lunedì 17 agosto 2020

Rubrica: Storytelling Chronicles: La Primula e l'inverno di Anne Louise Rachelle

Ciao a tutti amici lettori.
Come sta procedendo il vostro agosto? Meritate ferie o lavorate? O nessuna delle due cose.
Io come avrete notato dalle storie Instagram sono andata a fare visita a mio fratello e qui è tutto diverso, anche la situazione particolare che stiamo vivendo lì è molto diversa e anche per questo mi sto rilassando tanto.
Torno però nel blog, come annunciato a inizio mese ogni tanto per parlarvi di qualcosa di particolare e cominciamo subito facendo tornare la Rubrica Storytelling Chronicles e Anne Luoise Rachelle.



Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog  La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica è invece a cura di Tania del blog My Crea Bookish Kingdom
L'argomento di questo mese era vario e Anne Luoise ha scelto una tematica particolare, ma lascio a lei la parola.

Ciao a tutte, è bellissimo ritrovarvi qui anche ad agosto.
Devo essere sincera, con queste premesse ci sto davvero prendendo gusto, ma stavolta è davvero necessaria, vedrete.
Per questo mese c’era una vasta scelta di tematiche, ma io mi sono subito fiondata su una in particolare: “fiaba rivisitata in chiave moderna”. È sempre stato un mio sogno potermi cimentare in una cosa del genere, ma non ne avevo mai avuto l’occasione prima. La sfida mi ha talmente elettrizzata che da un’idea per un racconto sono passata diretta a quella per un romanzo! Eh sì, proprio così.
La fiaba a cui mi sono ispirata è “La Bella e la Bestia”, la mia preferita, rielaborata utilizzando il riferimento al significato della Primula, ma non vi anticipo nulla! Vi lascio fare conoscenza con due personaggi che, spero, potranno tenervi compagnia presto e più a lungo.

Vi aspetto nei commenti, buona lettura.

La Primula e l’Inverno


Markos

Con mani esperte, mi impegnai a preparare un cappuccino degno di questo nome. Con la crema di latte ci disegnai dentro un cuore palpitante e guarnii il piattino con un cioccolatino fondente al liquore. Feci cenno a Mathi di servire l’ordinazione e quando vide “la composizione” alzò gli occhi al cielo.
«Dillo che vuoi morire…!»
«Io? Nooo, ho in programma di vivere una vita lunga e felice invece» risposi con espressione candida.
«A me non sembra. Sappi che mi limiterò a consegnare la tazza e poi me la svigno, io ci tengo alla mia pellaccia.»
«Se non sbaglio è il tuo dovere!» la rimbeccai con un sorrisetto eloquente. Mathi scosse la testa, sconsolata, nessuno poteva resistere al mio fascino… oppure al fatto che tutto sommato rappresentavo i suoi datori di lavoro. Il ghigno che mi rivolse subito prima di avviarsi al tavolo predestinato mi fece propendere per la seconda opzione.
Mi appostai di fianco al bancone per avere una visuale libera. Mathi arrivò a uno dei tavoli più distanti dall’ingresso, addossati alla parete in fondo, sempre riservato senza una vera e propria prenotazione. Quando arrivava, quello era il suo posto. Era così e basta. Oh, sì, avete ragione, la cliente in questione era la più amabile tra tutti i nostri avventori.
Mi concentrai sulla sua espressione quando l’ordine arrivò a destinazione. Maledissi mentalmente il cappuccio della felpa che portava sempre tirato sulla fronte, ma non feci fatica a riconoscere un sonoro sbuffo non appena cuore e cioccolatino furono serviti. Trattenni una risata tra i denti, che rischiò di sfuggirmi davvero alla vista di Mathi che se la dava a gambe, colpita senza pietà da una sequela di imprecazioni degne di uno scaricatore di porto. Poi, mi sentii gelare, “la cliente” mi aveva gettato una delle sue occhiate intimidatorie, o presunte tali. Io alzai una mano per salutarla, mettendo in mostra il mio famoso sorriso ammaliatore, ma con lei sapevo già che non avrei riscosso alcun successo. Al contrario, la vidi immergere con foga il cucchiaino nella tazza per distruggere il cuore di latte, prima di tornare a fissarmi. Allora io mi tenni la maglietta all’altezza del petto, mimando una specie di infarto, come se avesse appena fatto a pezzi il mio di cuore. Un dito medio ben in vista mi convinse a mollare la presa, anche per oggi avevo dato il mio contributo affinché la “dolce cliente” potesse godere di una deliziosa accoglienza.
Erano ormai un paio di settimane che mi ero lanciato in questa crociata, da valoroso e intrepido cavaliere. Il cocktail con i suoi salatini preferiti, la bandierina a forma di bacio, la cannuccia rosa shocking; i tovagliolini di accompagnamento alle ordinazioni con su scritti versi di canzoni e poesie; una cascata di cioccolatini fondenti ripieni di rhum… questi ultimi erano gli unici espedienti ad aver attecchito, gli unici a non essere mai tornati indietro – sbriciolati, spezzati, strappati – o tirati in testa a Mathi. Poveretta, forse avrei dovuto darle un aumento per questi giorni da incubo, ma non riuscivo ad arrendermi.
Sì, ero un tipo piuttosto ostinato, dovevo ammetterlo. 

La cliente in questione si faceva chiamare “Ice”, ma tutti sapevamo che non era il suo vero nome, anche se molto azzeccato ai suoi modi; solo che io ero uno dei pochissimi privilegiati a conoscere anche quello reale. Oh, non certo per una gentile concessione della diretta interessata, ci mancherebbe. Da quando ero arrivato per lavorare dietro al bancone, le uniche parole che mi aveva rivolto gravitavano attorno al campo semantico di “stronzo” e di “vaffanculo”. Immagino che non si potessero considerare delle vere conversazioni. Ciò nonostante, non mi ero ancora convinto a mollare, volevo avvicinarla, volevo capire se la sua era cattiveria genetica oppure una maschera – ben costruita – ma pur sempre un qualcosa dietro cui nascondersi.
Vi ho detto che sono anche un po’ masochista? Tutta colpa della figlia dei proprietari di questo bar, una quasi sorella che mi aveva riempito la testa di storie su questa strana ragazza arrivata un giorno di oltre un anno prima, dal nulla, ricoperta di neve e ghiaccio: un inno al suo soprannome e… ancor di più al suo nome reale. Da allora, si era tacitamente appropriata di quel tavolo in particolare, senza parlare con nessuno, trascorreva ore – al mattino presto e alla sera tardi – seduta a leggere, ascoltare musica, a volte rannicchiata come uno scoiattolo infreddolito, altre stravaccata come se fosse al mare e non in un locale pubblico. Ogni cosa in lei – dal volto quasi sempre in ombra, dagli atteggiamenti rudi e intimidatori, dal menefreghismo cronico che mostrava verso tutto e tutti – urlava “state lontani o vi trasformo in un rospo” e forse per questo io mi ero incaponito così tanto! Non amavo i giudizi netti, il bianco e il nero erano solo colori per me, mi piaceva sperimentare il bene e il male direttamente sulla mia pelle, a costo di farmi male… come se tutto il male subìto in passato non fosse stato abbastanza. Ecco che risentivo la voce di Lily – la mia quasi sorella – che mi metteva in guardia da un lato, non voleva vedermi soffrire, ma dall’altro mi raccomandava sui gusti della sua strana non-amica. A quanto sembrava, anche lei ne era rimasta affascinata. A volte mi chiedevo se, in una qualche vita precedente, non fossimo stati davvero fratello e sorella: sarebbe stato decisamente uno spasso.

***
«Non sei il benvenuto, sei pregato di sloggiare!»
Poteva una voce assomigliare a una melodia celestiale e a un mucchio di vetri rotti nello stesso istante?
«Beh, non mi stai svelando chissà quale mistero, hai detto la stessa cosa ieri e l’altro ieri…»
«Visto che non ami i dischi rotti, allora sloggia sul serio, sparisci, evapora.»
«Oppure potrei semplicemente trascorrere la mia meritata pausa dove più mi piace: qui.» I miei occhi furono molto espliciti nel continuare il testo sottointeso “qui è casa mia e faccio quello che mi pare!”.
Era proprio adorabile quando sbuffava digrignando i denti. Forse voleva apparire minacciosa, imbruttire i suoi lineamenti delicati, incupire i suoi occhi molto simili al cristallo tanto erano chiari.
«E questo sarebbe il tuo singolare modo di “mettere a proprio agio i clienti”? Davvero un bel servizio, mi lamenterò con il titolare!» La carta del reclamo era ormai obsoleta, doveva essere proprio esasperata. All’inizio avevo temuto che sarebbe andata via, ma era troppo abitudinaria per interrompere i suoi strani rituali, anche in questo assomigliava molto a un gatto. Gli artigli e le zanne le aveva già mostrate parecchie volte.
«Si dà il caso che il titolare sia io, almeno in questo momento, se ti va di aspettare Josh e Marlene, fai pure. Ma non credo che saranno qui prima della fine della settimana…» Era un po’ perverso il piacere che provavo nel vederla in difficoltà, mentre roteava lo sguardo in cerca di un appiglio, una via di fuga, un modo per “farmi sloggiare”. Ma non poteva lottare ad armi pari contro di me, di certo ero molto più motivato di lei. «Perché, invece, non provi a rilassarti? Io bevo la mia coca, tu il tuo cocktail e poi ognuno per la sua strada.»
«Non mi piace avere compagnia, perché ti ostini a torturarmi?» Mi colpii la sua voce bassa, non più tanto ostile, forse la rassegnazione stava facendo capolino?
«Perché Lily mi ha chiesto di prendermi cura di te…» cercai di cavarmela con una mezza verità, nella speranza di non ricevere l’ennesimo pugno in faccia, anche se morale, faceva male lo stesso.
«Lily è… Lily e tu sei… tu!»
«Oh, adesso è tutto molto più chiaro» la presi in giro senza remore, volevo di più.
«Al diavolo! Lily sa essere discreta, capisce quando può sedere al mio fianco e quando è il caso di andare. Tu invece sembri un caterpillar, sei invadente, sei riuscito a rovinarmi tutte le colazioni e gli aperitivi delle ultime due settimane inquinando i miei momenti di pace. Ecco perché non ti sopporto!» Aveva il fiatone, come se non facesse un discorso così lungo da mesi o anni e adesso fosse in debito d’aria. Io continuavo a guardarla, con il mento appoggiato sul palmo aperto, gli occhi incatenati ai suoi, che distolse troppo presto, in imbarazzo.
«Sei solo una facciata, ecco, adesso ne ho la certezza.» Iniziavo a sentirmi bene, quasi appagato. La mia missione stava cominciando a darmi risposte.
«Come prego?» Era irritata e ne aveva ben donde: la verità fa male.
«Ti nascondi dietro una facciata da strega menefreghista perché è molto più facile tenere lontane le persone che crearci un rapporto…» Stavo esagerando? Aveva ragione lei a dire che ero invadente… un caterpillar? Ma non riuscivo a smettere, non riuscivo ad allontanarmi da lei, da quell’aura di invincibilità fatta di carta pesta. E lo sapevo di star giocando col fuoco… lo sapevo.
«Tu non sai niente di me, chi cazzo ti credi di essere?» 
Sì, avevo decisamente esagerato. La vidi alzarsi, mentre raccoglieva le sue cose con mani tremanti e le infilava in borsa, appoggiata sul tavolino con stizza. All’ennesimo tentativo, le bloccai le dita con le mie. Il contatto fu repentino, di certo non premeditato, e come tale creò una serie di eventi inattesi. Lei si ritrasse con tanta forza che perse l’equilibrio, quasi come se fosse stata colpita da un colpo al petto e non avesse ricevuto una semplice non-carezza. Per evitare il peggio la afferrai per un polso, ma calcolai che per non farla finire rovinosamente sul pavimento avrei dovuto fare qualcosa di molto più stupido: la strattonai verso di me, invertendo la rotta di caduta e cadendo indietro a mia volta. Sfiorò il bordo del tavolo e finì dritta dritta tra le mie braccia, viso schiacciato contro il mio torace, pugni serrati tra i nostri corpi ansanti. Un delirio, un fottutissimo delirio, incastrato tra le costole… ah no, quello era il mio cuore che batteva come un tamburo di guerra. E forse… forse, tra quei battiti impazziti se ne nascondevano degli altri, più discreti, ma non per questo meno sorprendenti.

Non mi feci illusioni, perché Ice non ci mise molto a divincolarsi, mormorando tante di quelle parolacce da far impallidire un demonio, e a inforcare la sua fidata tracolla.
«I tuoi giochetti psicologici sono davvero penosi. Sono cresciuta rompendo i giocattoli degli altri bambini e raccontando loro che Babbo Natale non esiste, e ci provavo gusto nel vederli disperati e col moccio al naso. Sai perché? Era l’unico modo per insegnargli che i sogni, le fiabe, le speranze sono solo cazzate. Prima lo avrebbero imparato e prima sarebbero stati pronti ad affrontare la vita. Perciò, fattene una ragione, non c’è nessuna principessa sotto questa maschera da strega cattiva, sono proprio come mi vedi: una stronza realista che affronta la vita così come le è caduta in testa, con le armi a sua disposizione!»
Nient’altro, non attese alcuna risposta, girò i tacchi e sparì oltre l’ingresso. Peccato non aver avuto il tempo di dirle che non mi ero fatto alcuna illusione sulla sua natura da principessa, che così come la vedevo era proprio ciò che mi aveva intrigato, che sì, era una dannata strega perché mi sentivo sotto l’effetto di un macabro sortilegio. Non ebbi il tempo di dirle tutto questo, ma confidavo che avrei avuto altre occasioni per farlo... in fondo, vi ho già rivelato di essere ostinato e masochista!

Ice

Erano le quattro del mattino e mi muovevo per casa come una piccola zombi in erba. Avrei voluto dormire, le mie occhiaie e i miei sonori sbadigli lo confermavano, ma non appena abbassavo le palpebre l’oscurità mi costringeva a ritornare in un’altra vita, troppo dolorosa e sporca. Perciò, continuavo il mio peregrinare a piedi scalzi, addentando un cornicione di pizza freddo arraffato da un cartone abbandonato. Ero ormai un asso nello schivare le pile di libri letti e da leggere sparse un po’ ovunque, al punto da essere diventate parte integrante dello scarno arredamento. Quel monolocale era diventato il mio rifugio da oltre un anno, con le sue pareti giallo limone e il soffitto color salmone sembrava fin troppo pieno anche se i mobili presenti erano vecchi ed essenziali. L’anziana affittuaria – Heather aveva detto di chiamarsi, ma non le avevo prestato molta attenzione – doveva aver pensato che una bella riverniciata avrebbe sopperito a qualche pezzo mancante e io non me l’ero sentita di smentirla. Non importava che non avessi un tavolo sui cui mangiare, l’étagère all’entrata era molto comoda; una sedia era più che sufficiente per una inquilina che non avrebbe mai ricevuto ospiti; in compenso il bagno era piccolo ma molto funzionale e il letto – stipato in un delizioso soppalco – era di una comodità disarmante: peccato che non lo usassi molto spesso per dormire! 

Sbuffai, indecisa su cosa fare. Era ancora troppo presto per andare a fare colazione, ma anche troppo tardi per un drink. E poi, il nuovo bar che avevo adocchiato pareva un istituto di igiene mentale tanto era luminoso, il cappuccino faceva abbondantemente schifo e il Cuba Libre non vi dico a cosa assomigliava, mi ero convinta che risparmiassero sull’alcool, come se lo vendessero a quattro soldi!
Il nervosismo prese a serpeggiare ancora una volta sotto pelle. Quel maledetto di una barista a tempo determinato aveva distrutto la mia magnifica routine con i suoi sorrisi tutti miele e zucchero, i bigliettini poetici e quei magnifici cioccolatini al rhum. Adoravo il rhum, ma ancora di più il cioccolato fondente. Li avevo scoperti troppo tardi… ma giusto per ritornare al caterpillar con matricola? Lily doveva per forza andare via? Abbandonarmi in quella valle di lacrime in compagnia di colui che – a quanto ero riuscita a capire – doveva essere una sorta di fratello adottivo.
Anche se, non lo avrei ammesso davanti a Lily neppure sotto minaccia, i cappuccini che faceva erano di una bontà unica. Cremosi e caldi al punto giusto. Come diavolaccio potevo rinunciarci?
“Basta! Non posso lasciarmi condizionare da quel bellimbusto che non sa farsi gli affari suoi. Saprò metterlo in riga col mio caratteraccio… Nessun ha mai resistito tanto a lungo, semplicemente non sono stata convincente. Da oggi in poi mi lascerà in pace e io potrò tornare a gustarmi il mio benedetto cappuccino… e vogliamo parlare del Cuba Libre più buono del quartiere? Frizzantino e saporito... Ah, sembro proprio una drogata di caffè e alcool…” Tergiversavo come se non ci fosse un domani, ma era bello non dover rendere conto a nessuno.
Avevo trovato un posto dove poter ricominciare, dove la libertà era diventata una condizione reale e non più un miraggio. Qui, ero finalmente libera di decidere se lasciare tutte le luci accese, soffrire di insonnia, leggere fino alle prime luci dell’alba, calpestare la brina mattutina. Il mondo esterno non mi faceva più paura, o quasi, me lo ripetevo anche un po’ per convincermi. Ma con me stessa stavo bene, e questo poteva bastarmi.

***
Respirai a fondo prima di fare il mio ingresso nel mio adorato bar, i colori caldi mi avvolsero come una coperta, il profumo del caffè e dei dolci appena sfornati mi fece l’effetto di uno spinello, non che ne avessi fumati chissà quanti ma il ricordo di quella sensazione era ancora vivido. D’istinto, un sorriso raro e pellegrino affiorò sulle mia bocca.
«Ahia! Dannazione!» Imprecai non troppo silenziosamente, doveva essere circa un secolo che non sorridevo e il labbro inferiore, screpolato a causa del freddo, si era aperto con un sinistro crack. Bell’affare la felicità! Preferii dunque tornare al mio solito umore da grinch incazzato, mood che – tra le altre cose – mi sarebbe tornato molto utile per mettere al suo posto il caterpillar.
Mi diressi al mio tavolo, senza salutare nessuno, come sempre. Forse aveva ragione Lily a paragonarmi a un gatto: affogavo nella mia routine. Il solo tornare a quel tavolino mi faceva sentire a casa, una casa che non avevo mai avuto, per questa ragione la sensazione era ancora più forte. Non potevo permettere a nessuno di togliermi quel poco di normalità che ero riuscita a conquistarmi, tenendo conto del mio carattere non proprio adorabile.

Non avevo ordinato, ma il cappuccino arrivò lo stesso in tempi da record. Guardai verso il bancone, ma il barista – come aveva detto di chiamarsi? Mmh, si era mai presentato? – non mi stava osservando, tutto impegnato ad asciugare alcuni bicchieri e a parlare con la cameriera. Così, decisi di prendermi la sacrosanta libertà di guardarlo un po’ a mia volta, approfittando della sua distrazione e del cappuccio della felpa che schermava il mio sguardo. Lui sì che aveva nel sangue il sorriso, era genetico secondo me, tanto quanto era genetico per me il ghigno. Lo stile hipster avrebbe dovuto farlo sembrare più adulto, ma i suoi lineamenti in qualche modo restavano… puri. Sorrideva e le iridi scure brillavano; sorrideva e gli si formavano delle piccole rughe attorno agli occhi; sorrideva e la sua gola vibrava, così come il suo petto, fasciato da una maglietta bianca con sopra stampato uno schizzo nero. Sembrava il profilo di un viso, la somiglianza con Lily era pazzesca, ma avrei anche potuto essermela immaginata. Di una cosa ero certa: rideva troppo per i miei gusti, forse per questo mi stava antipatico? No, non era per questo. Erano la sua invadenza, i suoi giudizi, la sua sicurezza ad avermi irritata al punto da maledirlo e cambiare locale. Che idiota ero stata! Oh, ma il mio cappuccino si stava freddando, al diavolo il caterpillar, adesso eravamo solo lui e io.
Lo bevvi tutto, un sorso dopo l’altro, intingendo di tanto in tanto un pezzetto di brioche all’arancia. Uffa, niente cioccolatino, mmh, niente versi poetici sul tovagliolino. Nada de nada. Ero delusa? Davvero ero delusa?! Nah, solo non mi aspettavo che avrei vinto senza lottare ancora un po’. Mi ero già preparata un discorsetto al vetriolo, ma a quanto pareva, non sarebbe stato necessario. Sospirai, stranamente inquieta, poi capii il perché. Da sotto il piattino di porcellana vidi spuntare un lembo di una busta da lettere. La tirai fuori, era di quelle piccole e quadrate. Non mi accorsi di trattenere il respiro mentre la aprivo, dovevo essere proprio impazzita perché nessuno mi stava obbligando a sorbirmi tovagliolini imbrattati e bandierine a forma di labbra. Ero io che desideravo sapere cosa celava quella subdola bustina… All’interno c’era un foglio di cartoncino ripiegato e quando lo dispiegai restai a bocca aperta, alla lettera. Mi ritrovai a fissare il contorno di un mazzetto di primule che spuntava da un fazzoletto di prato ghiacciato. Avrei riconosciuto quei petali e quelle foglie ovunque, anche se erano disegnati con il carboncino, sfumati ad arte, sapevo di non essere in errore. Il messaggio era chiaro, almeno per me. Stavo provando emozioni contrastanti, da un lato mi ritrovai a maledire Lily per aver svelato il mio vero nome, dall’altro cercavo di non iperventilare al pensiero che non si era arreso. Avrei dovuto essere arrabbiata, ma non lo ero. E no, non era normale!
Con un dito sfiorai la firma, vergata frettolosamente nell’angolino in basso. Provai a leggerla, ma non fu facile: «Markos?» Si chiamava Markos quel testone di un barista?
«Esatto. Piacere mio!»
«Oh, Madre de Dios!» sobbalzai spaventata, mordendomi subito dopo il labbro già martoriato. Oggi non era proprio giornata…
«Lo so che non è il tuo nome: ritenta, sarai più fortunata.» Perché doveva essere tanto irritante e… sorridente. Mi abbagliava e non mi piaceva essere abbagliata. “E zitto tu, non battere così forte, è solo curioso, sei una sfida per lui, una dannata sfida!”

«Sappi che ucciderò Lily per avermi tradita…» sibilai tra i denti, evitando il suo sguardo, le sue labbra, la sua barba, le sue ciglia, i suoi denti… mi fissai sulle mie dita, ecco, lì sarei stata al sicuro.
«Non credo, sotto sotto, in fondo ma proprio in fondo, sono convinto che le vuoi bene…»
«Può darsi, ma non mi cullerei su questa certezza!» lo rimbeccai a tono e lui parve trovarlo divertente perché scoppiò in un’altra risata. Poi tamburellò le dita lunghe e ossute sul tavolinetto, aspettava che lo invitassi a sedersi? Povero illuso.
«Ti è piaciuto il disegno?» mi chiese, una sottile speranza nella voce. Mi ricordò uno dei bambini a cui avevo rotto una macchinina, tanti anni prima. Era così fiducioso nella vita e io gli avevo aperto gli occhi… Avrei dovuto fare lo stesso con Markos, era mio compito gettare un po’ di fango su tutta quella fiducia, altrimenti le conseguenze sarebbero state disastrose. Forse più per me che per lui, ma questi erano solo dettagli.
«Mmh, insomma, ho visto di meglio» mormorai appena, continuando a evitare il suo sguardo, ma sono certa che non gli era sfuggito il fatto che avevo ripiegato il cartoncino e lo avevo infilato in borsa. Lo avevo fatto in automatico, ma restava agli atti che era successo. Dannazione! Forse per questo lui non demorse, anzi si sedette di fronte a me, anche se non comodamente come qualche giorno prima. Non voleva farmi fuggire, questo era chiaro.
«Non sono uno di quei bambini…» Alzai gli occhi su di lui, di scatto, allarmata. Non lo avevo detto ad alta voce. «Non so cosa ti spingeva a mettere in guardia gli altri bambini, avrai avuto i tuoi bravi motivi, ma io non sono uno di loro. Ho i miei quasi trent’anni sulle spalle e credimi se ti dico che sono più pesanti di quanto immagini.» I suoi occhi non ridevano più, ma continuavano a sprigionare una serenità che abbagliava ancor più del suo sorriso.
«Ti farai male, se continui ad avere così tanta fiducia nel prossimo, finirai con il cuore a pezzi…» gli dissi di getto, la sua purezza di sentimenti mi atterriva.
«È pur sempre una mia scelta, non credi? Per esempio, ho deciso di fidarmi di te, del tuo ghigno da strega cattiva, del tuo atteggiamento scontroso. Ho deciso che mi piaci, che se rivelavi la realtà su Babbo Natale è perché qualcuno lo ha rivelato per primo a te e questo è triste, sai, a me la tristezza non va a genio…»
Avevo il cuore in gola, bloccato, immobile.
«E cosa ti fa credere che non ti contagerò con la mia tristezza, non ti farò pentire della tua scelta, non ridurrò la tua fiducia a brandelli?» Un sussurro, la mia voce era un semplice soffio di brezza estiva, nulla di più.
«Il tuo nome!»
«Cosa? Non starai dicendo sul serio!» Sì, era decisamente impazzito!
«Certo, Primrose. Hai avuto il potere di sconfiggere il Gelo, scacciare l’Inverno e liberare la Primavera. Vorrà pur dire qualcosa…» L’occhiolino, mi aveva appena fatto l’occhiolino.
«Il mio è solo uno stupido nome, come fai a basare una scelta tanto importante su uno stupido nome? Se per questo, il mio soprannome è altrettanto eloquente, come la mettiamo?» Stavo davvero ragionando con lui su una questione tanto assurda? Non ci potevo credere, tanto quanto non credevo all’ennesima risata di quello strano ragazzo. Da dove diavolo era spuntato fuori? 


                                     

«Ice ti si addice nei modi, l’ho sperimentato sulla mia pelle, ma Primrose è la tua essenza. Non chiedermi come lo so, ma il mio istinto non ha mai fallito.»
Stavo scuotendo il capo, incredula, assolutamente senza parole, quando lo vidi tirare fuori dalla tasca qualcosa: un cioccolatino al rhum. 
«Ripartiamo da qui, che ne dici? Voglio solo starti accanto, decidi tu come e quando, prova solo a sopportarmi per un po’, d’accordo?» Mi porse il piccolo dono, ma io ero come paralizzata. Mi sembrava di essere di fronte al diavolo, con una penna d’oca in mano, pronta a vergare un contratto in cui vendevo quel poco che restava della mia anima. Poco importava se quel diavolo avesse gli occhi, la bocca, il naso, la barba più belli che avessi mai visto; che fosse gentile come pochi, anche invadente sì, ma simpatico a suo modo; che amasse la vita più di quanto io amassi la mia tanto agognata libertà; che stesse mettendo in gioco se stesso pur di arrivare a me: un essere meschino, insopportabile, solitario; che non aveva idea di cosa significasse la fiducia e l’amicizia, figurarsi l’amore.
Cosa dovevo fare? Il terrore si impadronì di me, ma trovai un pizzico di coraggio per guardarlo negli occhi, forse lì avrei trovato la risposta.
«Non riesco a capire. Come fai a essere certo che io sia davvero la Primula e non l’odioso Inverno? Le apparenze e i fatti non giocano a tuo favore!» Se ripensavo alle scenate fatte nei giorni scorsi, in cui aveva visto il peggio del peggio di cui ero capace, rabbrividivo.
«Non mi sono mai fidato delle apparenze e i fatti possono sempre essere manipolati dalla paura. A questo punto, ne converrai, non ci resta che lasciare al tempo l’ardua sentenza…» Non mollava e sapevo che non avrebbe ceduto senza una mia risposta. Così smisi di pensarci, allungai un braccio e, solo dopo un brevissimo attimo di esitazione, afferrai il cioccolatino. Markos ne approfittò per avvolgere la mia mano nella sua, in una sorta di giuramento di sangue, ma senza il sangue, forse sarebbe stato sufficiente il rhum.
Avevo decretato un cambiamento nella mia confortante routine, il gatto che c’era in me soffiava e si lamentava, adesso non restava che vedere dove mi avrebbe portata. Avrei continuato a crogiolarmi nel solido ghiaccio in cui avevo costretto il mio cuore, oppure sarei stata fautrice di una nuova Primavera?

Siamo giunti alla fine.

Aspetto i vostri commenti, cosa ne pensate?


Copyright @ 2020 Anne Louise Rachelle

Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.

10 commenti:

  1. Adoro i retelling quindi approvo tantissimo la scelta sel tema 😍
    Il racconto è strepitoso tu migliori ogni volta e lo dimostri racconto dopo racconto: bravissima!
    Ora però devi assolutamente proseguire perché leggendoti ho seme voglia di saperne di più e con questo racconto siamo a quota tre ricorda che io aspetto!

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    1. Ahhhhhhh che bello leggerti cara Susy! Ogni volta è un'emozione unica. Grazie grazie grazie. Spero tanto di non deluderti <3

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  2. Ciao Anne Louise! Un altro splendido racconto che non posso non commentare chiedendoti, come prima cosa, un seguito. Hai una capacità veramente innata di conquistare il lettore con ogni singolo scritto che produci. Sei sempre bravissima, dall'inizio alla fine, crei mondi così originali e personaggi sempre memorabili, pur usando in questo caso la tecnica del retelling... davvero, io sono incantata! Sono felicissima di poter scoprire di mese in mese quello che la tua penna produce. E in particolare per questa storia, da tua fan quale sono, concludo dicendo che non vedo l'ora di leggerlo fino alla fine, questo romanzo!! Complimenti, sinceramente, di cuore! Stephi

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    1. Certo che leggere i tuoi commenti uno di fila all'altro mi ha quasi fatto venire un infarto per l'emozione! Giuro che li incornicio e li leggerò nei momenti in cui l'autostima sarà incollata ai tallone! Grazie di vero cuore!

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  3. Ciao Anne Louise! "La Bella e la Bestia" è una delle favole più amate ed un retelling è sempre gradito. Mi è piaciuto il fatto che tu abbia ribaltato la favola: in questo caso, l'animo gentile è quello dell'uomo, mentre la donna ha l'atteggiamento ferito e deluso della bestia. Certo che Markos è davvero perseverante... ma mi piace! Quanto ad Ice/Primrose, è evidente che si tratta di un personaggio che ha ancora tanto da svelare su di sé, ma mi sembra di capire che i due torneranno protagonisti dei tuoi scritti, quindi per ora bene così. Il POV alternato nelle storie romance mi piace sempre, è uno stile che mi cattura, e tu hai reso i due punti di vista coerenti tra loro ed ugualmente interessanti.
    Concordo con le altre nel dire che il tuo stile è sempre coinvolgente, anzi, spesso trascinante. Complimenti e alla prossima!

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  4. Silvia, ciao! Speravo tanto che la mia idea di retelling arrivasse forte e chiara (nonostante l'idea di invertire i ruoli e di inserire un riferimento anche alla leggenda Primula/Inverno). Sono felice di sapere che tu l'abbia apprezzata! In effetti, essendo questo racconto una sorta di pilot per una storia molto più complessa, non è stato semplice racchiudere tutto... però il tuo commento mi rincuora moltissimo! Grazie grazie grazie e alla prossima!

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  5. Ma guarda, anche tu hai deciso di fare un meraviglioso retelling della mia fiaba preferita, "La Bella e la Bestia" <3 Tra l'altro, pure io ho scritto una rivisitazione, ma non ti dico la favola che ho scelto perché non voglio guastarti la sorpresa (sarà una bruttissima sorpresa ovviamente UAHUAHUAHUAHUAHUAH) 8)

    Susy ha proprio ragione, comunque: più scrivi più diventi brava, e nel mentre io mi trasformo in un'invidiosona totale... MA COME FAI? :o Non è che mi puoi regalare un po' di questo tuo talento, giusto per farmi buttar giù, a grandi linee, una delle storie che mi frullano in testa dalla scuola superiore? Un attimino davvero, te lo rido indietro subitissimo XD ahahahah

    A parte gli scherzi, ti dico solo una cosa perché "Una parola è troppa e due sono poche" -sì, sto rivedendo "Un medico in famiglia": non commentare, so già di essere disagiata ahahah-. Caccia fuori il seguito perché qui, anche se la gente aspetta più che volentieri, potrebbe innervosirsi un poco ad attendere troppo :P

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  6. Ciao. Ho letto il tuo racconto e a ogni riga stavo cercando di immaginare e di capire di più, volevo sapere subito tutto e allo stesso tempo volevo scoprire piano piano le cose.
    Lui mi piace, positivo, che sorride sempre, testardo eppure ho l'impressione che non gli sia facile sorridere così. Non so perché ma sono curiosa di capire di più su di lui e sul perché della scelta di essere così positivo.
    Lei ha un nome particolare e devo dire che sono sicura non sia stronza, non davvero. Avrà anche lei le sue ragioni e quindi a questo punto mi aggiungo al coro e chiedo un seguito.
    A presto

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  7. Mi è piaciuto. Un bellissimo modo di riscrivere la storia in chiave moderna e a modo tuo.
    Sei riuscita a tenere viva l'attenzione dalla prima all'ultima riga e hai usato uno stile incisivo.
    Davvero un bel racconto.

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  8. Meravigliso. Emozionante. Mi sono innamorata di Ice e della dolcezza del suo barista. Mi ha colpito il modo originale in cui hai riscritto La Bella e la Bestia, salvando però l'essenza di questa meravigliosa fiaba. Complimenti. Hai uno stile che incolla il lettore, inoltre è elegante e molto curato. Complimenti. Silvia di Silvia tra le righe.

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