Buona domenica amici lettori.
Strano trovarmi qui questa giornata lo so, ma è per una buona causa: la rubrica Storytelling Chronicles e più precisamente lo spazio dedicato a Roby Calaudi.
Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica nuova invece è a cura di FedericaIl tema di questo mese prevedeva l'utilizzo di un regalo, l'incontro con un Grinch, la Befana e Babbo Natale e un limite di parole, vediamo com'è andata per Roby.
Max
Dicembre era ormai alle porte e uscire in perlustrazione con la squadra diventava sempre più pesante.
Di notte, la visibilità era pessima e l’escursione termica ti raggelava il sangue nelle vene.
Pensare a una possibile atmosfera natalizia era del tutto fuori luogo, quando ti trovavi in un Paese tanto lontano da casa, dove di giorno, il sole prosciugava ogni goccia d’acqua anche dall’aria.
Ma ci provavo lo stesso… ogni sera, dopo che mi armavo di tutto l’equipaggiamento necessario, salivo sul mezzo e provavo a immaginare le strade con la neve ai lati, le case addobbate con migliaia di lucine e l’unico sorriso buffo che avrei desiderato vedere. Poi, puntualmente, tornavo alla realtà, finendo per osservare le casette di pietra nuda e le vie polverose dell’Afganistan.
Rob mi diede una gomitata per attirare la mia attenzione, mi mostrò una foto: era la sua ragazza del momento, una biondina niente male che, a suo dire, lo avrebbe atteso per la licenza di Capodanno. C’era solo un piccolo dettaglio che non mancai di riferire: «Non sai nemmeno se te la concedono quella benedetta licenza!» lo presi in giro.
All’improvviso, qualcosa cambiò nell’aria, l’atmosfera si fece elettrostatica e vidi scorrere la scena al ralenti. Un boato inatteso ci rese sordi e il mezzo blindato si ribaltò su un lato. Rob mi franò addosso, schiacciandomi la gamba sotto la pesante attrezzatura. Il suo fucile mi colpì sulla fronte, aggiungendo delle stelle alla vista già annebbiata, mentre il metallo che ci circondava diventava rovente. L’oscurità si stava per impadronire della mia coscienza, per quanto mi sforzassi di restare vigile, alla fine, dovetti cedere al dolore, al calore e alla certezza di non rivedere più la persona più importante della mia vita. Il suo viso rotondo, con la tipica espressione corrucciata, mi si dipinse nella mente, accompagnandomi durante il viaggio verso la “fine di tutto”.
***
Riley
Stavo diventando compulsiva, a furia di scorrere le foto e i post di quei maledetti profili social. Il tutto era aggiornato ad oltre sei mesi fa, giusto poco prima che Max partisse in missione per l’Afganistan. Non mi sarei dovuta stupire, non bazzicava mai i social quando era al lavoro all’estero, ma non potevo ignorare il fatto che non mi mandava uno straccio di messaggio su Telegram da oltre venti giorni.
Era il 23 di dicembre e di lui non avevo alcuna notizia. Non mi sarei dovuta allarmare se le nostre comunicazioni fossero sempre state rade e discontinue, era invece tutto il contrario. In barba a tutti gli impegni e il vivere ai due capi opposti della Terra, riuscivamo a sentirci almeno uno giorno sì e uno no. Non erano lunghe chiamate, ma tramite Telegram ci vedevamo, per raccontarci le nostre giornate.
Ci conoscevamo da quando eravamo bambini e da allora non ci eravamo mai separati, se non per brevi momenti della nostra vita in cui avevamo rincorso il nostro futuro ma, alla fine, ci eravamo ritrovati per non mollarci più. Quindi, quando lui aveva ricevuto la notizia della missione, che sarebbe durata almeno nove mesi, ci eravamo promessi di non perdere i contatti. Era il nostro patto. Con una chiamata, o anche con uno stupido sms, avremmo sempre dato nostre notizie all’altro. C’erano stati dei momenti difficili, in cui si era assentato per due o tre giorni, ma mai così a lungo.
Sbuffai sonoramente, lanciando il telefono sul divano. Se non aveva avuto modo di usare Telegram o Whatsapp, che motivo avrebbe avuto di mettere un post o una storia su Instagram? Che illusa!
Mi alzai di scatto e mi diressi in camera. Sul letto campeggiava l’abito che avrei dovuto indossare quella sera. La Festa di Natale del mio ufficio si sarebbe tenuta di lì a poco. Avrei preferito mille volte di più restare in casa a crogiolarmi nella mia preoccupazione, piuttosto che affrontare i volti sorridenti dei miei colleghi travestiti. Sì, perché si trattava di una festa in maschera. Che idiozia, non era mica Halloween. Ma cosa mi prendeva? Avevo sempre adorato le celebrazioni e le decorazioni, era evidente che quella situazione stava mettendo a dura prova il mio spirito natalizio e la mia sanità mentale. Dovevo darmi una regolata. Avrei indossato quel maledetto vestito, le orecchie da elfo e mi sarei recata all’evento.
L’ufficio era stato interamente addobbato con ghirlande, lucine e un enorme albero campeggiava proprio al centro della sala relax, usata per i festeggiamenti. La mia collega Moreen si avvicinò lanciando un fischio di apprezzamento. Mi sorrise ammiccante.
«Ma quanto siamo sexy questa sera?» mi disse senza nessuna vergogna. Lei era travestita da fata madrina con tanto di bacchetta e generosa scollatura.
«È meglio se eviti le battutine. Stasera non sono proprio dell’umore!» la stroncai sul nascere con la mia espressione funerea. E poi, dubitavo seriamente che le lunghe calze a strisce rosse e bianche e la salopette di velluto verde bosco fino al ginocchio fossero anche lontanamente sensuali. Ma mi andava benissimo così, non ero abituata a stare al centro dell’attenzione.
«Ok, ok… ti lascio sola, sotto la tua bella nuvoletta temporalesca, tesoro…» e per fortuna fece seguire l’azione alla promessa. Afferrai un bicchiere di champagne dal tavolo del buffet e mi sedetti su una poltroncina un po’ appartata, perdendomi nei miei pensieri più cupi.
Se fosse successo qualcosa di brutto a Max, chi avrebbe potuto informarmi? I suoi genitori erano morti in un incidente stradale quando era solo un ragazzo ed era figlio unico. Non conoscevo i suoi parenti più prossimi. Chi avrebbero dovuto informare in quell’infausta eventulità? Non ci volevo nemmeno pensare…
Il mio capo si accasciò proprio su una sedia accanto a me, interrompendo le mie elucubrazioni.
«Mi ricordi il motivo per cui sono costretto a organizzare questa festa ogni anno?» mi disse con tono burbero. Il suo umore imbronciato rispecchiava perfettamente il costume da grinch che indossava, con tanto di pelle dipinta di verde.
«Per avere l’occasione di festeggiare il Natale anche tra colleghi, oltre che con le nostre famiglie?» diedi la risposta in maniera automatica, come se fosse la cosa giusta da dire, anche se dentro di me, mi accordavo alla sua frustrazione.
«Hai ragione, ma nonostante questo, me ne pento ogni volta. Il bello è che come capo redattore, non posso neppure filarmela troppo presto!» disse, prima di scolarsi un bicchiere di scotch tutto d’un fiato.
Non gli dissi che bere non sarebbe servito a nulla per migliorare la serata, mi limitai a salutare cordialmente e sganciarmi da quella conversazione che avrebbe solo peggiorato il mio umore.
Marianne mi intercettò proprio mentre mi stavo dirigendo verso la portafinestra, per prendere un po’ d’aria in balcone. La contabile dell’ufficio commerciale era davvero una cara signora, di sessant’anni inoltrati e non poteva che essere vestita da Befana. Lo faceva ogni anno senza nessuna eccezione. Gli ampi occhiali e il fazzoletto sul capo davano un tocco particolarmente vivido al travestimento. Mi abbracciò con calore, schiacciando di lato le lenti da vista che indossavo.
«Dimmi cos’hai bambina. Moreen mi ha detto che sei giù di morale!» Era così premurosa, per questo era difficile reagire male alle sue attenzioni, anche quando avrei voluto fuggire per non dovere dare spiegazioni.
«Tutto ok, Marianne. Davvero… ho solo qualche pensiero per la testa, ma sono certa che questa festa mi aiuterà a distrarmi» le dissi mentre rimettevo a posto gli occhiali, dopo aver controllato che fossero tutti interi. Mi osservò con sguardo dolce; aveva ben capito che la mia risposta era solo un modo per convincere lei più che me stessa, per non farla preoccupare troppo.
«Vuoi che ti porti una cioccolata calda alla cannella? Sai… quella risolve sempre tutto. Anche il mal d’amore!» disse senza il velo di malizia che mi sarei aspettata da chiunque.
«Io… io… non ho il mal d’amore. Non sono nemmeno fidanzata…» risposi impacciata. Non sapevo neppure perché mi sentissi in dovere di giustificarmi.
«Sono certa che ci sia già qualcuno nel tuo cuore, anche se forse ancora non lo sai. E stai soffrendo per lui… Dammi retta, ti vado a prendere una tazza di cioccolata.» Non attese neanche una replica, che la vidi sparire in mezzo alla folla di invitati. Restai a bocca aperta. Era così evidente la mia sofferenza? Il solo pensiero di Max disperso chissà dove mi creava una fitta dolorosa al petto, ma lui non era il mio ragazzo. Era “solo” il mio migliore amico…
Finalmente riuscii a recarmi sulla balconata, dovevo pur provare a godermi l’aria gelida e il panorama di luci della città addobbata. Restai da sola forse solo per qualche istante, prima di percepire il calore di uno scialle sulle spalle. Devean, il grafico della Casa Editrice, spuntò da dietro, baciandomi su una guancia.
Mi fece il solletico con la barba bianca finta. Il suo costume di Babbo Natale, stavolta, era davvero ben fatto. I bottoni dorati erano ben rifiniti, insieme al cinturone, con tanto di imbottitura per simulare un bel pancione.
Lo osservai per un istante in più… aveva un’aria strana. Non era il solito giocherellone, ma aveva un’espressione piuttosto solenne.
«Dimmi, piccola cara. Cosa desideri per Natale?» mi chiese con una voce decisamente tonante.
Mi appoggiai alla ringhiera del balcone, stringendomi nello scialle. Non avevo più la forza di fingere che andasse tutto bene, all’improvviso sentii la necessità di sfogare tutta la mia angoscia.
«Vorrei solo che Max tornasse a casa sano e salvo. Non ho sue notizie da quasi un mese e questo non è da lui. Se gli fosse successo qualcosa di grave? Non posso nemmeno immaginarlo. Vorrei che fosse qui ad abbracciarmi… Avrei dovuto dirgli tante cose, non l’ho fatto e temo che adesso sia troppo tardi!» sputai fuori tutti i miei sentimenti repressi, sepolti dentro il mio cuore per molto tempo.
Deven si limitò a sorridere, dicendo con tono enigmatico: «Non temere, tesoro. Questo è il periodo dell’anno in cui i sogni si avverano. Ricorda… Babbo Natale esaudisce sempre i desideri dei bambini buoni e so che tu lo sei stata. Avrai il tuo regalo!» Uno sbuffo di vento mi spostò i capelli color miele. Mi voltai per fare una battuta sarcastica contro il mio amico, – era stato fin troppo teatrale –, quando dietro di me vidi solamente il vuoto. Non c’era più. Un brivido mi corse lungo la schiena e non ero sicura si trattasse solo di freddo. Mi strofinai le braccia con le mani, stringendo i lembi dello scialle – quello era reale –. Mi guardai ancora una volta intorno, circospetta, e rientrai, certa che la mia fervida immaginazione mi avesse giocato qualche brutto scherzo. Avrei cercato Deven per chiarire quella strana faccenda.
Una volta dentro, Marianne mi venne incontro con una tazza fumante tra le mani. Non le diedi tempo di dire nulla.
«Hai visto Deven? Devo parlagli…» dissi concitata.
«Mi dispiace Riley. Stasera, il giovanotto non è potuto venire, ci ha avvisati all’ultimo momento. Infatti, ci manca proprio Babbo Natale tra i vari travestimenti, quello più importante!» rispose un po’ delusa.
La guardai sconvolta, poi un mormorio si levò nella sala, spingendomi a sollevare lo sguardo oltre la spalla della mia collega: Max era all’ingresso, bello come il sole con i suoi occhi nero pece e la barba folta dello stesso colore. Indossava la mimetica desertica, una sacca da viaggio era proprio accanto a lui. Un tutore gli ricopriva la gamba destra fino al ginocchio. Riuscii a intravedere parte di una fasciatura fuoriuscire dal colletto della divisa e una ferita in via di guarigione gli solcava la fronte. Trattenni il respiro per non scoppiare a piangere proprio lì.
Max
Aprii le braccia e finalmente Riley ebbe il coraggio di schiodare i piedi da terra. Mi corse incontro, sfidando la sorpresa e la paura. Mi abbracciò con delicatezza, temeva di farmi male. Non sopportavo tutta quella cura, dovevo sentirla addosso. Incurante delle fitte di dolore al torace, la abbracciai forte e la sollevai per i fianchi. Lei, dopo un attimo di esitazione, mi agganciò le gambe in vita, affondando il viso nell’incavo del collo.
«Adesso va molto meglio. Quanto mi sei mancata, scricciola!» mormorai con un sospiro attutito. Era così che ci salutavamo sempre. I nostri abbracci erano pieni, caldi, curativi e in quel momento ne avevo proprio bisogno.
«Anche tu mi sei mancato, idiota! Pensavo che fossi…» Non riuscì a finire la frase, ma non ce n’era bisogno.
«Anche io ho temuto di andarmene troppo presto, ma alla fine sono tornato da te!»
Dopo un tempo che mi parve infinito, a malincuore, la feci scendere.
Attorno a noi si era creato un pubblico che fingeva indifferenza, ma che sapevo fosse con le orecchie ben dritte, in ascolto.
Riley sistemò la sacca da un lato e mi accompagnò fuori di lì, vicino alla sua scrivania, in cerca di un po’ di privacy.
«Che ti è successo? Come stai?» disse, mentre mi teneva le mani tra le sue, tremanti.
«Durante una perlustrazione, il nostro mezzo è saltato su una mina anticarro. Sono stato fuori gioco per parecchi giorni. Mi hanno trasferito in Germania per le cure e una volta che ho ripreso conoscenza, mi hanno comunicato che sarei potuto tornare a casa…» dissi senza entrare troppo nei dettagli. Le mie ferite erano evidenti, sebbene rappezzate. «Ma non voglio parlati di questo… Ti devo dire una cosa importante!» Presi un respiro profondo. Avevo atteso tanto quel momento.
«Anche io voglio dirti una cos…»
«Prima io…» la interruppi. Nulla poteva impedirmi di parlare. «Non ti voglio più come amica!» I suoi occhi sgranati e liquidi mi diedero un sonoro schiaffo. «Scusami… non l’ho detto bene. Non intendevo che non ti voglio più nella mia vita… Io voglio che tu sia molto di più che una semplice amica!» Forse, così andava meglio. Le baciai una mano.
«Dillo che mi vuoi far prendere un infarto, Max! Sei una frana con le parole…»
Max
Aprii le braccia e finalmente Riley ebbe il coraggio di schiodare i piedi da terra. Mi corse incontro, sfidando la sorpresa e la paura. Mi abbracciò con delicatezza, temeva di farmi male. Non sopportavo tutta quella cura, dovevo sentirla addosso. Incurante delle fitte di dolore al torace, la abbracciai forte e la sollevai per i fianchi. Lei, dopo un attimo di esitazione, mi agganciò le gambe in vita, affondando il viso nell’incavo del collo.
«Adesso va molto meglio. Quanto mi sei mancata, scricciola!» mormorai con un sospiro attutito. Era così che ci salutavamo sempre. I nostri abbracci erano pieni, caldi, curativi e in quel momento ne avevo proprio bisogno.
«Anche tu mi sei mancato, idiota! Pensavo che fossi…» Non riuscì a finire la frase, ma non ce n’era bisogno.
«Anche io ho temuto di andarmene troppo presto, ma alla fine sono tornato da te!»
Dopo un tempo che mi parve infinito, a malincuore, la feci scendere.
Attorno a noi si era creato un pubblico che fingeva indifferenza, ma che sapevo fosse con le orecchie ben dritte, in ascolto.
Riley sistemò la sacca da un lato e mi accompagnò fuori di lì, vicino alla sua scrivania, in cerca di un po’ di privacy.
«Che ti è successo? Come stai?» disse, mentre mi teneva le mani tra le sue, tremanti.
«Durante una perlustrazione, il nostro mezzo è saltato su una mina anticarro. Sono stato fuori gioco per parecchi giorni. Mi hanno trasferito in Germania per le cure e una volta che ho ripreso conoscenza, mi hanno comunicato che sarei potuto tornare a casa…» dissi senza entrare troppo nei dettagli. Le mie ferite erano evidenti, sebbene rappezzate. «Ma non voglio parlati di questo… Ti devo dire una cosa importante!» Presi un respiro profondo. Avevo atteso tanto quel momento.
«Anche io voglio dirti una cos…»
«Prima io…» la interruppi. Nulla poteva impedirmi di parlare. «Non ti voglio più come amica!» I suoi occhi sgranati e liquidi mi diedero un sonoro schiaffo. «Scusami… non l’ho detto bene. Non intendevo che non ti voglio più nella mia vita… Io voglio che tu sia molto di più che una semplice amica!» Forse, così andava meglio. Le baciai una mano.
«Dillo che mi vuoi far prendere un infarto, Max! Sei una frana con le parole…»
Un sorriso gioioso le illuminò il volto. «Ti amo da sempre… Non so quando è successo, quando l’ho capito, ma non te l’ho mai detto per paura di rovinare la nostra amicizia. Sei troppo importante per me. Non volevo che fuggissi via!» mi confessò a bassa voce.
«Credi che sia un codardo? Non ho paura di te…» la rimproverai, sorridendo a mia volta.
«No… ma non sarebbe stato giusto ingabbiarti in un sentimento che provavo solo io.»
«Quando ho rischiato di morire, mentre ero incosciente, tra sogni e veglie deliranti, ho sperato come un matto di poter tornare a casa e dirti quello che provo. Ed eccomi qui… Credo di amarti anche io, Riley. Non so bene cosa voglia dire, ma so che tu mi insegnerai a capirlo.» Lei mi guardò con occhi pieni di lacrime.
«Credi che sia un codardo? Non ho paura di te…» la rimproverai, sorridendo a mia volta.
«No… ma non sarebbe stato giusto ingabbiarti in un sentimento che provavo solo io.»
«Quando ho rischiato di morire, mentre ero incosciente, tra sogni e veglie deliranti, ho sperato come un matto di poter tornare a casa e dirti quello che provo. Ed eccomi qui… Credo di amarti anche io, Riley. Non so bene cosa voglia dire, ma so che tu mi insegnerai a capirlo.» Lei mi guardò con occhi pieni di lacrime.
«Sei il regalo più bello che potessi ricevere questo Natale!» disse commossa.
Le accarezzai una guancia e la accolsi nel mio palmo ruvido. La avvicinai a me, baciandola con delicatezza. Era dolce, calda. Approfondii il contatto e fusi il mio respiro con il suo. Mi allontanai solo un momento…
«Sarà il miglior Natale di sempre, te lo prometto!» e mi rituffai sulle sue labbra di pesca.
E siamo giunti alla fine, cosa ne pensate?
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Copyright @ 2024 Roby Y. Calaudi
Questo racconto è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
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