Il 31 dicembre è arrivato, desideravo che arrivasse abbastanza in fretta per porre fino a un anno assurdo sotto tanti punti di vista. Adesso mi auguro solo che il 2021 ci porti solo gioie visto che quelle ottenute in questo pazzo anno sono davvero poche.
Come vi avevo detto ieri, oggi vi saluto in modo particolare insieme a una cara amica, Anne Louise Rachelle, per la Rubrica Storytelling Chronicles
Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica è invece a cura di Tania del blog My Crea Bookish KingdomL'argomento di questo mese è Qualcosa di rubato. Il mio racconto QUI
Curiosi di scoprire cosa ha in serbo per noi Anne Louise? Lascio a lei la parola
Ciao a tutte ragazzuole, questo mese sono io a essere arrivata all’ultimissimo giorno utile per pubblicare. Prima di tutto, ci tenevo a ringraziare di cuore la carissima Susy, sempre disponibilissima, senza di te non avrei proprio pubblicato questo mese e mi sarebbe spiaciuto un mondo.
Il tema scelto – “qualcosa di rubato” – mi aveva da subito intrigata e sono felice di esserci riuscita… alla fine! Anche se il Natale è già passato, spero tanto che l’atmosfera si senta ancora e che questo raccontino – con personaggi che già avete conosciuto! – vi emozioni.
Non mi resta che augurarvi ancora buona continuazione di queste strane festività, per me sono state addirittura più sentite delle altre, e buona lettura!
Vi aspetto nei commenti, curiosissima di sapere cosa ne pensate. Un abbraccio.
Anne Louise Rachelle
IL MIRACOLO DI YULE
Oh quanto mi piaceva stare al calduccio, sotto la coperta pesante – forse erano addirittura due! –, spegnendo la mente e i pensieri. Amavo quella condizione di bozzolo protettivo, mi dava la sensazione che niente e nessuno avrebbe potuto farmi del male. Neppure i ricordi, in questo particolare periodo dell’anno.
Era il mio primo Natale qui, nel posto che avevo eletto mio rifugio, ma non avevo immaginato che la cittadina si sarebbe trasformata in un enorme Albero di Natale. C’erano lucine ovunque, persino lungo i passamani delle aree pedonali. Tutti i locali erano decorati a festa, tanto quanto le case e i condomini privati. Da ogni edificio veniva fuori la tipica musica che ricordava subito elfi, gnomi, dolci fatti in casa, camini accesi. La neve? Beh, la neve si rendeva complice nel dare vita a un’atmosfera a dir poco magica… che odiavo con tutta me stessa. Odiavo la neve, le luci, i sorrisi, le musiche, i dolci tipici. Odiavo ricordare quanto avessi amato tutto ciò in un passato troppo distante, quando ero poco più che una bambina, ingenua, amata. Prima che diventassi grande all’improvviso.
La voce di Markos si insinuò nelle volute di nebbia che avevo creato nella mia testa, succedeva spesso negli ultimi tempi, ma in questo caso mi risultò particolarmente odiosa:
«Ci sono due tipi di persone che non amano il Natale…» aveva pontificato, dopo avergli dichiarato la mia ostilità alla sua voglia di festeggiare. «Chi non ha niente dentro e chi invece ha sofferto troppo. I primi sono quelli che non hanno un’anima e quindi non possono captare le vibrazioni magiche di questo periodo; i secondi, invece, si sentono vulnerabili a queste vibrazioni, temono di continuare a soffrire e non gli permettono di entrare… le rifuggono…»
Perché diavolo doveva avere sempre ragione? Perché ogni sua parola era capace di arrivare dritta al cuore? Perché pareva leggere così in profondità? Un dannato saputello, ecco cos’era!
Non gli avevo dato modo di completare la sua accorata perorazione a favore del Natale, erano solo i primi giorni del mese, me n’ero andata ben decisa a non mettere più piede fuori da casa prima di gennaio, quando la cittadina sarebbe tornata alla mia normalità.
Infilai la testa sotto al cuscino, adesso un pizzico più nervosa. L’apparente benessere di cui stavo godendo solo qualche attimo prima sembrava essere svanito con il ricordo del mio torturatore. Dopo la tregua instaurata, il rapporto era stato civile, da parte mia al limite del cortese, da parte sua meno pressante. Forse erano state le mie imprecazioni a farlo incaponire tanto, perciò mi ero goduta i suoi cremosi cappuccini e i suoi deliziosi Cuba Libre con tirata soddisfazione, fino a quando Lily non era riapparsa. Non lo avrei mai detto ad alta voce, neppure sotto minaccia, ma tornare alle sue preparazioni era stato un po’ deludente. Tuttavia, la prospettiva di liberarmi di lui mi aveva rabbonita non poco.
Una povera illusa, ecco cos’ero stata! Mark – come avevo iniziato a chiamarlo nella mia testa – aveva continuato a girarmi intorno. Niente più cappuccini e Cuba Libre, ma i suoi cioccolatini al rhum avevano spesso allietato momenti particolarmente bui… ma cosa andavo blaterando? Dovevo essere impazzita! La forzata reclusione mi stava giocando brutti scherzi… Mark era una palla al piede, appiccicoso come quei bon bon alla frutta pieni di zucchero, anche se dovevo ammettere che la sua barba mi piaceva un sacco e anche i suoi denti bianchissimi quando sorrideva…
«Basta!» lo avevo urlato ad alta voce?! Menomale che il cuscino aveva attutito e disperso ogni lettera. Che vergogna. Forse era meglio dedicarsi a uno dei miei tanti libri, nella speranza che il tempo passasse più rapido.
All’improvviso, mentre ero ancora indecisa sul titolo da scegliere, il campanello della porta iniziò a trillare. Ebbi la sensazione di essere stata colpita con un taser ad alto voltaggio. Chi diavolo poteva essere? L’affitto era pagato per tutto il mese, la signora Heather sapeva che non amavo le visite di cortesia, stessa cosa valeva per Lily. Fissai il cellulare, spento, sull’étagère che usavo come tavolo della cucina. E se avessero provato a chiamare prima…?
Ecco che suonava ancora il campanello. Avrei dovuto solo guardare dallo spioncino, doveva essere per forza una delle due, nessun altro conosceva il mio indirizzo. Con uno strano groviglio nel basso ventre, mi decisi ad andare verso la porta.
«Ehi, hai intenzione di aprire? La scatola che ho tra le braccia pesa una tonnellata, mi vuoi davvero sulla coscienza? Ah, ho anche una confezione dei tuoi cioccolatini preferiti, giusto per dissuaderti – nel caso ci stessi davvero pensando – dal non rispondere…»
Markos?! Ma ma ma… Lily!!! Aveva spifferato dove vivevo. Mi diedi un’occhiata veloce, i pantaloni della tuta era sgualciti, il maglione scuro che portavo addosso era più grande di due taglie, i capelli dovevano essere un disastro dopo l’uragano riprodotto contro il cuscino.
Non ero obbligata a farlo entrare, no?
«Che diamine ci fai qui? Non sai che è cattiva educazione presentarsi a casa della gente senza avvisare?» provai a protestare con il mio solito tono caustico.
«Ovvio che lo so, ma se tu tenessi il cellulare acceso avresti ricevuto le mie sette chiamate. Alla fine ho deciso che il fine avrebbe giustificato i mezzi. Allora, apri o no?»
Avrei voluto battere i piedi sul pavimento al pari di una bambina indispettita, ma presi un bel respiro profondo prima di rispondere.
«Sono impresentabile, a tuo rischio e pericolo!»
«Non mi hai mai abituato a chissà quale outfit, sono certo che non rimarrò scioccato…» Ma che insolente! Voleva la guerra…? Spalancai la porta con forza nel tentativo di vederlo trasalire, ma non accadde. Anzi, a dispetto delle mie condizioni e della mia espressione da grinch incazzato, mi regalò un sorriso capace di sciogliere il ghiaccio più duro. Ma io ero un diamante in questo momento e i diamanti non potevano essere scalfiti… se non da un altro diamante.
«Se non vuoi sentirmi imprecare da qui fino al prossimo anno, ti conviene andartene, non sono dell’umore di ricevere ospiti» cercai di irretirlo, ancora sull’uscio, a sbarrare l’entrata. Ero curiosa di sapere cosa c’era nella scatola che reggeva senza alcuno sforzo, altro che tonnellata, ma mi imposi di non fissarla troppo. Non potevo dargliela vinta così facilmente.
«Che io sappia, il tuo umore è sempre quello di un cactus un po’ più spinoso, perciò non corro alcun rischio extra, posso entrare?»
Non poteva avere la risposta sempre pronta, ma cos’era, un dono dalla nascita?
«Entra, se sei così temerario, ma non ti aspettare bevande e dolcini zuccherosi…» borbottai, ma come facevo a non stargli antipatica? Anche io a volte non mi sopportavo.
«A quelli ci ho pensato io, tranquilla!»
«Entra, se sei così temerario, ma non ti aspettare bevande e dolcini zuccherosi…» borbottai, ma come facevo a non stargli antipatica? Anche io a volte non mi sopportavo.
«A quelli ci ho pensato io, tranquilla!»
Non vide il mio sguardo sgranato, ma dovette per forza sentire il mio sonoro sbuffo mentre sbattevo la porta dietro le nostre spalle. Incrociai le braccia al petto, in attesa di capire cosa volesse. La linea dura delle mie labbra sarebbe stata abbastanza eloquente.
Lo fissai appoggiare la scatola sull’étagère, tirarne fuori un cartoncino con due bicchieri e alcuni tovagliolini, una confezione dei cioccolatini al rhum che mi piacevano tanto, un sacchetto al cui interno intravidi delle brioche… e il profumo non mi smentì. Lo stomaco invece fu il traditore numero uno. Brontolò sonoramente, ricordandomi che non toccavo cibo da… che ore erano? Avevo del tutto perso la cognizione del tempo. Mi pettinai i capelli con le dita, cercando di apparire disinvolta e ignorando una risatina sommessa del torturatore.
«Sono le dieci del mattino, anche se sembra notte, fuori c’è una bufera di neve. Non ti vedevo in giro da un po’, così ho pensato di portarti una bella colazione e qualche altra cosa… Intanto, siediti, non stare lì impalata come un fuso, forza!»
Lo fissai appoggiare la scatola sull’étagère, tirarne fuori un cartoncino con due bicchieri e alcuni tovagliolini, una confezione dei cioccolatini al rhum che mi piacevano tanto, un sacchetto al cui interno intravidi delle brioche… e il profumo non mi smentì. Lo stomaco invece fu il traditore numero uno. Brontolò sonoramente, ricordandomi che non toccavo cibo da… che ore erano? Avevo del tutto perso la cognizione del tempo. Mi pettinai i capelli con le dita, cercando di apparire disinvolta e ignorando una risatina sommessa del torturatore.
«Sono le dieci del mattino, anche se sembra notte, fuori c’è una bufera di neve. Non ti vedevo in giro da un po’, così ho pensato di portarti una bella colazione e qualche altra cosa… Intanto, siediti, non stare lì impalata come un fuso, forza!»
Potevo pestargli un piede? Dargli un pizzicotto? Tirargli la barba? Volevo farlo soffrire, dannazione, non poteva leggermi nel pensiero ogni volta. Lo osservai meglio, chiusa nel mio mutismo ostinato, mentre mi mettevo seduta sull’unica sedia del piccolo appartamento. Il cappuccio del giubbotto era davvero ricoperto di cristalli di ghiaccio e anche la sua barba ne portava traccia. Ma non aveva niente di meglio da fare che affrontare tempeste di neve per portare la colazione a una quasi sconosciuta? Non riuscivo a capirlo.
Markos appoggiò lo scatolone a terra per fare spazio ai sacchetti e ai bicchieri, cercai di sbirciare al suo interno per capirne il contenuto, ma lui si mise sulla traiettoria del mio sguardo… di proposito, ne ero certa. Decisi di dedicarmi alla mia colazione. Nel bicchiere c’era un cappuccino, la crema di latte era un po’ sciupata, ma aveva resistito eroicamente visti gli strapazzi del viaggio, e quanto mi erano mancate quelle brioche all’arancia? Ne addentai subito un pezzetto, generando un altro odioso risolino da parte di Mark, mmm, in realtà non era così antipatico, pareva uno scampanellio, ma non potevo ammetterlo, vero?
«Perché non ti sei fatta più viva? Lily mi ha detto che le hai mandato qualche messaggio, ma nulla di più» mi chiese poi, con apparente naturalezza, mentre beveva il suo caffè nero. Strano che gli piacesse forte e senza zucchero, da dove prendeva tutto quell’ottimismo?
«Non sono stata tanto bene, non volevo rischiare di beccarmi qualcosa con questo freddo…» mentii spudoratamente. Lo guardai di sottecchi, appoggiato al bordo del piccolo piano cottura.
Markos appoggiò lo scatolone a terra per fare spazio ai sacchetti e ai bicchieri, cercai di sbirciare al suo interno per capirne il contenuto, ma lui si mise sulla traiettoria del mio sguardo… di proposito, ne ero certa. Decisi di dedicarmi alla mia colazione. Nel bicchiere c’era un cappuccino, la crema di latte era un po’ sciupata, ma aveva resistito eroicamente visti gli strapazzi del viaggio, e quanto mi erano mancate quelle brioche all’arancia? Ne addentai subito un pezzetto, generando un altro odioso risolino da parte di Mark, mmm, in realtà non era così antipatico, pareva uno scampanellio, ma non potevo ammetterlo, vero?
«Perché non ti sei fatta più viva? Lily mi ha detto che le hai mandato qualche messaggio, ma nulla di più» mi chiese poi, con apparente naturalezza, mentre beveva il suo caffè nero. Strano che gli piacesse forte e senza zucchero, da dove prendeva tutto quell’ottimismo?
«Non sono stata tanto bene, non volevo rischiare di beccarmi qualcosa con questo freddo…» mentii spudoratamente. Lo guardai di sottecchi, appoggiato al bordo del piccolo piano cottura.
«Non ho un’altra sedia, scusami.» Non so perché lo dissi, forse perché dai suoi occhi avevo intuito che la mia bugia era stata poco credibile? Meglio cambiare discorso.
«Tranquilla, tu mangia a volontà, io ho da fare…» Con nonchalance, mi diede una carezza sulla spalla, scompigliandomi poi i capelli, più di quanto già non lo fossero. Un brivido mi percorse la spina dorsale e mi irrigidii all’istante, ma lui non se ne accorse, tutto impegnato a togliersi il giubbotto e a rovistare all’interno della scatola. La sua felpa nera era pesante e anche i jeans scuri che si perdevano all’interno di anfibi con i lacci slacciati, eppure riuscivo a vedere alla perfezione ogni linea del suo torace e delle sue gambe. Dovevo essere impazzita, sì, non c’erano davvero altre alternative…
«Cosa avresti da fare, in casa mia, di grazia?» chiesi scettica, distogliendo i pensieri dal suo corpo, il mio si era riscosso dopo troppo tempo.
«Montare le lucine, agghindare un mini alberello, appendere il vischio…»
Per poco non mi sfuggì il bicchiere dalle mani, mentre urlavo un «C-cosa?!» strozzato.
«Tranquilla, tu mangia a volontà, io ho da fare…» Con nonchalance, mi diede una carezza sulla spalla, scompigliandomi poi i capelli, più di quanto già non lo fossero. Un brivido mi percorse la spina dorsale e mi irrigidii all’istante, ma lui non se ne accorse, tutto impegnato a togliersi il giubbotto e a rovistare all’interno della scatola. La sua felpa nera era pesante e anche i jeans scuri che si perdevano all’interno di anfibi con i lacci slacciati, eppure riuscivo a vedere alla perfezione ogni linea del suo torace e delle sue gambe. Dovevo essere impazzita, sì, non c’erano davvero altre alternative…
«Cosa avresti da fare, in casa mia, di grazia?» chiesi scettica, distogliendo i pensieri dal suo corpo, il mio si era riscosso dopo troppo tempo.
«Montare le lucine, agghindare un mini alberello, appendere il vischio…»
Per poco non mi sfuggì il bicchiere dalle mani, mentre urlavo un «C-cosa?!» strozzato.
Senza neanche pensarci, avevo abbandonato la colazione, lo avevo raggiunto e gli avevo bloccato le mani con un gesto convulso. Lui si rimise in piedi, non era scioccato dalla mia strana reazione, forse se l’aspettava… e allora perché aveva messo su questa pantomima? Io, dal mio canto, non riuscivo a distogliere lo sguardo dalle decorazioni scintillanti all’interno del cartone, mentre tenevo le dita artigliate sui suoi avambracci.
«Persino Heather ha tappezzato il palazzo di lucine e sappiamo entrambi quanto sia taccagna!» Perorava la sua causa con voce calma, un mezzo sorriso gli colorava le labbra, perché mi fissava a quel modo?
«Non voglio, non festeggio il Natale, non mi piacciono le luci, le palline colorate, il vischio e l’agrifoglio sparsi ovunque…»
«Non devi festeggiare il Natale, ma un nuovo inizio.» Quelle parole furono capaci di calamitare il mio sguardo nel suo. Avevo sentito bene? Dovevo avere un’espressione attonita perché lui continuò.
«Persino Heather ha tappezzato il palazzo di lucine e sappiamo entrambi quanto sia taccagna!» Perorava la sua causa con voce calma, un mezzo sorriso gli colorava le labbra, perché mi fissava a quel modo?
«Non voglio, non festeggio il Natale, non mi piacciono le luci, le palline colorate, il vischio e l’agrifoglio sparsi ovunque…»
«Non devi festeggiare il Natale, ma un nuovo inizio.» Quelle parole furono capaci di calamitare il mio sguardo nel suo. Avevo sentito bene? Dovevo avere un’espressione attonita perché lui continuò.
«Ti ho vista, l’ultima volta che sei venuta al locale, hai preso una delle pallette di vetro con cui decoriamo i centritavola. L’hai fissata a lungo, poi l’hai semplicemente presa, come se ne fossi ipnotizzata…»
Mi sentii morire, avrei voluto buttarlo fuori, buttarmi fuori, sprofondare tre piani sotto e finire nella neve gelida. Una vergogna bruciante mi avvolse e anziché permettere ai miei occhi di riempirsi di lacrime inesistenti, inutili e sterili, lo lasciai andare – non mi ero accorta di tenerlo ancora stretto – andai verso il soppalco, alzai il cuscino e ne tirai fuori la sfera di vetro. La fissai un attimo di troppo, poi ritornai da lui.
«Prenditela e vattene!» gli intimai, la mia voce sembrava una lama affilata.
«Non sono venuto qui per riprenderla, ma per appenderla assieme alle altre.»
Mi sentii morire, avrei voluto buttarlo fuori, buttarmi fuori, sprofondare tre piani sotto e finire nella neve gelida. Una vergogna bruciante mi avvolse e anziché permettere ai miei occhi di riempirsi di lacrime inesistenti, inutili e sterili, lo lasciai andare – non mi ero accorta di tenerlo ancora stretto – andai verso il soppalco, alzai il cuscino e ne tirai fuori la sfera di vetro. La fissai un attimo di troppo, poi ritornai da lui.
«Prenditela e vattene!» gli intimai, la mia voce sembrava una lama affilata.
«Non sono venuto qui per riprenderla, ma per appenderla assieme alle altre.»
Era davvero fuori di testa?
«E non vuoi sapere perché l’ho presa?» chiesi con sfida, attaccare era l’unico modo che avevo per difendermi, ma con lui mi sentivo sempre impotente, incapace di trovare una via di fuga. Stringevo forte la palla, di fronte a lui, che si ostinava a tenere le mani nelle tasche dei jeans.
«Lo so già. Per questo sono venuto.»
Risi, risi di gola, di scherno, volevo che si sentisse uno schifo, come mi sentivo io in quel dannato momento. «Ma chi diavolo ti credi di essere? Non sai niente di niente. Tu pensi di sapere, ma non sei un dio! Devi solo imparare a farti gli affari tuoi!» Stavo per scagliare la sfera sul pavimento, consapevole che tra i suoi cocci avrei trovato anche quelli del mio cuore.
Fulmineo, bloccò il mio polso con la sua mano grande, impedendomi di rompere la decorazione.
«Non farlo. Me ne andrò se è quello che vuoi, ma sono venuto qui perché ho capito che questa sfera rappresenta qualcosa per te. Un ricordo, felice o doloroso non lo so, ma se l’hai presa con te deve essere importante. Perciò ne ho portate delle altre, perché vorrei donarti un po’ di luce. Shhh, non lo dire, non sono prepotente, sto cercando di non lasciarti sola…»
Lo vidi scuotere il capo, non doveva essere facile trovare le parole per convincermi, ognuna di esse pareva troppo pretenziosa o arrogante. Tuttavia, la mia rabbia si era disciolta assieme alla vergogna, come la rugiada sotto al sole del mattino. Era venuto per me, per una tipa che l’aveva sempre allontanato, bistrattato, con il rischio di essere rifiutato per l’ennesima volta. Strinsi forte la palla e lui capì che non l’avrei più lanciata, così mi liberò dalla sua presa. Il segno delle sue dita svanì, lasciando solo un calore forte che non era sulla pelle, ma sotto. Un calore che sapeva di vicinanza, preoccupazione, paura.
«E non vuoi sapere perché l’ho presa?» chiesi con sfida, attaccare era l’unico modo che avevo per difendermi, ma con lui mi sentivo sempre impotente, incapace di trovare una via di fuga. Stringevo forte la palla, di fronte a lui, che si ostinava a tenere le mani nelle tasche dei jeans.
«Lo so già. Per questo sono venuto.»
Risi, risi di gola, di scherno, volevo che si sentisse uno schifo, come mi sentivo io in quel dannato momento. «Ma chi diavolo ti credi di essere? Non sai niente di niente. Tu pensi di sapere, ma non sei un dio! Devi solo imparare a farti gli affari tuoi!» Stavo per scagliare la sfera sul pavimento, consapevole che tra i suoi cocci avrei trovato anche quelli del mio cuore.
Fulmineo, bloccò il mio polso con la sua mano grande, impedendomi di rompere la decorazione.
«Non farlo. Me ne andrò se è quello che vuoi, ma sono venuto qui perché ho capito che questa sfera rappresenta qualcosa per te. Un ricordo, felice o doloroso non lo so, ma se l’hai presa con te deve essere importante. Perciò ne ho portate delle altre, perché vorrei donarti un po’ di luce. Shhh, non lo dire, non sono prepotente, sto cercando di non lasciarti sola…»
Lo vidi scuotere il capo, non doveva essere facile trovare le parole per convincermi, ognuna di esse pareva troppo pretenziosa o arrogante. Tuttavia, la mia rabbia si era disciolta assieme alla vergogna, come la rugiada sotto al sole del mattino. Era venuto per me, per una tipa che l’aveva sempre allontanato, bistrattato, con il rischio di essere rifiutato per l’ennesima volta. Strinsi forte la palla e lui capì che non l’avrei più lanciata, così mi liberò dalla sua presa. Il segno delle sue dita svanì, lasciando solo un calore forte che non era sulla pelle, ma sotto. Un calore che sapeva di vicinanza, preoccupazione, paura.
«È la stessa con cui decoravamo l’albero di Natale a casa mia. Ero davvero piccola, perciò l’avevo dimenticata, ma quando l’ho rivista, è stato più forte di me, l’ho dovuta prendere.»
Scusarmi per averlo fatto non avrebbe avuto molto senso, ma raccontargli il motivo, forse avrebbe aiutato la mia causa. Non mi chiese altro, non andò più in profondità, con ogni probabilità perché aveva intuito che scavare avrebbe significato perdersi in un abisso nero pece… Gliene fui stranamente grata.
«La mia proposta è quella di festeggiare Yule, non il semplice Natale. Pensiamo a questo come un periodo di trasformazione, rinnovamento… il buio che lascia il posto alla luce… ecco perché le lucine e il ceppo, i bagliori ricorderanno le fiaccole e si rifletteranno su queste sfere trasformando il passaggio in un corridoio davvero luminoso… riesci a immaginarlo?»
«La mia proposta è quella di festeggiare Yule, non il semplice Natale. Pensiamo a questo come un periodo di trasformazione, rinnovamento… il buio che lascia il posto alla luce… ecco perché le lucine e il ceppo, i bagliori ricorderanno le fiaccole e si rifletteranno su queste sfere trasformando il passaggio in un corridoio davvero luminoso… riesci a immaginarlo?»
Le sue parole avevano la capacità di creare delle immagini nella mia mente, mentre mormorava quelle frasi, io avevo già visualizzato la scena e il cuore iniziò a rombare nel petto. Scossi il capo, ero confusa per ciò che provavo: abbandonare il buio significava venire allo scoperto, esporre il fianco, essere vulnerabile.
«Come fai a lasciare il buio, quando è l’unica difesa che hai?» sussurrai a occhi chiusi, non ricordavo neppure di averli serrati, come se avessi potuto ricreare il bozzolo protettivo delle coperte.
Una carezza mi fece sussultare. Mark si era avvicinato, potevo sentire il suo respiro.
«Non hai bisogno dell’oscurità se hai uno scudo di cui servirti. Potrei essere io quello scudo, Primrose, se solo mi lasciassi entrare…»
«Come fai a lasciare il buio, quando è l’unica difesa che hai?» sussurrai a occhi chiusi, non ricordavo neppure di averli serrati, come se avessi potuto ricreare il bozzolo protettivo delle coperte.
Una carezza mi fece sussultare. Mark si era avvicinato, potevo sentire il suo respiro.
«Non hai bisogno dell’oscurità se hai uno scudo di cui servirti. Potrei essere io quello scudo, Primrose, se solo mi lasciassi entrare…»
Cosa mi stava dicendo? Alzai le palpebre e trovai due iridi di onice a fissarmi. La serenità del suo volto era disarmante, così come il suo sorriso dolce, invitante. Era un diavolo tentatore, mi avrebbe fatto cadere nella sua trappola e allora avrei consumato anche l’ultimo brandello che restava della mia anima.
«Come faccio a fidarmi? Se dovessi perderti – per qualsiasi ragione – sarei finita. Ho lottato così tanto per arrivare fin qui, per conquistare questo angolino di pace, non è perfetto lo so, ma è solo mio…»
Mark mi guardò con un’intensità capace di farmi battere il cuore all’impazzata, rimasi senza respiro, non ero abituata a tutte queste emozioni insieme.
«E se non mi perdessi? Se il tuo angolino di pace imperfetto diventasse perfetto? Ci hai mai pensato…?» Lo vidi stringere i pugni, anche lui stava giocando col fuoco, in quel momento nei fui del tutto sicura: si stava lanciando nell’ignoto, lo avrei seguito?
Feci un passo indietro, ma subito dopo ne feci due in avanti. Ero a pochissimi centimetri da lui, potevo sentire il suo profumo di caffè e cacao. Ero terrorizzata, ma allo stesso tempo attratta. Temevo di soffrire ancora, ma se non fosse accaduto? Non avevo mai sperato nel futuro, mi ero sempre limitata a vivere alla giornata, con le mie pochissime certezze, senza mai allontanarmi dalla mia zona sicura.
«Ci sono cose di me che forse non ti racconterò mai, lati di me che potrebbero rimanere sepolti per sempre, soffro di insonnia, non amo essere toccata, adoro leggere… thriller soprattutto, impazzisco per il cioccolato e… il cappuccino…»
«Come faccio a fidarmi? Se dovessi perderti – per qualsiasi ragione – sarei finita. Ho lottato così tanto per arrivare fin qui, per conquistare questo angolino di pace, non è perfetto lo so, ma è solo mio…»
Mark mi guardò con un’intensità capace di farmi battere il cuore all’impazzata, rimasi senza respiro, non ero abituata a tutte queste emozioni insieme.
«E se non mi perdessi? Se il tuo angolino di pace imperfetto diventasse perfetto? Ci hai mai pensato…?» Lo vidi stringere i pugni, anche lui stava giocando col fuoco, in quel momento nei fui del tutto sicura: si stava lanciando nell’ignoto, lo avrei seguito?
Feci un passo indietro, ma subito dopo ne feci due in avanti. Ero a pochissimi centimetri da lui, potevo sentire il suo profumo di caffè e cacao. Ero terrorizzata, ma allo stesso tempo attratta. Temevo di soffrire ancora, ma se non fosse accaduto? Non avevo mai sperato nel futuro, mi ero sempre limitata a vivere alla giornata, con le mie pochissime certezze, senza mai allontanarmi dalla mia zona sicura.
«Ci sono cose di me che forse non ti racconterò mai, lati di me che potrebbero rimanere sepolti per sempre, soffro di insonnia, non amo essere toccata, adoro leggere… thriller soprattutto, impazzisco per il cioccolato e… il cappuccino…»
Stavo per dire “il tuo cappuccino”, ma ero riuscita a frenarmi in tempo, forse però l’aveva intuito, perché un sorriso sghembo tentò di abbagliarmi. Misi una mano aperta davanti al suo viso per arrestare qualsiasi tentativo di beffa.
«Ho le mie regole, ho bisogno dei miei spazi, quando ti dirò di andare dovrai andare, potrei ringhiarti contro senza volerlo, sono un pessimo soggetto, Markos… spero che tu sappia in che casino ti stai infilando…»
Aspettò un mio cenno, per essere certo che io avessi terminato di parlare, anche volendo non sarei riuscita ad andare avanti, mi si era formato un groppo in gola difficile da mandare giù.
Aspettò un mio cenno, per essere certo che io avessi terminato di parlare, anche volendo non sarei riuscita ad andare avanti, mi si era formato un groppo in gola difficile da mandare giù.
«Anche io ho degli argomenti di cui non amo parlare, ma lo farò lo stesso perché tu sappia che di te mi fido e tu potrai fare lo stesso. Dormo come un ghiro tutte le notti, ma non russo… a detta dei miei vari coinquilini. Non ti toccherò, almeno che tu non lo voglia…»
Mi aveva fatto davvero l’occhiolino?!
«Leggo spy e techno-thriller, ma non disdegno qualche storia d’amore fatta bene… e non mi guardare così! Il cioccolato è la mia passione tanto quanto il caffè, non ho regole particolari ma sono disposto a seguire le tue, a darti gli spazi di cui hai bisogno, posso sopportare qualche ringhio e che tu fossi un pessimo soggetto lo sapevo già, ma ho deciso lo stesso di buttarmi…»
Riprese fiato quando si accorse che la voce tremolò un po’ sulle ultime sillabe. Era davvero così emozionato come appariva? Stavamo stipulando un contratto? Ne aveva tutta l’aria…
«Allora? Che si fa?» domandai, sospirando profondamente.
«Dobbiamo montare l’alberello, sbrogliare la matassa delle lucine, appenderle per tutto l’appartamento insieme alle pallette, ma prima devi terminare la tua brioche!» Aveva elencato tutto alzando un dito alla volta, con un’espressione talmente seria che non riuscii proprio a evitare di scoppiare in una risata. Assurdo! Non ridevo così da troppo tempo… e capii che mirava proprio a quello quando mi si fece vicino, lo sguardo soddisfatto, un enorme sorriso stampato sul viso. Aprì le braccia, voleva abbracciarmi, ma lasciò a me la scelta. E, diamine, lo volevo anche io! Coprii la distanza che ci separava e mi rannicchiai contro il suo petto, mentre lui mi avvolgeva con un calore indimenticabile.
Erano le sue promesse a farmi questo effetto? Oppure il suo corpo solido? Il battito forsennato del suo cuore contro l’orecchio? Eccome se era alto, mi perdevo nella sua felpa, con su stampato un Merry Christmas stilizzato… adatto a lui e alla situazione.
«Alla fine, hai avuto ciò per cui sei venuto…» mormorai appena, più a me stessa che a lui.
«Decisamente, anche se non avevo molte speranze…» mi confessò a denti stretti.
«Eppure, ci sei venuto lo stesso!»
«Sono famoso per non arrendermi mai, non quando credo con forza in qualcosa…»
«E questa volta in cosa credevi?»
«Prima di tutto, nella magia di un furto… no, scherzo!» Reagì con un risolino, quando lo pizzicai per rimproverarlo. «Volevo dire nella magia di Yule, che tutto può e tutto trasforma.»
«Allora? Che si fa?» domandai, sospirando profondamente.
«Dobbiamo montare l’alberello, sbrogliare la matassa delle lucine, appenderle per tutto l’appartamento insieme alle pallette, ma prima devi terminare la tua brioche!» Aveva elencato tutto alzando un dito alla volta, con un’espressione talmente seria che non riuscii proprio a evitare di scoppiare in una risata. Assurdo! Non ridevo così da troppo tempo… e capii che mirava proprio a quello quando mi si fece vicino, lo sguardo soddisfatto, un enorme sorriso stampato sul viso. Aprì le braccia, voleva abbracciarmi, ma lasciò a me la scelta. E, diamine, lo volevo anche io! Coprii la distanza che ci separava e mi rannicchiai contro il suo petto, mentre lui mi avvolgeva con un calore indimenticabile.
Erano le sue promesse a farmi questo effetto? Oppure il suo corpo solido? Il battito forsennato del suo cuore contro l’orecchio? Eccome se era alto, mi perdevo nella sua felpa, con su stampato un Merry Christmas stilizzato… adatto a lui e alla situazione.
«Alla fine, hai avuto ciò per cui sei venuto…» mormorai appena, più a me stessa che a lui.
«Decisamente, anche se non avevo molte speranze…» mi confessò a denti stretti.
«Eppure, ci sei venuto lo stesso!»
«Sono famoso per non arrendermi mai, non quando credo con forza in qualcosa…»
«E questa volta in cosa credevi?»
«Prima di tutto, nella magia di un furto… no, scherzo!» Reagì con un risolino, quando lo pizzicai per rimproverarlo. «Volevo dire nella magia di Yule, che tutto può e tutto trasforma.»
Sentii le sue labbra tra i capelli, sul capo. «Ho creduto in te, piccolo cactus super spinoso!»
«Hai fatto bene, forse, a confidare in Yule, un po’ meno nel cactus… spero di non farti soffrire…»
«Impegniamoci a essere felici, tutto il resto non conta, ok?»
«Ok… ma ti avviso… non sono brava con le decorazioni, in sostanza: non le ho mai fatte!» ammisi senza più remore. Ormai aveva deciso di “sopportarmi”, compresi tutti i miei difetti, a suo rischio e pericolo.
«E io che ci starei qui a fare? Sono il mago degli addobbi. Adesso ti riscaldo il latte, finisci di assumere gli zuccheri necessari e poi ci metteremo all’opera…!»
Dovevo sembrare più uno spaventapasseri che un cactus in questo momento, ma stranamente non me ne importava più. Annuii e mi lasciai coccolare da gesti e parole che nessuno mi rivolgeva più da quando ero una bimbina con la meraviglia negli occhi.
Chissà, mentre io credevo di stare solo rubando una sfera di vetro con dentro la neve, Yule faceva davvero il suo miracolo… e adesso ce lo avevo proprio davanti.
«Hai fatto bene, forse, a confidare in Yule, un po’ meno nel cactus… spero di non farti soffrire…»
«Impegniamoci a essere felici, tutto il resto non conta, ok?»
«Ok… ma ti avviso… non sono brava con le decorazioni, in sostanza: non le ho mai fatte!» ammisi senza più remore. Ormai aveva deciso di “sopportarmi”, compresi tutti i miei difetti, a suo rischio e pericolo.
«E io che ci starei qui a fare? Sono il mago degli addobbi. Adesso ti riscaldo il latte, finisci di assumere gli zuccheri necessari e poi ci metteremo all’opera…!»
Dovevo sembrare più uno spaventapasseri che un cactus in questo momento, ma stranamente non me ne importava più. Annuii e mi lasciai coccolare da gesti e parole che nessuno mi rivolgeva più da quando ero una bimbina con la meraviglia negli occhi.
Chissà, mentre io credevo di stare solo rubando una sfera di vetro con dentro la neve, Yule faceva davvero il suo miracolo… e adesso ce lo avevo proprio davanti.
Siamo giunti alla fine.
Cosa ne pensate della storia di Anne Louise?
Cosa ne pensate della storia di Anne Louise?
Io l'ho amata e lo dico già adesso senza aspettare i commenti, poi mi direte voi cosa ne pensate.
Se per caso vi siete persi qualche puntata, vi invito a ripercorrere con la mente i vecchi appuntamenti della rubrica e forse scoprirete che questi personaggi... no, non dico di più altrimenti finisce il divertimento.
Un caro saluto a tutti, buon anno da me e Anne Louise col cuore, ci rileggiamo l'anno prossimo
Copyright @ 2020 Anne Louise Rachelle
Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
Carissima Anne Louise. Attendevo con ansia in tuo racconto per immergermi di nuovo nelle tue parole magiche e neppure stavolta ti sei smentita. Ritrovare Primrose e Markos poi, è stata una splendida sorpresa. Sei riuscita a creare una perla di emozioni e di ricordi in una scena tanto semplice quanto potente. Markos con le sue intenzioni pure è in grado di scalfire anche la superficie di un diamante. Primrose vorrebbe isolarsi nel suo "angolino di pace" per non pensare al suo passato un tempo felice. Insomma, il mood della storia è sagace, sarcastica e molto ironica, ma sei riuscita a comunicare attraverso i dialoghi, ma soprattutto i silenzi, il loro vero essere. Primrose è un Grinch mancato, ma non per volontà (vogliamo sapere anche noi perché) e Markos lo capisce. Ho trovato molto originale il modo in cui hai parlato di Yule (l'avo del nostro Natale) l'hai incastrato perfettamente con il senso di tutto il racconto. Che sia un periodo di rinnovamento per tutti noi. Grazie con tutto il cuore Anne Louise, perché sei riuscita a farmi sognare e sperare in un nuovo inizio prosperoso e "pieno di lucine"!!
RispondiEliminaNon so perché è uscito Unkonwn 😅 Mi firmo qui: Roberta 🥰
EliminaMi chiedo ancora quanto dobbiamo aspettare per avere un romanzo intero di questi due insieme, cara Anne Louise. Diccelo: quanto? Perché qui l'attesa sta diventando insostenibile eh! :P Scherzi a parte: che bello ritrovare Primrose e Markos!!! E in una veste così simpatica, unita alla magia del Natale. Mi è piaciuto tantissimo questo racconto <3 Sei riuscita a trascinarci nel loro mondo, a farci scoprire un po' di più di entrambi e a ricreare in poche righe una storia credibile e sincera, di quelle che a Natale stringono ancora più il cuore perché piene di felicità e speranza. Bravissima, bravissima, come sempre! Ormai la scrittura non la commento nemmeno più: impeccabile e travolgente. Mi piace particolarmente il modo che hanno i due protagonisti di dialogare tra loro, con questi dolcissimi battibecchi che rendono ancora più amabile il racconto. Complimenti tesoro! Un altro splendido pezzo da aggiungere alla collezione di racconti scritti per questa bella rubrica :) Al prossimo capitolo, Stephi
RispondiEliminaCiao Anne Louise! Mi ricordo bene Primrose e Markos... e sono felice di vedere che, a poco a poco, lei sta trovando la sua strada verso la serenità :-) Mi piacciono molto i racconti rosa che oltre al romanticismo mettono in primo piano l'accettazione di sé e la crescita personale, e devo dire che la nostra protagonista sta facendo del suo meglio... anche grazie a Markos, che è proprio il tipo che ci vuole per lei! E poi, diciamocelo... chi non vorrebbe ricevere una sorpresa di Natale così? (Ma anche una mattina qualunque va bene, eh!) Anche il collegamento con la festa di Yule, che ammetto di non conoscere molto bene, mi sembra azzeccato. Il tema del mese è sicuramente ben interpretato! Complimenti e alla prossima :-)
RispondiEliminaE la loro storia intera quando arriva?:D Mi unisco al coro di sopra e la chiedo anche io ovviamente.
RispondiEliminaOvviamente mi è piaciuta molto, i due sono così diversi eppure vedo una speranza per loro due. La storia è carina, divertente, rappresenta lo spirito delle feste e ovviamente mostra la speranza per un cambiamento e un futuro migliore. Sarei curiosa di sapere cosa ha portato i due personaggi ad essere così come sono e soprattutto vorrei capire cosa riserva loro il futuro.
Il tema ovviamente è stato usato benissimo.
Alla prossima,
Ho lasciato il tuo racconto per ultimo, sapendo che reputo il tuo stile tra i migliori. Neanche stavolta mi hai deluso e, anzi, hai creato l'ennesima coppia da shippare senza vergogna. La tua è una storia adorabile, magica, che mi ha lasciato senza fiato. Mi devi ancora il continuo del racconto dei vichinghi ma non disdegno i lavori che fai nel frattempo :P Bravissima come sempre <3
RispondiEliminaHi! Non ho letto gli appuntamenti precedenti quindi non posso avere un'idea chiara di come si sia sviluppato lo stile, di come abbia potuto mutare, ma ciò che ho letto era molto convincente... pertinente al tema... ed entusiasmante.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaGrazie a tutte, ragazze, i vostri commenti sono stati uno più bello dell'altro e mi spingono ad andare avanti, a migliorarmi sempre e comunque. Tutto questo grazie al.vostro meraviglioso supporto, siete preziosissime! ❤
RispondiEliminaSono molto contenta di ritrovare Markos e Primrose in questo racconto. Già mi mancavano, lo confesso.
RispondiEliminaSei un'ottima narratrice di emozioni e sei molto brva nel caratterizzare i personaggi, che sono sempre coerenti, perfetti direi.
La storia mi ha coinvolto e convinto. Davvero bella!