Oggi torna con grande piacere la mia amica Giusy Marrone per la rubrica mensile Storytelling Chronicles.
Questo mese l'argomento era basarsi sulla serie televisiva che si stava guardando e creare una storia. Ebbene Giusy si è ispirata a Chicago P. D. , un serial poliziesco ambientato nella città americana ai nostri giorni.
Pronti a scoprire cosa ha in serbo per noi?
Allora cominciamo.
L’aria gelida, di un marzo insolitamente freddo, colpì Anna come schegge acuminate, pronte a marchiarle la pelle delicata con feroce prepotenza.
Altra neve sarebbe arrivata a ricoprire di una soffice coltre di bianco la città. Ma per lei non c’era niente di romantico in quella prospettiva. La neve serviva solo a rendere piùvividi i ricordi, così dolorosi da essere incisi a fuoco nel suo cuore. Guardò con malinconia fuori dalla finestra della cucina, che dava sul cortile dietro la casa in cui viveva da sempre con la sua famiglia. Ogni angolo era invaso dal cemento, mentre quando lei era bambina, al posto del gelido asfalto, c’era un giardino meraviglioso, ricoperto da fiori coloratissimi, con un’altalena costruita dalle abili e amorevoli mani di suo nonno, sospesa tra due alberi e, tutt’intorno, rose. Tante rose, dalla penetrante fragranza, erano la cornice elegante e vivace di quel piccolo angolo di paradiso che aveva accolto tanti giochi e risate durante la sua infanzia.
I profumi, i colori, le risate bussarono alla porta dei ricordi, prepotentemente vividi e dolorosi, lasciando a Anna quella sensazione di tristezza che le ricopriva l’anima da tanto tempo.
Quel cortile era l’emblema del suo cuore. Perché anche lì, dentro di lei, erano spariti le pennellate vivaci, il dolce suono di una voce amata, l’allegria e la spensieratezza. Il suo cuore era diventato un luogo desolato e freddo, dominato da un’oscurità perenne.
Il gelo esterno non era niente se paragonato a quello che aveva preso piede nella sua vita.
Si sentiva sola come non mai, quella mattina. Anna era sempre stata bene con se stessa. Fin da piccolina era capace di passare ore ad inventare storie per le sue bambole, tirando i fili del racconto che aveva creato con la sua fervida immaginazione, creando avventure mirabolanti.
L’incidente aveva spezzato, non solo la vita dell’amato fratello, ma anche quelle del resto della famiglia. Anna si era chiusa in se stessa, ponendo, tra lei e il resto del mondo, un muro invalicabile. I suoi genitori avevano provato a reagire con più forza, cercando di trascinare alla vita la loro, oramai,
unica figlia, provando a rimettere insieme i pezzi di una famiglia che rischiava di andare in pezzi per sempre.
Lei si sentiva spezzata e continuare il cammino senza suo fratello, la sua ancora, la sua luce, le pareva impossibile.
Aveva solo venticinque anni, Stephen, tre più di lei, e ora non aveva più la possibilità di realizzare i suoi progetti.
Come poteva farlo lei?
Lasciare l’università e, di conseguenza, rinunciare al sogno di insegnare, aveva chiuso definitivamente la porta a un cammino che non voleva più portare a termine.
Scrivere, scrivere, mettere nero su bianco quello che la tormentava, era l’unico modo per non impazzire, travolta da un dolore troppo atroce da sopportare. I suoi scritti, all’epoca dell’incidente, erano sconclusionati, deliranti, ma con il passare del tempo, erano divenute storie. Le stesse storie che scriveva da sempre, che Stephen amava e aspettava con bramosia, divorandole voracemente.
Non le stesse, pensò Anna. Niente era più stato lo stesso da quel tragico giorno. Ma, quelle parole, avevano riacquistato un senso e forse, sarebbero piaciute anche a suo fratello.
Erano state pubblicate quasi per caso. Sua zia Helen, l’unica persona capace di trascinarla fuori di casa, imponendole sprazzi di vita, quella vita che scorreva implacabilmente fuori dalle mura di quelle stanze, le aveva sottratto alcune storie per farle leggere a un editore. L’entusiasmo con cui erano state accolte, fu incredibile per Anna, convinta che quegli scritti fossero solo uno sfogo emotivo e, per questo, non meritevoli di attenzione. Helen aveva dovuto quasi obbligarla ad accettare di pubblicarle.
Un pezzo straordinariamente grande del suo cuore viveva in quelle pagine, lasciarle libere di volare verso altre persone, era stata una scelta molto difficile e meditata.
Dopo quattro anni, le sue pubblicazioni, composte da diversi racconti e da due romanzi, le permettevano di avere un piccolo sostegno economico e soprattutto uno sprone alla sua ben misera autostima.
Continuava a vivere come una reclusa, se si escludevano le uscite con la zia e le passeggiate che si era autoimposta, nei parchi di quella città che, negli ultimi anni, le era diventata estranea.
All’Alba, con qualsiasi temperatura o situazione atmosferica, passeggiava per un'ora nel parco vicino alla sua abitazione, un luogo capace di rasserenarla.
Lasciava i suoi tormenti chiusi in casa e viveva, almeno per quegli attimi, la pace che il silenzio, non quello straziante delle quattro mura in cui viveva, ma quello dolce del mattino infranto solamente dal cinguettio di un passero o dall’abbaiare di un cane.
Quella mattina, imbiancata dalla consistente coltre di neve, Anna aveva indossato il giaccone rosso e la sciarpa viola che i suoi genitori le avevano regalato l’ultimo Natale, un altro tetro e penoso giorno di festa, trascorso tra il rimpianto e lo sforzo immane di fingersi felici e di non pensare agli allegri momenti che coloravano le feste quando Stephen era ancora con loro. Si era avventurata nel freddo penetrante di quella grigia giornata, incurante dei piccoli fiocchi che avevano ripreso a cadere, piccoli frammenti argentei che illuminavano il parco come minuscole schegge di sogni.
Anna lasciava che la neve si posasse dolcemente su di lei, come la lieve carezza di un angelo. Il suo angelo, Stephen, che sentiva sempre accanto a sé, soprattutto durante quelle passeggiate. L’incidente stradale, che ne aveva spezzato la vita, si era portato via solo il suo corpo. Lei era sicura che il fratello continuasse a starle accanto: immaginava il sorriso scanzonato che gli illuminava il volto, la tagliente ironia con cui la prendeva in giro ma, soprattutto l’incrollabile protezione che le aveva sempre dimostrato e l’amore incondizionato che li aveva uniti da sempre. Sapeva anche che lui non era felice di vedere come conduceva la sua vita, persa nel passato, lontana da tutti e con il cuore chiuso agli altri.
Il silenzio ovattato di quella passeggiata venne infranto da un allegro e fin troppo vivace abbaiare di un enorme labrador nero, con il manto lucido, messo ancora più in risalto dal brillare dei fiocchi di neve che si infrangevano sul suo corpo.
Anna non riusciva a capire cosa l’avesse fatta scappare. Non amava parlare con gli sconosciuti. Anzi, non amava parlare, punto. Ma questo non giustificava la sua reazione, quella fuga precipitosa. Sarà stata colpa di quegli occhi, incredibilmente belli, sembravano capaci di scavare nell’anima e lei non voleva che nessuno desse neanche una piccola occhiata a ciò che le bruciava dentro. Temeva che vi avrebbero trovato troppo dolore o, forse, nella peggiore delle ipotesi, il vuoto assoluto.
C'erano giorni in cui si sentiva come un vetro scheggiato che, con un piccolo urto, rischiava di ridursi in tanti, minuscoli, frammenti.
Solo con le parole che scriveva si sentiva realmente padrona di sé stessa. Sulla carta poteva decidere la vita e la morte dei suoi personaggi, poteva permettere al bene di trionfare, sempre, o quasi. Nei momenti più neri le emozioni negative si ripercuotevano nei suoi racconti e da uno di questi momenti era nato “ Cuore nero”, il romanzo che le aveva dato un certo successo ed era anche quello che rifletteva la sua infelicità e gli affanni con cui conviveva da sempre, implacabili compagni del suo cammino.
Non poteva continuare ad aver paura di tutto, Anna ne era consapevole . Vivere nel suo piccolo e tranquillo mondo di carta, in alcuni giorni le stava davvero stretto.
Il giorno dopo il piccolo ”incidente” lei era tornata al suo solito percorso, decisa a non farsi condizionare dall’accaduto.
Lui era lì! Il ragazzo dagli occhi d'ossidiana e i capelli neri come il pelo del suo cane, Sirius.
Anna aveva riflettuto a lungo su quel nome. Una scelta insolita ma, anche romantica, le suggeriva la scrittrice che era in lei. Nonostante il nervosismo, procedeva con passo spedito e sicuro. Guardava davanti a sé, come se nessun timore o insicurezza turbasse la sua mente. Lui la vide subito e le sorrise, un sorriso timido e incerto.
Come dargli torto dopo la fuga infelice con cui lei lo aveva piantato in asso il giorno precedente. Lei abbozzò un sorriso in risposta. Era così poco abituata a quel gesto che era certa di apparire stupida più che amichevole.
Lui, però, sembrava incoraggiato da quel gesto perché le rivolse la parola.
«Sono felice di rivederla, ieri non ho avuto modo di scusarmi come si deve per il comportamento impetuoso di Sirius.» Lo disse guardandola negli occhi, trasmettendole una pace incredibile.
Era la prima volta che uno sconosciuto riusciva a metterla così a suo agio nel giro di pochi istanti. Lei, che a suo agio, non era praticamente con nessuno, neppure con sé stessa.
«Mi scusi lei per essere scappata via in quel modo.» Gli rispose lei timidamente. Lui le porse la mano.
Ma, quegli occhi l’avevano colpita come mai le era successo prima. Certo, non uscendo praticamente mai non le era capitato di fare molti incontri. Quei pochi attimi però, avevano permesso a quel ragazzo dall’aria gentile di bussare alla porta della sua solitudine. E lei aveva aperto un piccolo spiraglio. Forse non così piccolo, perché da lì riusciva quasi a vedergli il cuore. Le sembrava il cuore di una persona che avrebbe potuto, finalmente, aprire un varco, farsi spazio e colmare un po’ del freddo che la imprigionava da quando aveva perso Stephen, col calore dei suoi occhi.
Poteva bastare un istante, un singolo sguardo a cambiare un percorso già segnato, fatto di isolamento, rimpianto e dolore?
Sì, si disse, se si aveva la forza di combattere, finalmente, i propri demoni. E Anna voleva combatterli. Era stanca di essere sola, di avere perennemente il gelo dentro, di quella sensazione che l’artigliava, la divorava, la faceva tremare, riducendo il suo corpo a un groviglio informe di membra doloranti. Lei aveva permesso al dolore di cambiarle la vita, di cambiare se stessa, lasciandole come unico appiglio, il salvagente che le aveva permesso in quegli ultimi anni di tenersi a galla, la scrittura. Ora però, cominciava a non essere più sufficiente, era arrivato il momento di vivere davvero, assaggiando, vedendo, amando tutto quello che fino a quel momento aveva creato nei suoi libri, affacciandosi alla vita come non aveva più fatto.
Come poteva aver capito tutto questo in un attimo?
Forse era giunto il momento di chiudere il lutto in un angolo del suo cuore. Un angolo sempre importante ma non più così predominante da legarla così saldamente alla solitudine.
Con un sorriso aperto e vero, come non si reputava più in grado di fare, Anna aveva alzato lo sguardo e incontrato ancora quello d'ossidiana di Anthony. I loro occhi si incatenarono tra loro, come in una danza silenziosa ma più eloquente di mille parole. Fu proprio la timida Anna, dopo un tempo all’apparenza interminabile, a rompere quel silenzio, fatto, per una volta, non di grigio dolore, ma di pura emozione.
«Sirius è un nome bellissimo, e anche il tuo cane lo è.»
Gli dava del tu. Perché no? Si disse con un inaspettato coraggio. Se doveva lanciarsi nel vuoto meglio farlo bene.
Anthony le sorrise, ancora. Era un sorriso così luminoso che lei sarebbe stata capace di ammirarlo per ore. Gli illuminava il volto, le piccole rughe che ne segnavano i bei lineamenti lo rendevano ancora più affascinante, pensò lei con un lieve imbarazzo.
E continuava a guardarlo. Perché non era facile chiudere gli occhi davanti al sole che arrivava a spazzare via le tenebre.
«Lo sai che Sirius è il nome della stella più luminosa?» Le chiese Anthony senza staccare gli occhi da quelli di lei.
«Sì, lo so.»
Lapidaria, come sempre. Ma il tono della sua voce era cambiato. Non era più incolore, aveva riacquistato la musica e i colori del suo passato, quelli che credeva di aver perso per sempre. Era ritornata. La voce che Stephen amava ascoltare per ore, sdraiato sul letto per seguire le storie incredibili che lei riusciva a creare per lui.
Da quel mattino, Anthony e Anna continuarono ad incontrarsi “per caso” ogni giorno.
Parlavano sempre più a lungo, si raccontavano le loro vite, sogni infranti e realizzati ma discutevano anche di schiocchezze per il semplice gusto di chiacchierare, oppure stavano in silenzio, non un silenzio pesante ma rassicurante.
Anna era riuscita, per la prima volta, a sfogare il dolore che teneva dentro. Ma lo faceva con razionalità, non più con cupa disperazione. Quella l’aveva riposta via, insieme alle lame acuminate che le avevano perforato il cuore fino ad allora.
Trascorsero giorni, settimane, mesi e lei aspettava sempre con più trepidazione quelle passeggiate, accogliendole come fossero ossigeno, vita. Lei sentiva di conoscerlo da sempre, riusciva a confidarsi apertamente con lui e ad aprirgli il cuore.
Un giorno, Anthony le lasciò, sulla panchina che occupavano per le loro chiacchierate, un pacchettino. Anna lo aprì con mani tremanti. Un libro. Jane Eyre. Lo adorava, un’eroina che affronta tante difficoltà e, alla fine, l’amore la salva. O forse, è più giusto dire che è lei a salvare con amore.
All’interno del libro Anna trova un biglietto, solo due parole vergate con una grafica elegante:
“Cor Cordium” (Cuore dei cuori)
Due parole ma sufficienti a farle battere il cuore con la forza di un treno in corsa.
Il giorno successivo non trovò Anthony al parco ma, sulla stessa panchina, c’era un biglietto:
“Ti aspetto alle undici di stasera dietro casa tua”
Era il dieci agosto. La notte delle stelle cadenti. Dei desideri da esprimere. E Anna di desideri da esprimere ne aveva tanti, anzi uno solo di davvero importante.
È buio. Anna raggiunse Anthony nel luogo dell’appuntamento. Il cortile, quello che lei gli aveva descritto come il paradiso della sua infanzia. Era illuminato quasi a giorno da centinaia di lucine. Un’altalena, quasi uguale a quella che aveva costruito suo nonno, era in un angolo. E rose. Tante rose ovunque. Vasi ricolmi di profumatissime rose colorate invadevano il cortile. Lei sgranò gli occhi, incredula.
Tutto questo era per lei?
Piangeva, o forse rideva o probabilmente entrambe le cose.
Anthony le andò incontro con quel sorriso che le aveva cambiato la vita. L’abbracciò con calore, donandole, poi un bacio dolce e profondo.
Quella notte, la prima stella cadente che riuscirono a vedere, tra i baci che continuavano a scambiarsi, raccolse lo stesso desiderio da due cuori che si erano riconosciuti in un piccolo, prezioso attimo e, in quella notte indimenticabile avevano sancito quel ”riconoscersi” con la tacita ma imperitura promessa di un futuro.
Magari non fatto solo di rose ma anche di spine da togliersi a vicenda.
Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica è invece a cura di Tania del blog My Crea Bookish Kingdom
Pronti a scoprire cosa ha in serbo per noi?
Allora cominciamo.
Chicago.
L’aria gelida, di un marzo insolitamente freddo, colpì Anna come schegge acuminate, pronte a marchiarle la pelle delicata con feroce prepotenza.
Altra neve sarebbe arrivata a ricoprire di una soffice coltre di bianco la città. Ma per lei non c’era niente di romantico in quella prospettiva. La neve serviva solo a rendere piùvividi i ricordi, così dolorosi da essere incisi a fuoco nel suo cuore. Guardò con malinconia fuori dalla finestra della cucina, che dava sul cortile dietro la casa in cui viveva da sempre con la sua famiglia. Ogni angolo era invaso dal cemento, mentre quando lei era bambina, al posto del gelido asfalto, c’era un giardino meraviglioso, ricoperto da fiori coloratissimi, con un’altalena costruita dalle abili e amorevoli mani di suo nonno, sospesa tra due alberi e, tutt’intorno, rose. Tante rose, dalla penetrante fragranza, erano la cornice elegante e vivace di quel piccolo angolo di paradiso che aveva accolto tanti giochi e risate durante la sua infanzia.
I profumi, i colori, le risate bussarono alla porta dei ricordi, prepotentemente vividi e dolorosi, lasciando a Anna quella sensazione di tristezza che le ricopriva l’anima da tanto tempo.
Quel cortile era l’emblema del suo cuore. Perché anche lì, dentro di lei, erano spariti le pennellate vivaci, il dolce suono di una voce amata, l’allegria e la spensieratezza. Il suo cuore era diventato un luogo desolato e freddo, dominato da un’oscurità perenne.
Il gelo esterno non era niente se paragonato a quello che aveva preso piede nella sua vita.
Si sentiva sola come non mai, quella mattina. Anna era sempre stata bene con se stessa. Fin da piccolina era capace di passare ore ad inventare storie per le sue bambole, tirando i fili del racconto che aveva creato con la sua fervida immaginazione, creando avventure mirabolanti.
Quei racconti, con il tempo, erano diventati parole scritte, pagine su pagine in cui la sua fantasia si sfogava, creando realtà e personaggi con cui si trovava perfettamente a suo agio.
Lei aveva un fratello maggiore, Stephen, ed entrambi erano stati amati e coccolati da genitori amorevoli, forse sin troppo. Erano sempre vissuti in un ambiente ovattato in cui il dolore non era mai entrato, ed erano cresciuti con la convinzione che niente di brutto potesse mai sconvolgere quell’equilibrio perfetto. Vivevano in una città che amavano, un luogo all’apparenza freddo ma che nascondeva, tra i suoi grattacieli, luoghi favolosi come il Chicago Botanic Garden, che i due fratelli adoravano visitare, perdendosi fra le sue bellezze La vita, però, non sempre tiene conto dei progetti e dei desideri che abbiamo pianificato. Ci pone ostacoli, a volte, insormontabili.
Lei aveva un fratello maggiore, Stephen, ed entrambi erano stati amati e coccolati da genitori amorevoli, forse sin troppo. Erano sempre vissuti in un ambiente ovattato in cui il dolore non era mai entrato, ed erano cresciuti con la convinzione che niente di brutto potesse mai sconvolgere quell’equilibrio perfetto. Vivevano in una città che amavano, un luogo all’apparenza freddo ma che nascondeva, tra i suoi grattacieli, luoghi favolosi come il Chicago Botanic Garden, che i due fratelli adoravano visitare, perdendosi fra le sue bellezze La vita, però, non sempre tiene conto dei progetti e dei desideri che abbiamo pianificato. Ci pone ostacoli, a volte, insormontabili.
Perdere Stephen, all’improvviso, in un gelido giorno di neve come quello, era stato devastante per Anna, un uragano in un batter d’ali.
L’incidente aveva spezzato, non solo la vita dell’amato fratello, ma anche quelle del resto della famiglia. Anna si era chiusa in se stessa, ponendo, tra lei e il resto del mondo, un muro invalicabile. I suoi genitori avevano provato a reagire con più forza, cercando di trascinare alla vita la loro, oramai,
unica figlia, provando a rimettere insieme i pezzi di una famiglia che rischiava di andare in pezzi per sempre.
Lei si sentiva spezzata e continuare il cammino senza suo fratello, la sua ancora, la sua luce, le pareva impossibile.
Aveva solo venticinque anni, Stephen, tre più di lei, e ora non aveva più la possibilità di realizzare i suoi progetti.
Come poteva farlo lei?
Lasciare l’università e, di conseguenza, rinunciare al sogno di insegnare, aveva chiuso definitivamente la porta a un cammino che non voleva più portare a termine.
Scrivere, scrivere, mettere nero su bianco quello che la tormentava, era l’unico modo per non impazzire, travolta da un dolore troppo atroce da sopportare. I suoi scritti, all’epoca dell’incidente, erano sconclusionati, deliranti, ma con il passare del tempo, erano divenute storie. Le stesse storie che scriveva da sempre, che Stephen amava e aspettava con bramosia, divorandole voracemente.
Non le stesse, pensò Anna. Niente era più stato lo stesso da quel tragico giorno. Ma, quelle parole, avevano riacquistato un senso e forse, sarebbero piaciute anche a suo fratello.
Erano state pubblicate quasi per caso. Sua zia Helen, l’unica persona capace di trascinarla fuori di casa, imponendole sprazzi di vita, quella vita che scorreva implacabilmente fuori dalle mura di quelle stanze, le aveva sottratto alcune storie per farle leggere a un editore. L’entusiasmo con cui erano state accolte, fu incredibile per Anna, convinta che quegli scritti fossero solo uno sfogo emotivo e, per questo, non meritevoli di attenzione. Helen aveva dovuto quasi obbligarla ad accettare di pubblicarle.
Un pezzo straordinariamente grande del suo cuore viveva in quelle pagine, lasciarle libere di volare verso altre persone, era stata una scelta molto difficile e meditata.
Dopo quattro anni, le sue pubblicazioni, composte da diversi racconti e da due romanzi, le permettevano di avere un piccolo sostegno economico e soprattutto uno sprone alla sua ben misera autostima.
Continuava a vivere come una reclusa, se si escludevano le uscite con la zia e le passeggiate che si era autoimposta, nei parchi di quella città che, negli ultimi anni, le era diventata estranea.
All’Alba, con qualsiasi temperatura o situazione atmosferica, passeggiava per un'ora nel parco vicino alla sua abitazione, un luogo capace di rasserenarla.
Lasciava i suoi tormenti chiusi in casa e viveva, almeno per quegli attimi, la pace che il silenzio, non quello straziante delle quattro mura in cui viveva, ma quello dolce del mattino infranto solamente dal cinguettio di un passero o dall’abbaiare di un cane.
Quella mattina, imbiancata dalla consistente coltre di neve, Anna aveva indossato il giaccone rosso e la sciarpa viola che i suoi genitori le avevano regalato l’ultimo Natale, un altro tetro e penoso giorno di festa, trascorso tra il rimpianto e lo sforzo immane di fingersi felici e di non pensare agli allegri momenti che coloravano le feste quando Stephen era ancora con loro. Si era avventurata nel freddo penetrante di quella grigia giornata, incurante dei piccoli fiocchi che avevano ripreso a cadere, piccoli frammenti argentei che illuminavano il parco come minuscole schegge di sogni.
Anna lasciava che la neve si posasse dolcemente su di lei, come la lieve carezza di un angelo. Il suo angelo, Stephen, che sentiva sempre accanto a sé, soprattutto durante quelle passeggiate. L’incidente stradale, che ne aveva spezzato la vita, si era portato via solo il suo corpo. Lei era sicura che il fratello continuasse a starle accanto: immaginava il sorriso scanzonato che gli illuminava il volto, la tagliente ironia con cui la prendeva in giro ma, soprattutto l’incrollabile protezione che le aveva sempre dimostrato e l’amore incondizionato che li aveva uniti da sempre. Sapeva anche che lui non era felice di vedere come conduceva la sua vita, persa nel passato, lontana da tutti e con il cuore chiuso agli altri.
Il silenzio ovattato di quella passeggiata venne infranto da un allegro e fin troppo vivace abbaiare di un enorme labrador nero, con il manto lucido, messo ancora più in risalto dal brillare dei fiocchi di neve che si infrangevano sul suo corpo.
Il cane le corse incontro e Anna venne letteralmente travolta dalla sua mole imponente. Si ritrovò distesa sul selciato ghiacciato, con il cagnolone che le leccava felicemente il viso, come se avesse appena ritrovato la sua migliore amica.
«Sirius!»
Una voce furiosa si udì in quel frangente in cui Anna era stata presa quasi dal panico e, liberata dal consistente peso del labrador, si trovò davanti la mano tesa di un giovane che, contemporaneamente, aveva preso a redarguire il suo cane, ora immobile e con lo sguardo innocente e l’aria angelica con cui cercava di mascherare la sua irruenza e di evitare una punizione.
«Mi scusi, la prego. Spero non si sia fatta male.» La voce del ragazzo aveva un tono preoccupato e continuava a scrutarla per sincerarsi delle sue condizioni.
«Sirius!»
Una voce furiosa si udì in quel frangente in cui Anna era stata presa quasi dal panico e, liberata dal consistente peso del labrador, si trovò davanti la mano tesa di un giovane che, contemporaneamente, aveva preso a redarguire il suo cane, ora immobile e con lo sguardo innocente e l’aria angelica con cui cercava di mascherare la sua irruenza e di evitare una punizione.
«Mi scusi, la prego. Spero non si sia fatta male.» La voce del ragazzo aveva un tono preoccupato e continuava a scrutarla per sincerarsi delle sue condizioni.
Quando lei, dopo essersi spazzolata gli abiti con le mani, aveva alzato lo sguardo aveva incrociato due splendidi occhi di ossidiana, caldi, profondi e rassicuranti. Spiazzata da un’emozione a cui non sapeva dare un nome e soprattutto un senso, aveva risposto di non avere subito danni dall’irruenza del suo cane ed era corsa via, non dando al ragazzo la possibilità di dire altro.
A casa, aveva richiuso la porta con foga. Adesso era al sicuro nel suo rifugio, lì dove tutto era al suo posto e nessun turbamento imprevisto o ignoto poteva varcare quella soglia.
A casa, aveva richiuso la porta con foga. Adesso era al sicuro nel suo rifugio, lì dove tutto era al suo posto e nessun turbamento imprevisto o ignoto poteva varcare quella soglia.
Anna non riusciva a capire cosa l’avesse fatta scappare. Non amava parlare con gli sconosciuti. Anzi, non amava parlare, punto. Ma questo non giustificava la sua reazione, quella fuga precipitosa. Sarà stata colpa di quegli occhi, incredibilmente belli, sembravano capaci di scavare nell’anima e lei non voleva che nessuno desse neanche una piccola occhiata a ciò che le bruciava dentro. Temeva che vi avrebbero trovato troppo dolore o, forse, nella peggiore delle ipotesi, il vuoto assoluto.
C'erano giorni in cui si sentiva come un vetro scheggiato che, con un piccolo urto, rischiava di ridursi in tanti, minuscoli, frammenti.
Solo con le parole che scriveva si sentiva realmente padrona di sé stessa. Sulla carta poteva decidere la vita e la morte dei suoi personaggi, poteva permettere al bene di trionfare, sempre, o quasi. Nei momenti più neri le emozioni negative si ripercuotevano nei suoi racconti e da uno di questi momenti era nato “ Cuore nero”, il romanzo che le aveva dato un certo successo ed era anche quello che rifletteva la sua infelicità e gli affanni con cui conviveva da sempre, implacabili compagni del suo cammino.
Non poteva continuare ad aver paura di tutto, Anna ne era consapevole . Vivere nel suo piccolo e tranquillo mondo di carta, in alcuni giorni le stava davvero stretto.
Il giorno dopo il piccolo ”incidente” lei era tornata al suo solito percorso, decisa a non farsi condizionare dall’accaduto.
Lui era lì! Il ragazzo dagli occhi d'ossidiana e i capelli neri come il pelo del suo cane, Sirius.
Anna aveva riflettuto a lungo su quel nome. Una scelta insolita ma, anche romantica, le suggeriva la scrittrice che era in lei. Nonostante il nervosismo, procedeva con passo spedito e sicuro. Guardava davanti a sé, come se nessun timore o insicurezza turbasse la sua mente. Lui la vide subito e le sorrise, un sorriso timido e incerto.
Come dargli torto dopo la fuga infelice con cui lei lo aveva piantato in asso il giorno precedente. Lei abbozzò un sorriso in risposta. Era così poco abituata a quel gesto che era certa di apparire stupida più che amichevole.
Lui, però, sembrava incoraggiato da quel gesto perché le rivolse la parola.
«Sono felice di rivederla, ieri non ho avuto modo di scusarmi come si deve per il comportamento impetuoso di Sirius.» Lo disse guardandola negli occhi, trasmettendole una pace incredibile.
Era la prima volta che uno sconosciuto riusciva a metterla così a suo agio nel giro di pochi istanti. Lei, che a suo agio, non era praticamente con nessuno, neppure con sé stessa.
«Mi scusi lei per essere scappata via in quel modo.» Gli rispose lei timidamente. Lui le porse la mano.
«Io sono Anthony e lui, come avrà già capito, è Sirius ed è profondamente mortificato per il suo inqualificabile comportamento di ieri. Ma, a suo discolpa, posso affermare che lei le piace, non è mai così esuberante con gli sconosciuti.»
Le disse il ragazzo, con una lieve risata e continuando a porgerle la mano che lei stava ancora fissando incerta.
Finalmente si decise a stringerla. Era calda. Forte. Sicura.
Anna era rimasta in silenzio, mentre lui era ancora in attesa e, solo dopo diverso tempo, si rese conto di tenere quella mano tra la sua da un tempo eccessivo e lasciandola, imbarazzata, si presentò.
«Io sono Anna.»
Finalmente si decise a stringerla. Era calda. Forte. Sicura.
Anna era rimasta in silenzio, mentre lui era ancora in attesa e, solo dopo diverso tempo, si rese conto di tenere quella mano tra la sua da un tempo eccessivo e lasciandola, imbarazzata, si presentò.
«Io sono Anna.»
Abbassò lo sguardo, tentata ancora una volta di scappare via. Via da quella strana corrente che aveva sentito passare tra di loro quando aveva toccato la sua mano. Via da quegli occhi incredibili. Via da quel calore rassicurante. E via anche da Sirius che continuava a leccarle la mano. Troppa vicinanza. Troppa intensità. Rischiava di essere sopraffatta.
Non voleva però fuggire e fare di nuovo la figura della sciocca. Si costrinse a rimanere. Voleva essere forte.
Almeno per una volta. Per mitigare l’imbarazzo, Anna si rivolse al più innocuo dei due. Chinando il capo sfiorò con una carezza quasi impalpabile, il labrador.
«Ciao Sirius.»
Sapeva di essere impacciata, parlava a monosillabi. Ma per lei quella era una situazione nuova. Non sapeva ancora perché non avesse scelto la soluzione più facile. Scappare.
Rifugiarsi nella sua tana.
Non voleva però fuggire e fare di nuovo la figura della sciocca. Si costrinse a rimanere. Voleva essere forte.
Almeno per una volta. Per mitigare l’imbarazzo, Anna si rivolse al più innocuo dei due. Chinando il capo sfiorò con una carezza quasi impalpabile, il labrador.
«Ciao Sirius.»
Sapeva di essere impacciata, parlava a monosillabi. Ma per lei quella era una situazione nuova. Non sapeva ancora perché non avesse scelto la soluzione più facile. Scappare.
Rifugiarsi nella sua tana.
Ma, quegli occhi l’avevano colpita come mai le era successo prima. Certo, non uscendo praticamente mai non le era capitato di fare molti incontri. Quei pochi attimi però, avevano permesso a quel ragazzo dall’aria gentile di bussare alla porta della sua solitudine. E lei aveva aperto un piccolo spiraglio. Forse non così piccolo, perché da lì riusciva quasi a vedergli il cuore. Le sembrava il cuore di una persona che avrebbe potuto, finalmente, aprire un varco, farsi spazio e colmare un po’ del freddo che la imprigionava da quando aveva perso Stephen, col calore dei suoi occhi.
Poteva bastare un istante, un singolo sguardo a cambiare un percorso già segnato, fatto di isolamento, rimpianto e dolore?
Sì, si disse, se si aveva la forza di combattere, finalmente, i propri demoni. E Anna voleva combatterli. Era stanca di essere sola, di avere perennemente il gelo dentro, di quella sensazione che l’artigliava, la divorava, la faceva tremare, riducendo il suo corpo a un groviglio informe di membra doloranti. Lei aveva permesso al dolore di cambiarle la vita, di cambiare se stessa, lasciandole come unico appiglio, il salvagente che le aveva permesso in quegli ultimi anni di tenersi a galla, la scrittura. Ora però, cominciava a non essere più sufficiente, era arrivato il momento di vivere davvero, assaggiando, vedendo, amando tutto quello che fino a quel momento aveva creato nei suoi libri, affacciandosi alla vita come non aveva più fatto.
Come poteva aver capito tutto questo in un attimo?
Forse era giunto il momento di chiudere il lutto in un angolo del suo cuore. Un angolo sempre importante ma non più così predominante da legarla così saldamente alla solitudine.
Con un sorriso aperto e vero, come non si reputava più in grado di fare, Anna aveva alzato lo sguardo e incontrato ancora quello d'ossidiana di Anthony. I loro occhi si incatenarono tra loro, come in una danza silenziosa ma più eloquente di mille parole. Fu proprio la timida Anna, dopo un tempo all’apparenza interminabile, a rompere quel silenzio, fatto, per una volta, non di grigio dolore, ma di pura emozione.
«Sirius è un nome bellissimo, e anche il tuo cane lo è.»
Gli dava del tu. Perché no? Si disse con un inaspettato coraggio. Se doveva lanciarsi nel vuoto meglio farlo bene.
Anthony le sorrise, ancora. Era un sorriso così luminoso che lei sarebbe stata capace di ammirarlo per ore. Gli illuminava il volto, le piccole rughe che ne segnavano i bei lineamenti lo rendevano ancora più affascinante, pensò lei con un lieve imbarazzo.
E continuava a guardarlo. Perché non era facile chiudere gli occhi davanti al sole che arrivava a spazzare via le tenebre.
«Lo sai che Sirius è il nome della stella più luminosa?» Le chiese Anthony senza staccare gli occhi da quelli di lei.
«Sì, lo so.»
Lapidaria, come sempre. Ma il tono della sua voce era cambiato. Non era più incolore, aveva riacquistato la musica e i colori del suo passato, quelli che credeva di aver perso per sempre. Era ritornata. La voce che Stephen amava ascoltare per ore, sdraiato sul letto per seguire le storie incredibili che lei riusciva a creare per lui.
Da quel mattino, Anthony e Anna continuarono ad incontrarsi “per caso” ogni giorno.
Parlavano sempre più a lungo, si raccontavano le loro vite, sogni infranti e realizzati ma discutevano anche di schiocchezze per il semplice gusto di chiacchierare, oppure stavano in silenzio, non un silenzio pesante ma rassicurante.
Anna era riuscita, per la prima volta, a sfogare il dolore che teneva dentro. Ma lo faceva con razionalità, non più con cupa disperazione. Quella l’aveva riposta via, insieme alle lame acuminate che le avevano perforato il cuore fino ad allora.
Trascorsero giorni, settimane, mesi e lei aspettava sempre con più trepidazione quelle passeggiate, accogliendole come fossero ossigeno, vita. Lei sentiva di conoscerlo da sempre, riusciva a confidarsi apertamente con lui e ad aprirgli il cuore.
Un giorno, Anthony le lasciò, sulla panchina che occupavano per le loro chiacchierate, un pacchettino. Anna lo aprì con mani tremanti. Un libro. Jane Eyre. Lo adorava, un’eroina che affronta tante difficoltà e, alla fine, l’amore la salva. O forse, è più giusto dire che è lei a salvare con amore.
All’interno del libro Anna trova un biglietto, solo due parole vergate con una grafica elegante:
“Cor Cordium” (Cuore dei cuori)
Due parole ma sufficienti a farle battere il cuore con la forza di un treno in corsa.
Il giorno successivo non trovò Anthony al parco ma, sulla stessa panchina, c’era un biglietto:
“Ti aspetto alle undici di stasera dietro casa tua”
Era il dieci agosto. La notte delle stelle cadenti. Dei desideri da esprimere. E Anna di desideri da esprimere ne aveva tanti, anzi uno solo di davvero importante.
È buio. Anna raggiunse Anthony nel luogo dell’appuntamento. Il cortile, quello che lei gli aveva descritto come il paradiso della sua infanzia. Era illuminato quasi a giorno da centinaia di lucine. Un’altalena, quasi uguale a quella che aveva costruito suo nonno, era in un angolo. E rose. Tante rose ovunque. Vasi ricolmi di profumatissime rose colorate invadevano il cortile. Lei sgranò gli occhi, incredula.
Tutto questo era per lei?
Piangeva, o forse rideva o probabilmente entrambe le cose.
Anthony le andò incontro con quel sorriso che le aveva cambiato la vita. L’abbracciò con calore, donandole, poi un bacio dolce e profondo.
Quella notte, la prima stella cadente che riuscirono a vedere, tra i baci che continuavano a scambiarsi, raccolse lo stesso desiderio da due cuori che si erano riconosciuti in un piccolo, prezioso attimo e, in quella notte indimenticabile avevano sancito quel ”riconoscersi” con la tacita ma imperitura promessa di un futuro.
Magari non fatto solo di rose ma anche di spine da togliersi a vicenda.
E siamo giunti alla fine, allora cosa ne pensate?
Vi aspetto nei commenti!
Copyright @ 2021 Giusy Marrone
Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
Molto più introspettivo rispetto ai tuoi soliti racconti ma dolcissimo come tutti quelli che nascono dalla tua penna. Migliori sempre di più
RispondiEliminaCiao Giusy! Non conosco il telefilm da cui hai tratto ispirazione per il tuo racconto, ma ciò non mi ha impedito di godermi il tuo racconto. Ho apprezzato sia le digressioni riflessive che la dolce storia d'amore che hai fatto nascere. mi sono sempre piaciute le tue scelte in merito a contenuti e temi, ma concordo con Susy nel dire che hai lavorato tantissimo sulla forma. Ti faccio i miei complimenti perché la tua passione per la scrittura ti sta portando a scrivere racconti migliori mese dopo mese
RispondiEliminaGrazie mille ❤️
RispondiEliminaOhhh partendo dal fatto che amo Chicago Fire, è molto bello ritrovare la stessa ambientazione!!! Che storia dolce hai creato Giusy, una ragazza chiusa in se stessa a causa di un dolore immenso e un ragazzo che i suoi magnetici occhi (e un cagnolone super irruento) è riuscito a scardinare la serratura chiusa a doppia mandata. Mi hai davvero commossa. Noto con piacere che hai fatto un ottimo lavoro anche nella forma, sei migliorata tantissimo dai primissimi racconti! Braivissssima! Alla prossima ;)
RispondiElimina