sabato 28 novembre 2020

Rubrica: Storytelling Chronicles: Simile a un Dio di Anne Louise Rachelle

 Buon sabato amici lettori.
Arrivo il fine settimana per l'appuntamento mensile della Rubrica Storytelling Chronicles e lascio la parola alla mia cara amica  Anne Luoise Rachelle.



Storytelling Chronicles è una Rubrica a cadenza mensile ideata da Lara del blog  La Nicchia Letteraria in cui ogni mese i blog partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto nel gruppo apposito. La grafica è invece a cura di Tania del blog My Crea Bookish Kingdom
L'argomento di questo mese era legato alle parole di una poesia

Frammento (Saffo) 

Simile a un dio mi sembra quell’uomo 
che siede davanti a te, e da vicino 
ti ascolta mentre tu parli
con dolcezza 
e con incanto sorridi. E questo 
fa sobbalzare il mio cuore nel petto. 
Se appena ti vedo, subito non posso 
più parlare: 
la lingua si spezza: un fuoco 
leggero sotto la pelle mi corre: 
nulla vedo con gli occhi e le orecchie 
mi rombano: 
un sudore freddo mi pervade: un tremore 
tutta mi scuote: sono più verde 
dell'erba; e poco lontana mi sento 
dall'essere morta. 
Ma tutto si può sopportare… 

Curiosi di scoprire cosa ne ha ricavato da questa poesia la nostra Anne Louoise? Allora mettetevi comodi per la sua storia.

SIMILE A UN DIO 

Di Anne Louise Rachelle 

Apro gli occhi, ma non sono sicura di averlo fatto davvero. È buio pesto. 


Il dolore, che mi attanaglia, è dentro di me, scava e raschia come una belva feroce in gabbia.
Io non posso lasciarla uscire però. Ho la sensazione che, se ciò accadesse, diventerei polvere. Inconsistente, aeriforme, fragile, persa.
Cerco di muovermi, ma qualcosa – o qualcuno, non riesco a capirlo – mi tiene giù. Le sue mani – sono mani? – mi sospingono con rude gentilezza. Si può essere rudi e gentili assieme? Non ne ho idea. Ma cosa sto vaneggiando? Voglio alzarmi!
Ci riprovo, ma uno spasimo di dolore mi fa quasi urlare. Alcune imprecazioni però bloccano il mio istinto e mi costringono a stare tranquilla, almeno per un po’.
Respiro piano, ma profondamente. Mi concentro sui polmoni che si riempiono e si svuotano, così mi calmo. Trovo una lucidità che credevo di aver perso, perciò provo a ricordare.
Quali sono i miei ultimi ricordi? Mi concentro. Flash di un martello, di un cagnolino, di uomo di mezza età mi sconvolgono. Non riesco a trovare un nesso logico. Sono stata aggredita con un martello da un uomo di mezza età che portava a spasso un cagnolino? Che assurdità. Eppure, non trovo altre possibili soluzioni.
Continuo a respirare, sento una presenza al mio fianco, ma ancora non ci vedo. Spero che il colpo alla testa non abbia compromesso qualcosa di importante, non voglio neppure pensarci. Tasto con le mani il terreno sotto di me, la mano si muove cauta, le dita fanno malissimo. Credo di essermi difesa, di aver provato a fermare il mio aggressore, con scarso risultato evidentemente.
Tocco altre dita, che all’improvviso si ritraggono.
«Chi sei?» mormoro. La gola è secca e viene fuori un rantolo gracchiante, che sembra uscito da un film dell’orrore di serie b. Bel modo di festeggiare Halloween, di certo sono in “tema”.
Lo sento sbuffare, è un uomo, ma stranamente non ne sono spaventata. Non è il tipo che mi ha colpita con un martello. Almeno credo… e se fosse affetto da una doppia personalità? Come si può un minuto prima portare a spasso un cagnolino e poi prendere a martellate una ragazza per la strada? Ero tornata a vaneggiare. 

Provo a cercare la sua mano ma non la trovo.
«Perché non ci vedo?» chiedo, dopo aver capito che non avrei ricevuto alcuna risposta alla mia prima domanda. Perciò, pongo la seconda che mi sta più a cuore.
Il respiro dell’uomo accelera, non vuole dirmi la più tragica delle verità? Comincio ad agitarmi, cerco di spostarmi, ma il dolore è così forte che ogni movimento sembra scaricarmi addosso un fiume di lava incandescente. La testa, la mia testa.
Piango, ma non me ne accorgo subito. Sento delle dita gelide asciugare le mie lacrime, sono grandi, impacciate, ma gentili… sono le stesse di prima, che mi hanno tenuta giù.
«Sto cercando il modo di trasportarti senza creare ulteriori, possibili, danni. Ma se continui a muoverti non mi aiuti!» La sua voce mi colpisce come uno scudiscio in pieno viso, ma non fa male. È calda, graffiata, avvolgente. E voglio sentirla ancora. E ancora, e ancora, e ancora.
«Perché non chiami un’ambulanza?» chiedo senza rendermene conto. Fin troppo logico, no?
«Se il tuo cellulare avesse un minimo di batteria, l’avrei già fatto, non credi?» Il suo sarcasmo dovrebbe ferirmi e invece lo trovo maledettamente attraente. Il colpo alla testa dev’essere stato molto forte, visti i risultati dei miei deliri mentali.
«E tu non ne hai uno?» Lo sento sbuffare ancora, e sorrido senza volerlo. Non sto bene, questo è ovvio.
«No. A quelli come me non servono i vostri aggeggi infernali… anche se in questo momento sarebbe tornato molto utile, dannazione!»
Non mi soffermo a riflettere sulle sue strane parole, sul “a quelli come me” del tutto fuori contesto, mi limito a mormorare un semplice: «Sto bene…» Perché cerco di rassicurarlo?
«Di sicuro, stai una favola, il sangue che hai addosso è solo un travestimento per questa festa del cazzo!» Trattengo una risata, quella sì che sarebbe fuori contesto. Ma è così buffo. È preoccupato per me, forse dovrei esserlo anche io.
«Cosa è successo?» Non so perché lo chiedo. In fondo, credo di saperlo, ma renderlo “reale” potrebbe aiutarmi a rinsavire. Che ne dite?
Lui è restio, lo sento. Mi si avvicina un po’, ma capisco che non lo fa di proposito. È un istinto, forse pensa di mentirmi? «La verità, voglio solo la verità…» lo esorto per togliergli qualsiasi dubbio in merito.
«Un tizio, all’improvviso, ti ha aggredita con un martello. Sono intervenuto appena in tempo…» 

                                  

I ricordi si affollano nella mia mente. Io che scendo dalla mia automobile, la ruota è a terra, bucata. Prendo il telefono per chiamare mio fratello, ma è scarico. Impreco in una lingua sconosciuta, sussultando perché una marmaglia di ragazzini travestiti urlano come degli ossessi e mi superano senza degnarmi di uno sguardo. Maledico la suggestione, quanto mai stupida in quel momento. Respiro lenta e cerco di capire cosa fare. Poi, un signore mi si avvicina. Il suo sguardo è buono, il sorriso è dolce, un adorabile barboncino lo segue al guinzaglio. Mi fido, gli chiedo aiuto, ma lui tira fuori un martello. Eppure, i suoi occhi sono rimasti buoni e il suo sorriso dolce… 
È qui che la confusione si fa più forte, le fitte alla tempia destra si acuiscono e riprendo a lacrimare. Però non sono io che voglio piangere, no.
«Cosa ci facevi in questo vicolo abbandonato…?» Ancora una volta, non ho fatto la domanda giusta. Lo capisco perché l’uomo al mio fianco si irrigidisce. Posso quasi sentire la sua mascella scricchiolare per quanto è serrata, ma con ogni probabilità sto immaginando anche questo.
«Potrei farti la stessa domanda. Siamo in periferia, una zona malfamata, il perché ti sia saltato in mente di venir fin qui con la tua auto è il vero mistero…»


Anche lui forse sa che farmi parlare potrebbe essere un buon metodo per non “perdermi”… potrei davvero farlo? Perdermi intendo… Non so da dove arriva questa consapevolezza, ma ne sono talmente sicura che comincio ad avere davvero paura. Tremo, ma voglio essere forte.
«Dovevo andare da un’amica, Julie, l’ha lasciata il fidanzato, convivevano, poi lui se n’è andato… non voleva dormire da sola… così mi ha chiesto di raggiungerla… questa è la strada più breve per arrivarci e, non potevo immaginare che avrei bucato, non sono un oracolo!» 
Mi rendo conto che la mia voce si fa via via più stridula per l’agitazione, il respiro più affannato, i tremori aumentano insieme alle fitte alla testa. Voglio vedere, voglio alzarmi, voglio andare da Julie…
«Devo andare a chiamare qualcuno, non puoi restare qui in queste condizioni.» 
Cosa? Mi lascia sola? Dove ha intenzione di andare? Morirò nel frattempo. Il panico mi avvolge in una morsa potente e mi muovo senza pensare. Riesco quasi a mettermi seduta con uno slancio inconsulto e una stretta improvvisa mi impedisce di andare oltre.
Lui mi avvolge tra le sue braccia e mi blocca, mentre io mi accascio sul suo petto, di nuovo senza forze e vinta da uno sfinimento che ha tantissimi nomi, tra tutti spiccano “terrore” e “solitudine”. 
Se fossi rimasta sola, non avrei più visto la luce del mattino, forse nessun altro tipo di luce.
«Non lasciarmi… non andare… Julie… mi cercherà…» 
Non ne sono troppo sicura e se si fosse addormentata nel frattempo? Oppure, aveva già chiamato mio fratello trovando il mio cellulare irraggiungibile?
«Ho capito, non vado da nessuna parte, però adesso calmati.» 
Sento la preoccupazione nella sua voce, un dubbio lo sta lacerando, spero che non stia programmando una fuga a sorpresa. Non me ne accorgo subito, ma mi aggrappo alla sua maglietta di cotone. Come diavolo fa a stare con una semplice t-shirt quando il gelo sembra volerci sopraffare? Sto pensando di dirgli che dentro l’auto c’è una sciarpa… dovrebbe indossarla per proteggersi almeno un po’. Lui però, senza alcun preavviso, posa le sue mani grandi sulla mia fronte madida di sangue, scostandomi appena dal suo torace. Sembra volermi consolare, ma sento che c’è anche dell’altro. 

                                     
Le dita gelide si muovono accanto a una delle ferite, il fuoco mi pervade e apro la bocca in un urlo muto. Le corde vocali si rifiutano di collaborare nell’esprimere lo strazio che sento. 
Dovrei temere quel tipo, dovrei rifuggire, allontanarlo, dovrei gridare, maledizione! E invece me ne sto lì, quasi cullata da carezze che non sono tali, mentre il dolore piano piano diventa un’eco e il velo nero inizia a sbiadire.
La vista sta tornando, leggiadra, come se mi stessi davvero svegliando in quel preciso istante da un lungo sonno. In tutto ciò, le sue mani non mi hanno abbandonata un solo attimo, anzi, si sono spostate dietro la nuca, tastano e percepisco un calore interno che non si diffonde alla sua pelle. I palmi sono freddi come il ghiaccio, ma ciò che sta facendo a me è caldo come il cioccolato fuso, ha anche la stessa morbidezza. Mi sento intontita, sbatto le palpebre più di una volta, prima di rendermi conto che ci vedo… di nuovo e… molto bene.

Mi colpisce subito la luce aranciata e tremolante di un lampione poco distante.
Poi vedo un pezzetto di cielo punteggiato da stelle lontanissime.
Infine, è la volta di un viso tanto perfetto che deve per forza appartenere a un angelo, un dio, un essere celeste. La sua mascella è volitiva, il naso e la bocca sembrano quelli di una scultura greca, una leggera barba ricopre le guance e il mento, mentre un paio di zaffiri sembrano essere stati incastonati al posto delle iridi. Brillano, come dovrebbero fare le stelle sopra di noi, ma riesce a offuscarle senza sforzo.
«Chi sei…?» chiedo di nuovo, adesso più consapevole della sua presenza assurdamente potente. Lui si scosta appena si rende conto che posso vederlo e che la mia domanda ha uno scopo diverso.
Non voglio sapere il suo nome.
Voglio sapere come ha fatto a riportarmi indietro dal buio, allontanando la sofferenza.
Lui glissa ancora, ma non sono sorpresa.
«Prova a muoverti, ce la fai?» 
Distoglie i suoi meravigliosi zaffiri e si concentra sulle mie mani. Sono ancora aggrappate alla sua maglietta. Realizzo che non indossa davvero altro, neppure una giacca. D’istinto tocco il suo collo e lo sento rabbrividire. Sposto piano la testa, mi guardo attorno e vedo un giubbino di pelle… tutto insanguinato. Il sangue, in realtà, è dappertutto. Dei miei vestiti e della mia giacca non si distinguono i colori originali… e nemmeno dei suoi. Sembra esserci stata una carneficina. Un pensiero fugace mi sfiora: che fine ha fatto il mio aggressore? Tuttavia, così come arriva, evapora…
«In macchina… in macchina c’è una sciarpa, mettila, ti prenderai un accidente!» 
Provo a rimproverarlo, ma la mia voce è smorzata, balbetto, sto bene… ma non dovrei stare bene. Forse, addirittura, dovrei essere morta. Lo sono?
Lo vedo scuotere il capo, un mezzo sorriso gli inarca le labbra, mettendo in mostra dei denti bianchissimi. Non è umano, di questo sono certa. Ogni dettaglio va a netto favore della mia strampalata conclusione.
«Non hai freddo anche se dovremmo sfiorare gli zero gradi; hai curato le mie ferite usando solo le mani; mi hai permesso di vedere di nuovo… chi diamine sei?» lo dico con una smorfia di disappunto, mentre il cuore martella a un ritmo pazzesco. Lui mi guarda, si appoggia alla portiera della mia macchina, che giace abbandonata dietro i nostri corpi vicini. Sembra esausto, ma non lo è fisicamente. Qualcosa deve disturbarlo davvero… però mi sfugge il particolare importante.
A un certo punto, però, i perché perdono significato e mi abbandono alla contemplazione di una perfezione tanto eterea quanto dannata. Il suo sguardo lo è, potrebbe essere tenero ma mi fissa con una rassegnazione spessa, quasi tangibile. Mi avvicino e lui non si allontana, mi gira un po’ la testa e inizio a sudare nonostante le temperature rigide: dubito che la mia reazione sia dovuta alle ferite. Quelle sembrano scomparse, forse torneranno, forse no, ma non mi interessa in questo momento. Sono al suo fianco, in ginocchio, e lo costringo a voltare il viso verso di me. Accolgo le sue guance tra le mie dita sottili e tremanti.


Restiamo così, per secondi interminabili, in cui sento la pelle sfrigolare e il desiderio di consolarlo prende il sopravvento. Non ho la più pallida idea di cosa stia accadendo, però mi avvicino ancora e lo bacio. D’accordo, non è un vero e proprio bacio… sfioro appena le sue labbra con le mie e lui resta perfettamente immobile, ma non mi sento in imbarazzo. Poi apro le sue braccia e mi accoccolo di nuovo contro il suo petto, “costringendolo” a tenermi legata a sé.
Lui non fa resistenza, anzi, mi stringe forte, come se fosse l’unica sua opzione.
«Vuoi raccontarmi cosa è successo davvero?» domando con tono morbido, quasi rilassato, i miei occhi sono chiusi, il volto a contatto con la sua maglietta. Non sento il suo cuore battere, ma non mi allarmo… sono pronta ad ascoltare la sua storia.
La sua voce mi avvolge in un vortice di puro calore, mi tiene prigioniera, e forse anche io l’ho fatto un po’ mio prigioniero… o almeno voglio credere che sia così.
«Non molto tempo fa, qualcuno mi ha dato un nome… Ne ho tanti, ma lei, la bambina col peluche, è riuscita a condensare in pochissime lettere la mia essenza. Mi chiamo Black ed ero venuto a prenderti… Però, da quello strano incontro, qualcosa è cambiato dentro di me e anziché portarti via… ho deciso di salvarti…»


Siamo giunti alla fine. Avete notato che questi due personaggi li abbiamo già conosciuti? Io non l'ho 
capito fino alla fine lo ammetto, poi fatemi sapere se siete stati più bravi di me.
Intanto vi lascio un indizio QUI ma non barate mi raccomando, cliccate sopra solo dopo che avete un'idea di chi possano essere Black e la nostra narratrice... io posso solo dirvi che Anne Louise è stata bravissima.


Copyright @ 2020 Anne Louise Rachelle

Questo racconto è un’opera di fantasia . Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono prodotto dell’immaginazione dell’autrice o se reali , sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.

11 commenti:

  1. Ciao Anne Louise! Che bello ritrovarti per questa sfida <3 Sono super contenta tu sia riuscita ad essere dei nostri questo mese! Che dire: sono arrivata alla fine urlando. Davvero, non mi sarei mai aspettata che questo racconto fosse legato a quello di settembre, e quando la cosa è diventata palese ne sono rimasta sconvolta, in senso buono ovviamente. Sei stata bravissima secondo me a tenere vivo il mistero fino all'ultima riga! E trovo tu abbia re-interpretato la poesia di Saffo in modo più che originale! Come sempre poi, leggerti è un piacere! Bentornata, e complimenti :) Spero che anche a dicembre tu ci tenga compagnia <3 A presto, Stephi

    RispondiElimina


  2. La cosa che mi sconvolge il modo in cui riesci a fare questi racconti molto forti Perché di fatto si tratta di temi che non sono facili a mio dire da trattare... Eppure tu lo fai con delicatezza, con un'attenzione è una cura come permettere a chi ti legge di immergersi in tutto questo senza esserne spaventato ma anzi affrontando le proprie paure e Demoni in modo consapevole. ❤️ mi piace il collegamento inconsapevole o forse no con lo scorso racconto Ed ora tutto mi è più chiaro ed ora tutto forse nemmeno spaventoso, mi ha toccato il cuore veramente bellissimo racconto 😍😍😍😍😍😍

    RispondiElimina
  3. Mamma mia, che brividi! Non avevo capito, fino alla fine, chi fosse "lui"... e quando ho realizzato...beh, giuro! Sono rimasta senza parole. Anne Louise, sei ...sei bravissima! Riesci a tratteggiare i personaggi con poche pennellate, in modo così intenso e vibrante che ti entrano dentro e non se ne vanno più. Gli intrecci che ti vengono, poi... Non so nemmeno come descrivere come mi fanno sentire. Adoro il tuo stile, davvero! Complimenti!

    RispondiElimina
  4. Ciao Anne Louise! Innanzitutto grazie per esserti prestata a questa sfida che ho proposto: il tema poetico non era sicuramente facile e sono contenta che tu abbia accettato di interpretarlo.

    La tua storia, poi, mi è piaciuta davvero tanto... mi ha tenuto con il fiato in sospeso! All'inizio il riferimento a delle mani "forti e gentili" mi ha fatto pensare ad un risveglio in ospedale. Poi ho capito che il contesto era differente ed ho pensato che il protagonista maschile fosse una sorta di divinità greca... un racconto alla Rick Riordan tra mitologia e contemporaneità, per intenderci. La rivelazione finale mi ha colto di sorpresa! Sei stata bravissima nel collegare le due storie.
    Mi spiace un po' che l'identità della protagonista rimanga indefinita, così come il motivo della sua aggressione resta incerto... ma forse lo scopriremo in una prossima puntata? Spero proprio di sì! Complimenti, hai interpretato la poesia scelta in modo davvero emozionante ed originale :-)

    RispondiElimina
  5. La mia cara Anne non delude mai. Anche con questo racconto hai fatto breccia nel mio cuore. Che dire? Sei superba come sempre. Non avevo capito chi fosse lui se non alla fine ed è stata una piacevole sorpresa. Grazie per questa nuovo racconto e complimenti per la sua bellezza.

    RispondiElimina
  6. Anne Louise <3 Grazie, il meraviglioso Black è tornato, che bello! La narratrice chi è, la mamma della piccola? Sarebbe bellissimo!
    Sei stata bravissima a utilizzare la poesia in questo modo, adattando alle parole di Saffo una storia che ti tiene con il fiato sospeso fino alla fine. Il tuo stile è qualcosa di spaziale, sei bravissima a incantare e coinvolgere con le parole!
    Adesso ti prego, ma ti prego davvero, continuerai a parlarci di Black vero? Pleeeeease

    Federica

    RispondiElimina
  7. Quando ho letto l'ultimo pezzo credo di aver urlato perché ho fatto tutti i collegamenti con i personaggi :D Che dire, bravissima, complimenti, sono contenta che tu sia tornata e che tu abbi ascritto questo racconto. Sono curiosa di sapere i dettagli e di scoprire altro su di loro.
    A presto.

    RispondiElimina
  8. Sono molto contenta di aver ritrovato questo personaggio, non ci speravo.
    La protagonista temo non sia la bambina con il peluche, anche se un po' ci spero, perché quel finale era troppo triste per essere vero.
    Molto belle e scritto in maniera davvero coinvolgente. Complimenti!

    RispondiElimina
  9. MA DAIIIIIIIIIII :o Quasi casco dalla sedia, perdinci ahahahahahahahahahah <3 Non avevo mica capito che fosse il nostro Black di quartiere il ragazzone rude e gentile della tua storia :3
    Niente, già prima faticavo a buttar giù qualche parola sensata per i commentini da lasciare ai racconti -so' malinconica da ieri ahah-, ma ora il completo brodo di giuggiole in cui sono finita non mi permette di fare manco un pensiero sensato AHAHAHAH Mi limito a dirti che il tuo testo è sensazionale e che non potevi rispondere meglio di così alla tematica di novembre ;) <3

    RispondiElimina
  10. Meraviglioso... Sono tornati i protagonisti del racconto di settembre. Quante emozioni e che storia meravigliosa. Sei bravissima, scrivi divinamente. Complimenti ancora. Silvia di Silvia tra le righe

    RispondiElimina
  11. Ci tenevo a lasciarvi un commento di Ringraziamento, ragazze! Mi fatta sorridere, battere forte il cuore, commuovere con le vostre parole meravigliose. No, la ragazza non è la bimba col peluche, ma di certo ha scardinato tutte le certezze del nostro Blake... ha terminato il lavoro della bimba col peluche ❤
    Spero di scrivere ancora di lui e farvelo conoscere meglio! Grazie ancora per le bellissime emozioni e il supporto che riuscire a darmi sempre. Vi adoro.

    RispondiElimina