel mio petto? Potevo fare concorrenza a quella che imperversava oltre la finestra. Cercai di agganciare un suo braccio per aiutarlo ad alzarsi, ma lui mi strinse il polso per bloccare ogni mio movimento. Lo fissai a occhi sgranati per capire cosa voleva che facessi. 
«Nel comodino… ci sono delle pillole, puoi prenderle… per favore…» 
Non riuscivo a decifrare il vortice di emozioni che invadeva il suo sguardo, perciò mi concentrai nell’eseguire ciò che mi aveva chiesto. 
“Un passo alla volta. Un pensiero alla volta. Un respiro alla volta, Morrigan!”
Afferrai la boccetta con le pillole che mi aveva indicato assieme a una bottiglietta d’acqua che trovai sul ripiano, poi tornai da lui.
«Quante?» chiesi cominciando a farne cadere qualcuna sul palmo. Stavo tremando, e non feci nulla per nasconderlo. Non arrivò alcuna risposta, era di nuovo rannicchiato in posizione fetale e con una mano cercava di raggiungerle da solo… ma sembrava costargli una fatica immensa. 
«Quante?!» domandai ancora, questa volta con un tono più stridulo: ero sull’orlo del panico.
«Quattro…» mormorò appena.
Le contai cinque volte prima di infilargliele una per una tra le labbra serrate, poi provai ad avvicinargli l’acqua alla bocca ma lui la rifiutò, così la misi via e aiutai Connor ad appoggiare il capo sulle mie ginocchia. Se non aveva la forza di rimettersi in piedi, non lo avrei lasciato con la faccia sul pavimento. Fu allora che rimpiansi di non essere più grande e più forte, magari anche un uomo: avrei potuto sollevarlo e adagiarlo tra i cuscini morbidi, metterlo comodo in attesa che le medicine facessero effetto… qualunque fosse. 

Connor era teso fino allo spasimo, potevo sentire, attraverso il tessuto del pigiama, il viso e i muscoli del collo contratti ma non sapevo se fosse solo per il dolore, forse c’era anche qualcos’altro: imbarazzo? Umiliazione? Cercai di immaginare ciò che stava provando, ma non era facile, non avevo mai avuto a che fare con persone come lui…
I minuti si accumularono e vidi le sue braccia, le sue gambe, la sua schiena rilassarsi, piano piano. Non avevo smesso di accarezzargli i capelli, il profilo, la guancia fino a quando non lo sentii muoversi di nuovo. Con la giacca gli avevo asciugato il volto e il collo dal sudore e avevo provato a capire le sue condizioni.
«Come stai?» gli chiesi, il cuore adesso più quieto, pareva avesse ricevuto l’influsso della stessa medicina che gli avevo dato ormai una mezz’ora prima. Stava meglio, potevo vederlo con i miei occhi, gli arti erano adesso distesi, le spalle meno rigide, il suo respiro regolare.
«Meglio…» anche se la sua voce continuava un po’ a vacillare. Poi sollevò il capo dal mio grembo e si puntellò sui palmi per provare ad alzarsi. Gli andai di fronte, lo abbracciai dai fianchi e lo aiutai a tirarsi su. Adesso le ginocchia reggevano meglio il suo peso, ma era stata comunque una fatica assurda: quanto diamine pesava? Eppure il suo corpo, solo la sera prima, mi era parso “emaciato”. Forse, forse… 
“Basta congetture, Morrigan, pensa solo a dargli una mano!” 
Per qualche secondo i nostri volti furono a pochissima distanza e quasi sullo stesso livello, lo vidi distogliere in fretta lo sguardo mentre si artigliava un labbro con i denti: doveva essere un’abitudine. Trascinando la gambe, riuscì ad arrivare al bordo del letto e col mio aiuto si sedette. Teneva la schiena rigida e le dita chiuse in pugni serrati.
«Sdraiati…» lo incitai, spingendolo leggermente dalle spalle. Lui scosse la testa, caparbio, e allora mi imposi. 
«Hai davvero intenzione di fare il duro dopo ore passate in non so quale supplizio? Sei serio?» 
Mi fissò in tralice, ma solo per un attimo, perché poi parve ammorbidirsi, giusto dopo aver studiato la mia espressione sarcastica e le mie mani sui fianchi. Eravamo di nuovo alla stessa altezza, col piccolo particolare che lui era seduto e… io no. Ma durò poco, perché questa volta lo costrinsi senza molte cerimonie a mettersi giù, non prima di aver tirato via il copriletto. Valutai se spogliarlo o meno, ma no, non era proprio il caso. Arrossii di nuovo come una scolaretta e benedissi l’oscurità che celava questa mia patetica condizione.
Connor si mise su un lato, quello opposto a dove mi trovavo io, nascondendomi il suo volto, di certo stravolto dalla sofferenza. Ma non ero ancora pronta a lasciarlo andare… non ancora.

                              

Connor

Cosa si era messa in testa quella ragazza? Aveva davvero intenzione di continuare a torturarmi per il resto della notte? La guardai con la coda dell’occhio mentre faceva il giro del letto e si raggomitolava nello spicchio di materasso rimasto. Anche se quello “spicchio” sembrava accoglierla senza fatica visto quanto era minuta. Evidentemente il mio messaggio subliminale non era stato così efficace.
«Cosa fai?» le chiesi con voce che voleva essere dura, ma che venne fuori solo stanca.
«Niente…» Il mio sguardo perplesso la raggiunse nonostante l’oscurità. «Ok, mi metto qui buona buona, così puoi riposare tranquillo. Se dovesse servir…»
«Ho detto che sto meglio, non c’è bisogno che resti.» Era seria?
«Disse colui che ha passato la notte all’addiaccio perché non si è degnato di urlare per attirare la mia attenzione… Sapevi che ero di là, per quanto potessi dormire sodo avresti potuto chiamarmi prima, non aspettare che mi alzassi per un benedetto bicchiere d’acqua, zuccone che non sei altro! E adesso, da qui non mi muovo neppure sotto tortura, rassegnati! Almeno fino a quando non ti sarai addormentato…» Pareva un fiume in piena, le palpebre erano sgranate per l’incredulità, come facevo a spiegarle che non volevo svegliarla? Che non volevo mi vedesse in quelle condizioni? Che avrei preferito morire piuttosto che chiederle aiuto ma che alla fine aveva prevalso l’istinto di sopravvivenza? Mi ero ritirato in questa casa, non solo perché era il luogo in cui ero nato e cresciuto, ma anche perché era isolata. Qui avrei potuto vivere in pace la mia condizione, senza dover recitare o dare spiegazioni a qualcuno. I miei parenti erano lontani e non ci legavano buoni rapporti, nessuno sapeva di quanto mi era accaduto e dal mio canto ero felice che tale notizia non era giunta a straziare mamma e nonna. A quanto pareva, era vero che non tutto il male veniva per nuocere. Ma adesso cosa dovevo fare con Morrigan? Era piombata nella mia vita come un tuono improvviso e…
«Se proprio hai deciso di restare, almeno mettiti sotto la coperta, fa freddo.» Cosa diavolo mi era saltato in mente? Avrei dovuto mandarla via, ringraziarla certo, ma poi farla sloggiare, non invitarla a farsi più vicino! Lei mi regalò un sorriso che sembrò illuminare la stanza più dei lampi che continuavano imperterriti ad accompagnare la pioggia scrosciante. Con un movimento velocissimo, Morrigan si infilò sotto il copriletto, rannicchiandosi di nuovo, la guancia appoggiata sul braccio piegato sotto il viso, lo sguardo felice… forse credeva di aver vinto la guerra, ma avrei avuto modo di spiegarle che questa era solo una battaglia e che ero troppo stanco per combatterla a dovere. 

Abbassai le palpebre, anche se sapevo che non sarei riuscito a dormire e non certo per la sua presenza. Da tempo non avevo crisi del genere. Era anche vero che non era mai capitato che dimenticassi di prendere una dose delle mie medicine, se poi volevamo anche aggiungerci l’eroica impresa di prendere in braccio Morrigan per portarla a letto… Non che lei pesasse più di un cuscino di piume, ma per me equivaleva a sollevare un quintale di piombo: era stato un miracolo che non fossimo ruzzolati entrambi. Il destino aveva avuto il buon senso di farmi cedere quando ormai ero solo, ma anche il cattivo gusto di aggredirmi a poca distanza dalle mie pillole. Avevo tentato di trascinarmi, ma ogni movimento assomigliava a una pugnalata, persino respirare mi causava dolore. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, avevo rinunciato, ma… non avevo avuto il coraggio di chiamare Morrigan nel cuore della notte, credevo che sarebbe passato col tempo, quanto bastava per permettermi di muovermi un po’. Mai mi ero sbagliato così tanto, eppure avrei dovuto ricordare i primi tempi dopo “l’incidente”. Grazie alle medicine avevo dimenticato quanto potesse fare male, era come se ti scavassero dentro con uno scalpello infuocato e tu non potevi farci nulla.
«Non fai finta di dormire per farmi andare via, vero?» La voce di Morrigan era un sussurro leggero, se mi fossi davvero addormentato non l’avrai sicuramente udita. Avrei potuto fare finta così da raggiungere il mio scopo…
«No, non sono abituato a dormire con qualcuno che mi fissa…»
«Come fai a sapere che ti sto guardando – non fissando! – se hai gli occhi chiusi?»
«Proprio perché mi stai fissando e non guardando.» La sentii sbuffare e borbottare.
«Va bene, mi giro dall’altra parte, ma tu provi a dormire davvero?»
«Non lo farei comunque…» confessai, alzando finalmente le palpebre e tornando a guardarla a mia volta. Era tutta arruffata, il pigiama troppo grande le cadeva su una spalla, mentre la coperta sembrava volerla inghiottire, solo i suoi capelli ormai sciolti parevano contrastare la sua apparente fragilità: erano rossi come i petali di una rosa e ribelli come le sue spine, chissà forse erano anche morbidi… sospirai. Ero stanco davvero visti i pensieri a cui mi ero abbandonato.
«Cosa ti è successo? Prima intendo… perché non riuscivi a muoverti?» Sapevo che sarebbe arrivata questa domanda prima o poi, ma sapevo anche che non era stata fatta con superficialità. Di certo, ci aveva rimuginato su lasciando vincere la curiosità e chissà, forse anche la preoccupazione. Ma non osavo arrivare a tanto, in fondo neppure mi conosceva. La guardai in silenzio, lasciando passare secondi e poi interi minuti. Solo quando cominciai a scorgere l’imbarazzo e la delusione sul suo volto, impegnati in una lotta all’ultimo sangue per capire chi doveva prevalere, mi decisi a rispondere.
«Schegge.» Morrigan alzò di colpo lo sguardo che aveva nascosto per il disagio. Non capiva, come avrebbe potuto?
«Schegge di un IED… sai cos’è?» la vidi annuire freneticamente. Dopo l’undici settembre e l’inizio della famosa “lotta al terrorismo” questa parola era diventata di pubblico dominio anche nelle case di rispettabili famiglie americane, e non solo.
«Sei stato colpito dalle schegge di un ordigno improvvisato?» mormorò poi, visto che io avevo smesso di parlare. In realtà, non avevo neppure idea del perché avessi iniziato. 
«I-in missione?» chiese ancora, e io mi limitai ad annuire. Cos’altro c’era da dire? 
«Ma ma ma, perché non le hanno tolte? Insomma, siamo nel ventunesimo secolo, sapranno pur levare via delle schegge…» La sua indignazione era reale, ma anche graziosa. Cercava di mantenersi calma e allora allargava le narici per ispirare a fondo, arricciando di conseguenza il naso e la fronte. Sì, era proprio graziosa. 

                                         

«Non quando sono posizionate così vicine alla spina dorsale e ad altri punti tanto sensibili… il rischio non vale il risultato» spiegai con una calma invidiabile, in fondo stavo parlando solo di possibile paralisi e di probabile… morte. Eppure, la mia non era una calma apparente, come quella che avevo indossato da quando Morrigan era arrivata qui la sera prima. No, non provavo astio o risentimento. Vergogna sì, ma per quella non potevo farci niente, così come per il senso di impotenza che mi faceva contorcere le viscere. Dovevo accettare tutto questo e lo avevo fatto, in parte, o almeno lo credevo… Ma non avrei mai pensato che ne avrei parlato con un’estranea così candidamente. La sorpresa aumentava quando ripensavo al passato, ai tentativi sinceri dei miei commilitoni di starmi vicino, alle rassicurazioni fasulle dei miei superiori. Avevo rigettato ogni cosa, ma adesso? Cos’era cambiato?
Adesso era lei a essersi azzittita, era pensierosa, con due dita si strofinava il mento. Continuava a essere dannatamente graziosa con quello sguardo concentrato e le sopracciglia corrugate.
«Qui dobbiamo lottare su più fronti… avrebbe anche potuto essere più chiara…» la sentii mormorare tanto piano che quasi credetti di averlo immaginato.
«Quali fronti? Cosa hai detto?» chiesi. Era strano provare curiosità per qualcosa dopo mesi di solitudine forzata, non ero riuscito a trattenermi.
Morrigan spostò il suo sguardo sorpreso su di me, con ogni probabilità era convinta di averlo solo pensato. Poi tornò seria e si fece più vicina, come se volesse parlarmi di una questione top secret e ci trovassimo nella sala d’attesa di una stazione affollata. Si accorse del suo gesto istintivo troppo tardi e ormai le mie dita avevano sostituito le sue sul suo mento e l’avevano costretta ad alzare gli occhi su di me.
«Cosa vuoi dirmi?» la incitai in un sussurro, mentre il cuore iniziava a battere in un modo strano, che non conoscevo. La vidi deglutire piano e poi, con le sue piccole mani, circondò la mia. Sembrava volesse pregare, ma non era tanto plausibile.
«Sì, devo dirti una cosa, ma devi promettermi che non mi prenderai per pazza, svitata o invadente. In fondo, se lo fossi non sarei stata la cocca di tua nonna, no?» Tentò di ammaliarmi con un frullio di ciglia volutamente ammiccante, ma io riuscii solo a ridacchiare: non era certo questo il modo giusto di farmi capitolare, o forse sì? O meglio, non nel senso comune del termine… ah che strazio!
«In realtà mia nonna adorava la sua cocca pazzerella, me ne ha raccontate di cose… nelle sue lettere intendo…» precisai con un moto di orgoglio. I ricordi stavano piano piano prendendo forma, riportandomi alla mente una bambina molto particolare, dalla sensibilità e dalle percezioni fuori dal comune: la piccola streghetta. Morrigan.
Lei sbuffò, convinta che la stessi prendendo in giro, ma non era del tutto così.
«Sei peggio della signora Rosamund!» mi accusò tra i denti, lasciando la mia mano e allontanandosi un po’… peccato. Peccato?
«Oh, ancora è viva? Quanti scherzi che le facevo quando veniva a trovare la nonna. Voleva solo spettegolare, era una vecchia zitella inacidita già all’epoca. Perché mai dovrei somigliare a lei? Beh, in effetti, ora che ci penso, comincio a trovare delle somiglianze…» Non pronunciavo una frase così lunga da secoli, o così mi erano parsi quei mesi infiniti. Credevo di aver sorpreso anche Morrigan, perché mi fissava in maniera strana…
«Adesso la smetti di scherzare e mi ascolti, ti piaccia o no! Poi, potrai anche ridere di me, tanto non me ne frega un accidente…»
«Ehi, ehi, calmati. Cercavo solo di sdrammatizzare…»
«Lo sai che detto da te è un po’ grottesco, vero?» Adesso era molto perplessa e io non riuscii a trattenermi dal ridere, davvero, con i denti scoperti e il gorgoglio nella gola. Non credevo ci sarei riuscito ancora.
«Sì, hai ragione. Ma adesso parla su, potrei davvero crollare per la stanchezza da un momento all’altro… anche con te che stai lì a fissarmi…»
«D’accordo, cercherò di essere breve e concisa. Come forse saprai, i miei sogni sono un po’ strani. A volte, mi raccontano degli eventi, altre mi lasciano sensazioni, altre ancora mi avvisano di pericoli imminenti…» Non mi guardava, troppo concentrata a ripercorrere i disegni geometrici delle lenzuola spiegazzate. 

                                      
«Da quando non c’è più, sogno nonna Isabelle. Qualche volta anche mamma Moira, ma nonna molto di più. Mi sorride quasi sempre, mi parla anche se più di rado, insomma cerca di lasciarmi dei messaggi: incoraggiamenti, avvertimenti, anche semplicemente dei saluti. È sempre con me…» Trovò il coraggio di alzare lo sguardo, forse voleva vedere se mi ero addormentato visto che non osavo emettere un solo fiato. La curiosità era davvero tanta, ma allo stesso tempo sentivo uno strano formicolio sotto pelle che non ero in grado di decifrare. «L’ho sognata anche stanotte, prima che… prima di venire qui.»
«E cosa ti ha detto questa volta?» Davvero volevo assecondarla in questa follia? Ciò nonostante, una parte di me era attratta da tutto ciò, eppure non ero un soggetto facilmente suggestionabile.
«"Sembra duro come il diamante, ma è fragile come un bicchiere di cristallo. Si è frantumato e ha bisogno che qualcuno lo aiuti a raccogliere i suoi cocci. Adesso, tocca a te.” Ti risparmio il post scriptum, aggiungeresti altre risate al coro che sta per arrivare… Su su, puoi ridere, ti do il permesso. In fondo, lo farei anche io se un estraneo venisse a raccontarmi una cosa del genere, gli darei dello stalker, soprattutto se è lo stesso che è piombato in casa mia come un uragano sulla scia di un altro sogno…»
Le misi un pollice sulle labbra, bloccando il fiume di parole, mentre con le altre dita la incitavo a guardarmi di nuovo. Il respiro era bloccato nella gabbia toracica e il cuore perdeva un battito ogni due. I ricordi vorticavano nella mia mente fino a riportarmi alla mia prima sortita nel bosco da solo, la brutta caduta, il sangue che inondava il mio viso, un taglio che era meno brutto di quel sembrava. La nonna era venuta a trovare la mamma ed era stata la prima a raggiungermi sul sentiero che mi riportava a casa, zoppicante e sanguinante. Non avevo mai capito come aveva saputo della mia disavventura, non avevo urlato o pianto. Al contrario, avevo cercato di essere forte per non far preoccupare i miei, mordendomi le labbra per trattenere le lacrime. 
Eppure, lei mi aveva trovato, mi aveva stretto in un abbraccio fin troppo vigoroso e mi aveva detto: «Il mio piccolo Connor, che vuole dimostrare di essere duro come il diamante. Adesso, però, c’è qui la nonna, puoi tornare a essere fragile come un bicchiere di cristallo incrinato, ti aiuterò io a rimettere insieme i cocci…» Tra le lacrime che subito dopo avevano iniziato a scorrere sul mio viso, lavando via il sangue, ero tornato a essere il bambino che ero, sfogando tra le braccia di nonna Isabelle tutta la paura e il dolore che avevo provato. Quelle parole le avevo dimenticate, ma Morrigan le aveva riportate a galla con una prepotenza impossibile da ignorare. Non poteva essersele inventate, né poteva sapere di quel giorno, ne ero certo.
«E tu… cosa le hai risposto?» La mia voce era un soffio appena percettibile, ma Morrigan sembrò quasi boccheggiare per lo sconcerto, con ogni probabilità stava ancora aspettando il coro di risate…
«C-cosa?»
«Tu cosa hai risposto al messaggio di nonna Isabelle?» chiesi con maggiore convinzione questa volta. Ero a un punto di svolta e dovevo decidere se andare avanti o tornare indietro. E l’indecisione non faceva parte di me.
«Uhm, beh, tu hai mai provato a dire di no a tua nonna? Insomma, lo sai, è una donna… decisa, se vogliamo essere gentili ecco; insistente, se vogliamo specificare un po’… comunque riesce sempre a ottenere ciò che vuole!» Percepivo una grande ammirazione in quelle frasi un po’ sarcastiche e l’uso del presente nel parlare di una persona che ormai non c’era più mi aveva colpito sopra ogni cosa. Forse perché… lei c’era ancora? In qualche modo, in un’altra forma, era ancora qui? 

                                          
Scossi il capo, erano davvero tante le informazioni ricevute e cominciavo a temere per la mia sanità mentale. Morrigan, fin troppo sensibile alle mie reazioni, fraintese.
«Oh, allora sei fortunato a essere sopravvissuto. Io quando ho provato a dirle di no – una sola volta in tutta la mia vita! – ha cominciato a corteggiarmi con i suoi occhi dolci e i suoi sospiri speranzosi. È stata una vera tortura…»
«Shhh, so bene quanto sapeva essere “convincente”…» Era meglio tranquillizzarla se non volevo che continuasse a raccontarmi per intero gli anni passati con nonna. Sarebbe stato di certo piacevole, ma adesso c’era qualcosa di più importante. 
«Quindi, hai detto sì» dedussi con ovvietà. Lei annuì ma non osò dire altro, forse temeva di riaprire gli argini del fiume. «Lo sai che non sarà facile, vero? Io so essere molto… “me” e non mi sto facendo un complimento.» Dovevo pur essere sincero con lei, l’ultimo moto di orgoglio che mi restava dopo ciò a cui aveva assistito.
«Lo so e un po’ questo mi spaventa, ma credo avrai capito che non sono un tipo che si arrende facilmente: nonna Isabelle mi ha insegnato bene!» rispose convinta, le iridi illuminate di una strana luce, troppo brillante per essere reale. Sì, avevo proprio bisogno di riposare.
«Allora preparati, perché darò il peggio di me, non volendo, ma lo farò… streghetta…» Avevo già gli occhi chiusi quando pronunciai l’ultima parola. Mi accorsi appena che il corpo di Morrigan si era fatto più vicino, la sua fronte che sfiorava il mio petto, le sue dita che tenevano stretta la mia mano in quello strano gesto che mi ricordava tanto le preghiere. E solo il Tipo che stava lassù sapeva quanto le sarebbero state utili con me. Con la speranza che Lui la ascoltasse e la vaga sensazione di fluttuare in un mare nero puntinato di piccole luci evanescenti, udii alcune parole mormorate, prima di cadere nel fitto buio dell’incoscienza.
«Farò del mio meglio, nonna Isabelle, te lo prometto.»

Siamo giunti alla fine.

Aspetto i vostri commenti, cosa ne pensate?

Copyright @ 2020 Anne Louise Rachelle

Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.

16 commenti:

  1. Ciao, Anne Louise!
    Che sorpresa... non so perché, ma mi aspettavo un'altra incursione nel mondo dei vichinghi. Invece, con grande gioia mia e credo anche delle altre, sono tornati Connor e Morrigan!
    Di tutte le volte che hai parlato di loro, questa è sicuramente la più emozionante. La presenza della nonna tra i due è incredibilmente toccante. è come se fosse sempre lì a guidarli... il nipote vero e la nipote acquisita! Mi piace sempre di più Morrigan: è come un fuoco che scioglie il ghiaccio (e diciamocelo, Connor, per ora, è abbastanza glaciale). La tua storia sta diventando un vero romance a più puntate e credo che mi prenderò del tempo per rileggerle tutte di fila perché mi sta davvero appassionando!

    Quanto alla forma, ti segnalo solo un "E se lui FOSSE ancora sveglio?" (meglio FOSSE STATO) e forse è meglio mettere una virgola nel mezzo di "Parla su".

    Per il resto complimenti, e non tenerci "a digiuno" di questi due troppo a lungo, mi raccomando!

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    1. Ciao Silvia! Che bello leggere il tuo commento e sono felice di averti sorpresa con la scelta dei personaggi. Come avrai intuito, non sono brava con i racconti autoconclusivi, quando arrivano certi protagonisti (e loro due sì che sono prepotenti) a sussurrarmi nell'orecchio, non posso che dargli ascolto! E poi... chi meglio di Morrigan dai capelli rosso fuoco può provare a sciogliere Connor "Il ghiacciolo"? Ahahah

      Per quanto riguarda il "fosse stato" non mi convince al 100% visto che lei "in quel momento" non sa se lui è sveglio o meno... ma ci ragiono su!

      E sì, hai ragionissimo, ci vuole una bella virgola tra "parla" e "su"... maledetta fretta!

      Grazie ancora per i preziosi consigli e alla prossima!

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  2. Sono davvero contenta che la coppia piaciuta a tutte sia tornata.
    La loro storia come ti ho detto più volte potrebbe diventare un libro vero e proprio e sarei già pronta a leggerlo in prima fila.
    Questi due emozionano tanto quindi sbrigati a farci sapere altro su di loro, io sono curiosissima!!

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    1. Susy bella, chissà chissà. In fondo, con questo racconto ho voluto dare una specie di epilogo ai primi due, una sorta di ricongiungimento necessario. Desideravo che si scoprisse qualcosa in più sulla condizione di Connor, ma anche chiudere una specie di cerchio! La porta è sempre aperta però... chissà cosa ci riserva il futuro! Grazieeeee

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  3. Ma ciao! <3 Sai che ormai mi sono affezionata tanto a Morrigan e Connor quindi questo nuovo racconto l'ho divorato in pochi minuti. Prossimo passo è farne un romanzo completo e magari anche il film ahahahah scherzi a parte, sei magnifica. Hai descritto la fragilità di Connor con molta sensibilità e ho trovato questo suo lato davvero commuovente. Morrigan è una ragazza speciale e protagoniste così tenaci non posso che sentirle vicine a me. Bravissima!

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    1. Ciao Tania! Sul "film" sono quasi caduta dalla sedia ahaha Ma sul "sei magnifica" mi sono commossa. GRAZIE! Sono felicissima che sia piaciuto anche questo capitolo <3

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  4. Ciao. Ritroviamo Connor e Morrigan e sono contenta di leggere qualcosa su di loro di nuovo. Vengono fuori gli indizi come pezzi di puzzle che completano un’immagine e mi piacciono entrambi. La loro storia è piena di mistero e incuriosisce davvero tanto. Vorrei capire cosa è successo a lei, come mai di questi strani sogni, chi siano davvero e soprattutto voglio sapere cosa combineranno perché sono sicura che ci faranno morire in attesa di sistemare le cose.
    La storia procede bene, mi piace leggere entrambi i punti di vista dei personaggi. A presto

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    1. Christine! Grazie per il tuo bellissimo commento! Spero presto di potervi raccontare ancora di loro :)

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  5. Ma che meraviglia ritrovare i nostri Connor e Morrigan. In questo racconto il POV di Connor mi ha fatto provare delle emozioni fortissime. Complimenti.

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    1. e sono Silvia di Silvia tra le righe, che come al solito non si è firmata.

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    2. Ehi Silvia! Grazie per il tuo commento, sono felice di averti emozionata :)

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  6. Ciao Anne Louise! Che storia meravigliosa sta diventando a ogni puntata quella di Connor e Morrigan! Non hai idea di quanto ti sia grata per averci regalato un nuovo capitolo di questi due, hanno entrambi una personalità travolgente e in ogni nuovo racconto ne scopriamo sfumature incantevoli. È stato bellissimo ritrovarli! Ciò detto, io resto ogni mese più stupita dalla tua penna. Dico davvero, sei bravissima: quando entro nel tuo mondo, vorrei non uscirne mai. Riesci a tenermi incollata alla storia riga dopo riga senza mai costringermi a staccare gli occhi da ciò che sto leggendo. È una capacità rara. Hai uno stile che arriva, nella sua semplicità, e rapisce. Hai creato poi attorno all'incipit una storia davvero emozionante: sto ancora pensando a Isabelle e a questo suo modo di comunicare, alla potenza di quanto ha detto, alla bellezza della metafora che hai usato per descrivere Connor... Sono veramente, veramente soddisfatta, da lettrice, da ciò che ho letto, e terribilmente incuriosita da come si svilupperà nelle prossime puntate. Perché ce ne saranno altre, vero? Questi racconti - non solo la storia di Morrigan e Connor, in generale tutti i tuoi scritti - creano dipendenza! Ti faccio i miei più sinceri complimenti! <3

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    1. Ahhhhhhhhhhh Stephiiiii! Posso ammettere senza vergogna di aver letto (e riletto) il tuo commento una cosa come un centinaio di volte????!!!! Ho il cuore a mille e l'affanno!!! Grazie grazie grazie per le tue parole sempre super incoraggianti, per me sono ossigeno e adrenalina puri.
      Spero davvero di riuscire a coinvolgerti così tanto anche nei prossimi racconti (e chissà magari in qualche romanzo nel cassetto!). Ti abbraccio con affetto e, credimi, non sai quanto piacere mi abbiano fatto le tue parole... non posso descriverlo. Alla prossima!

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  7. Come prima favola della buonanotte, direi che ho scelto proprio bene <3

    Mi mancavano, Connor e Morrigan, e sono davvero contenta di averli ritrovati proprio adesso 8) Ovviamente, più ne racconti, più ne voglio sapere: ergo, a quando il prossimo episodio? :P :D

    Parlando dei personaggi di contorno, in particolare della fantomatica nonna Isabelle, è evidente una bella delineazione nonostante i pochi capitoli che hai scritto per questa storia :)

    Direi che sei a cavallo, signorina <3 Non vedo l'ora di continuare il viaggio dei due ragazzi insieme a te ^_^

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    1. Felice di aver allietato la tua nanna!!! Ahahah
      Spero di parlarvene ancora in futuro <3

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  8. Ciao Federica! Sììììì diciamo che l'idea della nonna mi è venuta proprio con l'incipit... e l'unico modo per inserirlo in maniera soddisfacente mi è sembrato l'espediente del sogno. Sono felice che il messaggio sia arrivato a destinazione!
    Grazie ancora per il commento :)

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